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È l'ultimo "sciuscià" di Caltanissetta: lo zio Peppe e quell'antico rito delle scarpe ben lucidate

"Per una vita dedicata al suo lavoro di lustrascarpe simbolo di una tradizione scomparsa da non dimenticare", sono queste le parole riportate sulla sua medaglia

  • 3 settembre 2021

Giuseppe Romano, lustrascarpe di Caltanissetta

Scarpe. C'è chi le ama, chi le colleziona, altri le usano e poche volte le curano, chi le considera il biglietto da visita durante un primo incontro o un colloquio.

Dimmi che scarpe hai e ti dirò chi sei. Ma non è sempre facile e così per capire una buona scarpa di pelle come debba essere curata a dovere, non ci resta che cercare lui: l'ultimo lustrascarpe.

Per rintracciarlo arriviamo nel centro della Sicilia a Caltanissetta.

È qui che Giuseppe Romano si sveglia molto presto al mattino ed ogni giorno da 78 anni, lui ne ha 90 e sin dalle 7.30 scende in corso Umberto. Apre la sua postazione di lavoro, che è di un blu cobalto particolarmente brillante e nelle giornate di sole apre anche l'ombrellone.

Poi si siede sulla sua parte di postazione e dopo avere sistemato la cassetta degli attrezzi del mestiere mentre lo osservo mi rendo conto che anche il suo camice da lavoro è blu. Sono proprio gli attrezzi a incuriosirmi, spazzole di ogni tipo e poi i colori, ma non solo.
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Mi racconta che alcune di quelle spazzole sono state realizzate artigianalmente con crine di cavallo, e quando gli chiedo quante storie di vita e persone ha visto passare da quella poltrona mi risponde "così tante che è difficile ricordarle tutte".

Mi parla del rito delle scarpe curate e ben lucidate. E io da shoes addicted prendo appunti.

Perché non basta avere un armadio di scarpe alla Carrie Bradshaw, quando inizi a usarle devi averne cura. A questo punto andiamo per step, prima si passa bene il colore su tutta la calzatura e poi si inizia a lucidare con un panno e poi si ripete l'operazione con un bel po' di energia.

Ma a quel punto mi sembra di essere tornata indietro nel tempo e gli chiedo com'era prima, «prima era diverso, le persone avevano scarpe diverse, c'era il Cavaliere Amico "il cappellaio", che era il numero uno, aveva scarpe bianche e nere, bianche e marroni, oltre alle altre dei soliti colori e quando si lucidavano bisognava fare molta attenzione».

Parlando con il signor Giuseppe o come lo chiamano in molti "zio Peppe" sembra d'essere tornati agli anni dell'immediato dopoguerra e lui ragazzo e con una famiglia di 10 persone, insieme a suo fratello iniziò a fare lo stesso mestiere del padre, il lustrascarpe o "lustrino" come si direbbe in siciliano.

Così mi pare di vederli i 32 lustrini, presenti in città tutti schierati lungo il corso, lì intenti a parlare e lucidare le scarpe ai loro clienti con attenzione, cura e rapidità. Con il sorriso sul volto ed i capelli argentei, oggi tra un caffè e una chiacchierata il signor Giuseppe trascorre le sue mattine.

Fu Vittorio Desica, maestro del neorealismo che nel 46 con il suo capolavoro "sciuscià", film che gli valse l'Oscar, raccontò cosa volesse dire essere un lustrascarpe. Un mestiere di quelli nati dalla reazione alle condizioni in cui si trovava l'Italia, un paese ferito dalla guerra. Erano di certo tempi duri e tristi quelli, dove a malapena si riusciva a sfamare le famiglie.

Però lo spirito creativo italiano ha dimostrato che si può trionfare sulle avversità anche facendo, luccicare le scarpe. A 78 anni dall'inizio della sua attività zio Peppe, quest'anno ha ricevuto dal primo cittadino nisseno, una medaglia in riconoscimento dalla sua attività, su cui c'è scritto "per una vita dedicata al suo lavoro di lustrascarpe simbolo di una tradizione scomparsa da non dimenticare".

Sono le 12.00, i rintocchi della campana della cattedrale Santa Maria la Nova scandiscono le ore, la mattina di lavoro è terminata e così anche la nostra chiacchierata con zio Peppe.

Lo ringraziamo per averci svelato qualche segreto, lo salutiamo e portiamo con noi una cartolina di una Sicilia antica e scintillante, con bagliori blu cobalto.
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