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Fu rinchiusa alla Cuba per dare piacere al re: un orribile destino (scampato) a Palermo

Giovanni Boccaccio ci racconta nel Decamerone le peripezie della bella Restituta, rapita da due palermitani a Ischia e diventata schiava d'amore di Federico II

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 2 maggio 2023

Forse non tutti sanno che esiste un legame antichissimo tra Ischia (una delle isole Flegree, molto vicina a Napoli) e la Sicilia.

Nel 474 A. C. Gerone di Siracusa sbaragliò i nemici di Cuma e gli abitanti, per riconoscenza, fecero dono al tiranno dell’isola di Ischia (anticamente denominata Pithaecusa).

Pindaro nei suoi versi cantò la grande vittoria di Gerone, divenuto Signore d'Ischia, dominatore dei mari del golfo di Napoli e Gaeta. Nacque così sull'isola una colonia siracusana, che purtroppo ebbe vita breve, perchè a causa di terremoti ed eruzioni, dopo pochi anni, i siracusani decisero di abbandonarono Ischia.

La sola fonte antica sull’argomento è lo storico greco Strabone. Pur non essendoci certezza sul luogo esatto dove fosse sorta la costruzione militare dei siracusani, gli studiosi hanno ipotizzato si trovasse nei pressi dell’attuale città di Forio.

A parlare ancora del legame tra Ischia e la Sicilia è nel XIV secolo Giovanni Boccaccio. nella novella sesta, della giornata quinta del Decamerone: Boccaccio narra la storia di Gianni e Restituta, due giovani amanti vissuti tra Ischia e Procida e sopravvissuti ad un orribile destino.
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Restituta era un tempo un nome molto diffuso a Ischia, perché così si chiama la patrona dell’isola. Gianni, un giovanetto di Procida, ogni giorno, si recava in barca o a nuoto ad Ischia, per vedere anche solo da lontano la sua Restituta, una fanciulla "bella e lieta moto", figlia di messer Marin Bolgaro: "Gianni la amava sopra la vita sua, ed ella lui".

Un brutto giorno però, mentre Restituta passeggiava "tutta soletta alla marina, di scoglio in iscoglio", staccando le patelle con un coltellino, venne notata malauguratamente da certi giovani siciliani, giunti a Ischia (da Napoli) con la loro imbarcazione.

I giovanotti, ammaliati dalla rara bellezza della fanciulla, decisero di approfittare del fatto che ella fosse sola e indifesa, per rapirla. Restituta gridò e lottò, ma i marinai erano in tanti e lei era una sola, così ebbero la meglio: riuscirono a condurla contro la sua volontà sulla loro barca e a portarla via.

Durante la navigazione cominciarono ben presto a litigare, perché ognuno voleva la fanciulla per sé, ma alla fine, per non rovinare la loro concordia a causa di una donna, convennero che sarebbe stato meglio donare Restituta al re Federico II "il quale era allora giovane e di così fatte cose si dilettava".

Giunti a Palermo i marinai si precipitarono al cospetto del re e Federico, vedendo una fanciulla di così rara bellezza “l’ebbe cara; ma, per ciò che cagionevole era alquanto della persona, infino a tanto che più forte fosse, comandò che ella fosse messa in certe case bellissime d’un suo giardino, il quale chiamavan la Cuba".

Il rapimento di Restituta aveva causato un grande dolore ai familiari della fanciulla e Gianni "al quale più che ad alcuno altro ne calea" si era precipitato alla marina, per chiedere da che parte fosse andata la fregata.

A bordo della sua imbarcazione si era diretto verso sud e giunto in Calabria aveva chiesto informazioni: aveva saputo che erano stati visti certi marinai siciliani, con una fanciulla, diretti a Palermo.

Quando Gianni giunse a Palermo “dopo molto cercare”, scoprì che la giovane del suo cuore era stata donata al re e che era stata rinchiusa alla Cuba. Superato l’iniziale sconforto, cominciò ad elaborare un piano di fuga, per salvare Restituta.

