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Il fornaio utopista: in un borgo si scrive la storia del pane più buono del mondo

Il suo panificio in provincia di Caltanissetta è un inno alle tradizioni che vanno avanti da diverse generazioni: i suoi prodotti sono un vero inno alla gioia dei palati sopraffini

  • 20 gennaio 2020

Il panettiere Maurizio Spinelli con i figli

Il sole è timido, come lo è un mattino d'inverno di un decennio appena iniziato. Con mio padre ci mettiamo in viaggio, siamo alla ricerca di una storia che abbiamo sentito e vogliamo vedere con i nostri occhi: la storia del pane più buono del mondo.

Giungiamo al paese più prossimo al nostro, lo superiamo e ci inoltriamo per le campagne; a disegnare due diagonali saremo prossimi al centro dell'isola; i campi sono intensivamente curati, ma di questi tempi sono in letargo. La strada diventa sempre più dissestata, ai lati rimangono i segni delle recenti piogge. Giunti al bivio la freccia ci indica la via: Borgo Santa Rita.

Vediamo da lontano la chiesa rosa dal campanile a punta, che ha dato il nome al borgo e lo ha preso da chi l'ha fatta costruire: Rita Bordonaro La Lomia, baronessa di Canicattì. Al nostro arrivo ci accoglie un gregge di pecore, sono più di cento; il pastore è un ragazzo, ma i suoi cani non lo sanno e gli ubbidiscono come fosse un adulto.
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Le case sono poche, basse, tutte costruite in pietra; a terra le tracce degli animali; fino a qualche decina di anni fa il borgo aveva anche una scuola, una scuola rurale come ce n'erano tante tra le campagne; ora nel borgo vivono tre famiglie; solo una donna sta seduta fuori dalla sua porta.

Chiediamo a lei indicazioni. Il panificio sta nella strada parallela a quella dove ci troviamo: il borgo è una piccola scacchiera formata da poche colonne verticali e altrettante traverse orizzontali. Risaliamo la scalinata fin davanti la chiesa, dietro la quale si apre il panorama sulle valli circostanti.

Russello, Tumminia, Perciasacchi, per questo pane vengono usati solo grani antichi, tutti coltivati nei territori della provincia di Caltanissetta, tra Villalba e Marianopoli; producono di meno rispetto alle nuove varietà, ma la qualità non è paragonabile per il rapporto nutritivo e per l'alta digeribilità.

Precedo di qualche passo mio padre che si è fermato a guardare il palazzotto La Lumia, la vecchia casa del barone, dentro ora c'è il museo dei grani antichi. Ridiscendiamo per una stradina laterale in quello che sembra un non luogo, o meglio un luogo altro: fermo nel tempo delle cose antiche, di odori e colori che trovano un piccolo rifugio solo nella memoria.

Questo pane può conservarsi per molto tempo, come quello che i contadini di qualche generazione fa sfornavano una volta a settimana.

Alla fine della stradina dovrebbe trovarsi la nostra meta; dopo qualche decina di metri l'insegna ce lo conferma: Panificio Santa Rita.
Entriamo. Il locale è accogliente e ordinato, ha il tetto in legno. Sul bancone di marmo quattro barattoli di passata di pomodoro e quattro bottiglie di olio; dietro, tre scaffali contengono la varietà di pasta prodotta: da un lato quella integrale, dall'altra quella di grano duro. Non c'è nessuno.

Si dice abbia girato mezza Sicilia per trovare il molino adatto: quelli moderni surriscaldavano il grano durante la molitura. Poi, finalmente, quello giusto, un mulino a pietra: il mulino del Ponte a Castelvetrano.

«Buongiorno!» dice mio padre a voce alta per dar segno della nostra presenza ai proprietari e forse anche a noi stessi.
Alla farina aggiunge sale, acqua e pasta madre: quella che sua nonna regalò a sua madre e lei, a sua volta, donò a lui. Da una porta sul retro che collega l'esterno all'interno, entra un signore basso dalla faccia simpatica, scolpita dagli anni e dal sole, che ci saluta cordialmente. Dopo qualche secondo lo raggiunge il figlio, si chiama Maurizio Spinelli, è lui l'artefice di tutto.

I panetti lievitano dalle cinque alle sette ore, poi vanno nel forno costruito con mattoni di terra cotta. Il fuoco brucia solo il legno di mandorli o di ulivi della zona.

«Io vivo in posto invisibile» Maurizio lo ha fatto scrivere sotto una foto in bianco e nero – in cui c'è un cane con le orecchie dritte davanti la chiesa del borgo – la tiene appesa a una delle pareti, «In un posto dove le cose più semplici come fare una telefonata o collegarsi a internet sono ardue imprese» dice la scritta «Dove le strade sono dissestate e tutti mi promettono che le fanno aggiustare, ma poi non lo fanno mai, dove la parola servizio non esiste e ogni piccola cosa diventa impossibile.

Sì, è un posto invisibile, ma è il posto in cui sono nato, in cui ha sempre vissuto la mia famiglia e in cui voglio vivere, lavorare e far crescere i miei figli, anche se tutti dicono che sono un pazzo a voler restare qui. Questo posto ha una storia da raccontare e io voglio farne parte».

Il pane ha fragranze e aromi unici: sa di fieno, di terra e di legno. Spezzarlo e gustarlo, non risveglia solo tutti e cinque i sensi,ma è un'esperienza più profonda, atavica forse.

Questo luogo ha più di una storia da raccontare e una è quella di Maurizio che ha deciso di rimanere in questo borgo piccolissimo e che fa il pane più buono del mondo.
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