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Una nave di pietra per i nostri capitani coraggiosi

  • 19 aprile 2005

Nello scafo ancora possente della Nave di Pietra, all'Acquasanta (quartirere marinaro di Palermo), ci si imbarca da una specie di fessura tra due muri mangiati dalla salsedine. E ciò perché quell'incredibile costruzione, "ancorata" dal 1775 su una scogliera ai piedi del Pellegrino, ora non è altro che un appartamento di civile abitazione al Vicolo dei Bagni Minerali. Ma al tempo in cui l'opera venne ultimata ci fu sicuramente una rampa di scala in muratura, appunto alla marinara, che faceva da passerella d'imbarco.Percorsa poi, ogni giorno e per anni, dai ragazzi orfani e poveri che a bordo del fantastico battello cominciarono a imparare l'arte difficile di far navigare un veliero. Gli stessi ragazzi che sarebbero divenuti i "capitani coraggiosi" palermitani, con tanto di patente nautica. E tutto questo per merito di un grande filantropo quale fu Monsignor Gioeni e Valguarnera dei Duchi D'Angiò.Un religioso illuminato, di grandi possibilità economiche. Infatti la "nave" che gli invidiosi previdero spazzata via dai marosi in breve tempo e che molti ritennero il parto d'una mente folle, venne a costare una fortuna. Mille onze d'argento. Una vagonata di vecchie lire.

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Denaro invece speso bene, alla lunga, perché Gioeni non si curò delle critiche e fece del suo vascello di pietra addirittura il più antico collegio nautico della Sicilia. Opera non da poco per molte altre ragioni. Perché la nave ebbe anche confortevoli cabine con cuccette e oblò per i convittori i quali, fino al 1792, vi seguirono lezioni impartite da specialisti di prim'ordine. E ricca, oltre che eccezionale, fu perciò anche l'attrezzatura "tecnica" del collegio.Ad esempio quella apprestata sulla "tolda". Sulla spaziosa e panoramica terrazza alla quale si accedeva da due scale poste ai lati dell'aula più grande e del "quadrato ufficiali". E fu proprio sul quell' astraco dalle belle piastrelle smaltate che il monsignore fece impiantare alberi, pennoni, sartie, vele e quant'altro occorresse per le esercitazioni sul ponte. Qualcosa di unico, ma adesso recuperabile solo se si riuscirà a trovare un altro appartamento per la famiglia che vi abita. Anche perché la curiosa struttura, che il mare non "affondò" oltre due secoli fa - ma che solo adesso pare aver fatto naufragio - ne ha subite di trasformazioni.

Basti pensare che sulla “tolda” al posto delle antiche vele adesso si asciugano colorati pavesi di biancheria, da sottomarino rosa. Mentre tutti gli oblò della fiancata meridionale sono stati sostituiti da grandi finestre con tanto di persiane verdi. Così che dei particolari esterni dello scafo ora resta praticamente e malinconicamente solo il foro per la catena dell'ancora. Un attrattiva,la “nave”, che non è l’unica nella specialissima borgata. Ove si pensi all'ex chiesetta che vi era dedicata alla Madonna e che è tornata ad essere una grotticella priva di arredi sacri, dal cui pavimento però trasuda ancora l'acqua "santa" che fu utilizzata nelle sovrastanti e un tempo ben frequentate Terme dei sacerdoti Pandolfo.Un piccolo antro sconosciuto a gran parte dei concittadini e che ben ripulito è tornato ad aprirsi suggestivamente davanti alle acque tuttora incredibilmente chiare dell'antica “peschiera”. Secondo il generoso ottimismo di qualche innamorato della solare borgata, addirittura "una scheggia palermitana delle Cinque Terre".

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