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Come Santa Rosalia, ma senza lieto fine per la città: storia (triste) del primo vescovo di Agrigento

Le ultime parole dell’uomo scelto da San Pietro per guidare i primi cristiani della Città dei Templi non furono d’amore cristiano, né di pietà ma di vendetta

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 25 maggio 2021

Un dipinto di Francesco Narbone che ritrae San Pietro che consegna una pergamenta a San Libertino, primo vescovo di Agrigento

«Voi, gentaglia malvagia, plebaglia di delinquenti non avrete le mie ossa».

Risuona ancora a distanza di tantissimi secoli la spietata invettiva, la rabbia del primo vescovo di Agrigento, il santo martire Libertino, contro gli agrigentini.

Le ultime parole dell’uomo scelto da San Pietro per guidare i primi cristiani della Città dei Templi non furono d’amore cristiano, né di pietà ma di vendetta, a futura memoria.

Il senso di quel grido vendicativo gli agrigentini lo compresero a proprie spese quattro secoli fa, nel Seicento, quando avrebbero cercato ovunque le ossa di San Libertino per scampare alla morte, volendo imitare i palermitani che invece trovarono le ossa della loro patrona, Santa Rosalia e si salvarono.

La tradizione, raccolta dagli storici e scrittori, specie agrigentini, sino al secolo XVIII, ritiene che San Libertino sia stato mandato da San Pietro ad Agrigento per predicarvi il Vangelo. Non era dunque agrigentino e non è noto da dove arrivasse.
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Ma giunto nella Valle dei Templi trovò i cittadini di quella famosa città sepolti fra le tenebre del paganesimo, immersi nella credenza dei falsi dei.

«San Libertino fu il primo vescovo di Girgenti. Egli visse nei primi secoli di Cristo e vi portò, prima di tutti, la luce del Vangelo», scrisse uno storico agrigentino, il canonico. Raimondo Gaglio nel 1779.

E quello di San Libertino è anche il primo nome nella "Serie cronologica dei Vescovi di Girgenti dai primordi al cadere del sec. XVIII, pubblicata, dal 1901, dal Boglino nella sua Sicilia Sacra.

Nella Cattedrale di San Gerlando, ad Agrigento, si conserva un quadro di Francesco Narbone che rappresenta San Pietro mentre consegna a San Libertino la pergamena che lo istituisce vescovo di Agrigento. Sulla datazione di San Libertino tra il I e il III secolo concordano il Lanzoni, il Kehr, oltre il Mercurelli.

La predicazione di San Libertino fu efficace e feconda di risultati, così il cristianesimo risuonò molto presto anche tra i numerosi templi dedicati agli dei greci e romani dell’antica Akragas.

Ma la nuova religione riuscirà a consolidarsi nel territorio agrigentino, che viene pertanto sottoposto alla giurisdizione di una diocesi, sotto il diretto influsso della Chiesa di Roma solo IV-V secolo.

Tre chiese paleocristiane finora sono state individuate ad Agrigento: una basilichetta cimiteriale extraurbana, ai piedi del versante orientale della collina dei Templi; una chiesa urbana, il cui sito è stato identificato a nord del tempio cosiddetto "della Concordia" e la chiesa nata dalla trasformazione dello stesso tempio.

La basilichetta extraurbana è un martyrion a pianta rettangolare absidata; il primo impianto di età costantiniana occupò parte di una necropoli tardoromana, inglobando due sepolture preesistenti, una delle quali potrebbe essere la tomba del protovescovo Libertino. Come aveva però assicurato quel prelato, non ci sono i suoi resti.

La morte di San Libertino fu atroce e preceduta da un episodio che ha inorridito il santo per cui inveì contro gli agrigentini con le terribili espressioni che abbiamo riportato all’inizio. Al principio delle persecuzioni degli imperatori romani contro i cristiani, anche in Sicilia la religione di Cristo fu proibita anche dalle leggi e, in forza di editti pubblici, non fu più lecito essere cristiano.

Tutto ciò non deve avere fermato San Libertino che però certamente svolgeva la sua missione in gran segreto per cui non doveva essere facile per le spie delle autorità romane che governavano la città arrivare al protovescovo agrigentino. Le autorità pagane decisero di stroncare la nascente comunità cristiana agrigentina; non riuscendovi né con le blandizie, né con le minacce, ricorsero alla violenza contro cittadini innocenti.

Finchè qualcuno parlò. Venne tradito e venduto secondo la tradizione dalla gente di un quartiere cittadino che aveva in odio i cristiani. Così un gruppo di quei cittadini condussero i romani nell’abitazione di san Libertino che venne messo in catene.

Lo storico Silvano ci dice che vennero usati inganni e minacce per fare apostatare Libertino, il che fa supporre che non siano mancati giudizio, carcere e forse anche tormenti.

Ma il sant’uomo preferì rimanere fedele a Cristo e a San Pietro che lo aveva scelto per portare fino in fondo la predicazione e la testimonianza cristiana. Secondo la tradizione venne martirizzato e poi bruciato; secondo un'altra venne lapidato o ucciso con la spada o con un colpo al petto o al capo.

Ma prima di morire, trovandosi dinanzi a quella gente che lo aveva tradito gridò: “Gens iniqua, plebs rea, non videbis ossa mea” Gente malvagia, plebe colpevole (del mio sangue) tu non vedrai le mie ossa.

Ora accadde che nel giugno 1624 approdava a Trapani un galeone, proveniente da Tunisi, il quale scaricò delle merci appestate, che servirono da veicolo alla diffusione del tremendo flagello.

La peste si diffuse con la sua consueta celerità e con il suo tristissimo bagaglio di sofferenze e di morti, nei due valli di Mazara e di Demone. Tutta la diocesi agrigentina ne fu infestata e tra le prime la città episcopale. È cosa risaputo che le sventure pubbliche e private avvicinano alla religione ed infervorano il senso religioso delle masse.

A Palermo il 15 luglio 1624 in una caverna del Monte Pellegrino venne ritrovato il corpo della Vergine Rosalia; il rinvenimento delle reliquie e la loro processione per le vie di Palermo desolata coincisero con la cessazione del flagello, che fu facilmente attribuita alla protezione di Santa Rosalia.

Anche gli agrigentini, in seguito a visioni ed a sogni ammonitori, vollero subito cercare le reliquie del loro proto-vescovo, San Libertino. Si recarono nel luogo della città dalla tradizione indicato come quello del martirio e scavarono per giorni e giorni nella speranza di vedere affiorare le reliquie. Nulla invece si trovò; secondo la leggenda, non avrebbe il santo detto tra le sofferenze del martirio: «plebs rea, plebs rea, non videbis ossa mea?».

E tanto si avverò e continua ad avverarsi. Il vescovo mantiene la sua promessa. L’area in cui si scavò porta ancora il nome di Via dei Fossi, ad Agrigento, giacchè per molto tempo sono rimaste le tracce di quegli inutili scavi.

Per farsi perdonare dal loro primo vescovo, gli agrigentini costruirono sul posto una chiesetta, che ricordasse il nome del Santo Vescovo e Martire; ancora oggi esiste, ma fuori attività da alcuni decenni.

È venerato come santo e viene festeggiato il 3 novembre.
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