Un giorno, per caso, passando nei pressi della Cuba, vide l’amata fanciulla affacciata a una finestra e dal momento che la ragazza non era sorvegliata, ne approfittò per parlarle… Quella notte Gianni riuscì a intrufolarsi di nascosto alla Cuba e Restituta, che sapeva che tra le braccia del re avrebbe comunque perso l’onore, volle donarsi a Gianni per amore.

Lasciò la finestra aperta e Gianni “chetamente se n’entrò dentro, e alla giovane, che non dormiva, allato si coricò. E appresso questo, con grandissimo piacere abbracciatisi, quello diletto presero, oltre al quale niuno maggior ne puote Amor prestare; e poi che quello ebbero più volte reiterato, senza accorgersene, nelle braccia l’un dell’altro s’addormentarono”.

La mattina successiva il re di Sicilia decise di andare a trovare la fanciulla che gli era piaciuta molto, per “starsi alquanto con lei” e accompagnato da un fedele servitore si recò alla Cuba.

Enorme fu la delusione del sovrano, quando vide con i propri occhi i due innamorati addormentati, l’uno nelle braccia dell’altro. Si turbò e andò su tutte le furie; si trattenne dallo sgozzare col coltello che portava sempre con sé i due amanti inermi, solo perchè sarebbe stato un gesto troppo vile colpirli nel sonno.

Federico II ordinò al fedele servitore di mettere in catene i due giovani e di condurli, completamente nudi, nella pubblica piazza di Palermo. Li condannò inoltre ad essere arsi vivi.

Da lì a poche ore i due innamorati furono trascinati in piazza e tutti i palermitani, uomini e donne, corsero a vedere i due amanti che vergognandosi del loro peccato d’amore stavano a testa bassa e piangevano aspettando la morte. La notizia giunse anche all’orecchio di Ruggiero di Loria (ammiraglio del re e uomo di grande valore) che si recò nella piazza dove veniva allestito il rogo.

Ruggiero fortunatamente riconobbe subito Gianni di Procida.

“Domandollo allora l’ammiraglio che cosa a quello l’avesse condotto; a cui Gianni rispose: – Amore, e l’ira del re.” L’ammiraglio volle appurare la verità e interrogò i due innamorati. Mosso da senso di giustizia si precipitò ad informare immediatamente il sovrano: "Il giovane è figliuolo di Landolfo di Procida, fratel carnale di messer Gian di Procida, per l’opera del quale tu sei re e signor di questa isola.

La giovane è figliuola di Marin Bolgaro, la cui potenza fa oggi che la tua signoria non sia cacciata d’Ischia. Costoro, oltre a questo, son giovani che lungamente si sono amati insieme, e da amor costretti, e non da volere alla tua signoria far dispetto, questo peccato (se peccato dir si dee quel che per amor fanno i giovani) hanno fatto. Perché dunque gli vuoi tu far morire, dove con grandissimi piaceri e doni gli dovresti onorare?".

Federico, pentitosi, volle ricompensare i due ragazzi; ordinò loro di rivestirsi, “fece la giovinetta sposare, e fatti loro magnifichi doni, contenti gli rimandò a casa loro, dove con festa grandissima ricevuti, lungamente in piacere e in gioia poi vissero insieme”.

La storia si conclude dunque con un lieto fine: Gianni e Restituta vissero felici e contenti.

Meno felice fu la storia (vera) di tre siciliani (liparoti) sbarcati a Ischia nell’Ottocento: racconta lo storico Giuseppe D’Ascia che a metà dell’Ottocento i vigneti di Ischia si erano ammalati, ma tre faccendieri liparoti Gaetano, Giuseppe ed Antonio San Filippo, arrivati sull’isola insegnarono agli abitanti la solforazione e così salvarono le coltivazioni.

I liparoti non ebbero tuttavia la riconoscenza degli abitanti e ripartirono più poveri di come erano arrivati, inoltre erano sbarcati in tre ma ripartirono in due perchè il povero Giuseppe era morto di crepacuore.
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