STORIA E TRADIZIONI
Forse non lo ricordi ma in Sicilia è una (strana) offesa: perché si dice "Facci 'i signa"
"Chi voli u spasso s’accatta 'a signa". Tra filastrocche e modi di dire, vi raccontiamo la storia di un termine siciliano dai mille significati che sta scomparendo
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Posto meraviglioso e suggestivo, pervaso in ogni angolo da una rara bellezza, e che vale la pena, se ancora non ci siete stati, di andare a visitare e non solo per un giorno.
Unica pecca è che la strada c’è, e con le autostrade che purtroppamente ci ritroviamo da noi, dopo tre e passa ore di auto (senza aria confezionata), arrivammo abbastanza ammartucati, per cui, gli amici ragusani, da bravi siciliani DOC, pensarono bene che la prima cosa da fare fosse rifocillarci dal lungo viaggio.
Portarono, me e chi mi accompagnava, in una gelateria molto piccola, ma famosa in zona, che faceva un cono gelato al gusto ricotta condito con scuocce i cannolo, successivamente cosparso di cannella ed immerso nel cioccolato fondente poco prima di essere servito.
Con la liccardiuseria che mi contraddistingue ne mangiai due, in rapida successione, e forse sarei andato anche per il terzo se non mi avessero interrotto con la classica frase: «Minchia ti rassi a viestiri ma no a manciari».
Io mi misi a ridere in contemporanea ad un tentativo estremo di ripulire con la lingua la funcia di sopra da un baffo di gelato, facendomi così assumere un'espressione grottesca degna di Quasimodo.
La battuta arrivò quasi subito, da parte di un altro ragazzo: «Talè facci 'i signa!»
Era da tantissimo tempo che non la sentivo. L'ultima volta che l'antisi era in età preadolescenziale. Nella zona dove vivevo c’ era un tizio granni, mischineddu, che aveva un brutto labbro leporino mai corretto, e le persone più grandi, noi piutteddi non ci arrisicavamo, quando non era presente, rarrere i spaddi, lo chiamavano facci 'i signa per identificarlo.
A tal proposito mi venne in mente anche una filastrocca che sentivo da bambino, «Quannu nascisti tu, facci 'i signa, si pigghiaru 'a pugna, ci vinni a scabbia, a cu a rugna, solo a tu patri ci acchiappù 'a tigna!».
Ora, a parte sta filastrocca che fa arrizzari i carni, la parola signa parrebbe trarre le sue origini alla derivazione angioina in Sicilia, e come quasi ogni termine nel nostro dialetto, è una storpiatura della parola singe, che in francese significa scimmia.
Ecco spiegato tutto, a facci laria che mi ero messo a Ragusa, e du cristineddu mischinu cu labbro leporino. Anche il fatto che mio nonno, originario di Messina, non usasse la tipica frase palermitana «hai u scimunito na panza» per indicare una persona che rideva sguaiatamente magari per futili motivi, ma sostituisse scimunito con signa, «hai 'a signa na panza?»
Vi è pure il proverbio popolare, chi voli u spasso s’accatta 'a signa, ad intendere che chi vuole solo divertimento senza pensieri, farebbe bene a prendere una scimmia con cui amminchionarisi, invece di inquetare i cristiani.
A conferma di questo vi è l'usanza che nel 600 circa, all'epoca del massimo splendore della nobiltà palermitana, era usanza avere animali esotici da compagnia.
Chi teneva pavoni, chi pappagalli, e chi invece dedicava un'intera stanza per ospitare una scimmia. È il caso della famiglia Burgio di Villafiorita, la quale, nel palazzo dove abitava, nell’ attuale via Garibaldi a Palermo, aveva con se una scimmia di compagnia, che poteva godere della vista del passio, nella via, grazie ad un’ apposità gabbietta inglobata nei muri del palazzo.
Ancora oggi, se vi trovate a passare da lì, guardando in alto potete vederla sta aggia pa signa, accanto ad un balcone, dal quale, molto più prosaicamente, si affacciavano le dame.
Ma signa non sta ad indicare solo il mammifero da cui probabilmente discendiamo. Difatti si usa dire, anche se sta scomparendo: «Si siccagnu comu na signa», ad indicare una persona magrissima, tutta pelle ed ossa.
Ora tutto si può che dire, ma non che una scimmia sia siccagna! In questo caso infatti signa sta ad indicare la mantide religiosa. Parrebbe infatti - il condizionale è d’obbligo - che la postura che la mantide assume quando è in agguato sia all’ origine del termine.
La posa contemplativa, come di preghiera, gli fa meritare il secondo nome di religiosa, ma qui in Sicilia, dove tutto si esaspera, si personalizza, pare che la mantide si fa 'u signu ra croci, per l’ appunto si signa, da qui il nome che la identifica.
E un fati sta facci 'i signa!
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