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Il Natale non è solo panettone: in Sicilia il "vero" dolce delle feste ha una storia antica

Ritrovare le tradizioni, quelle vere legate alla Sicilia e riassaporarle. La storia di questo dolce affonda le sue radici nell'antichità romana, in cui erano presenti i fichi e il miele

  • 23 dicembre 2021

Il tipico buccellato siciliano

Se il panettone è stato ormai ufficialmente “sdoganato” come dolce nazionale delle feste, e tantissimi pasticceri e fornai siciliani si cimentano nella sua laboriosa lavorazione (con ottimi risultati, peraltro, visti i piazzamenti alle competizioni nazionali dedicate), il buccellato resta comunque nei cuori siciliani come il “vero” dolce natalizio.

Basta pensare che, fino a non molti anni fa, quando ancora si usava recitare le novene nei giorni che precedono il Natale, d'abitudine ai cantastorie che giravano per le strade intonando i ninnareddi, si usava donare proprio un buccellato.

Oggi i buccellati compaiono in panifici e pasticcerie solitamente al principio di dicembre (il primo buccellato si mangia tradizionalmente per l'Immacolata) e vi rimangono per qualche settimana, goloso segnale dell'avvio del periodo natalizio.
La storia di questo dolce affonda le proprie radici nell'antichità romana.

A quell'epoca, infatti, si era soliti preparare dei pani a ciambella che gli imperatori facevano distribuire al popolo in occasione dei giochi o delle feste, rotti in piccoli pezzi (buccelli) da un “buccellarium”, una persona che aveva proprio questo compito.
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Per la verità, va detto che la ricetta originaria nel tempo si è molto modificata, per quanto riguarda la preparazione ma anche per gli ingredienti utilizzati, che sono stati sostituiti o integrati con altri. Esattamente quello che è accaduto per la cassata, per intenderci. È diventato difficile, così, rintracciare l'origine del dolce come oggi lo conosciamo.

Se i fichi e il miele erano già presenti nel buccellatum dei Romani, infatti, la frutta secca e le scorze di agrumi fanno propendere gli studiosi di gastronomia verso un'origine medievale, magari collegata alla dominazione saracena. Ma c'è anche un'altra teoria, che ci porta nella città di Lucca. È stato trovato qui, infatti, il più antico documento che cita il buccellato, inteso come pane dolce.

In una memoria processuale del 1485 salta fuori il buccellatum, all'epoca diffuso fra i vassalli come omaggio per il proprio signore. Dalla Toscana, il buccellato sarebbe arrivato in Sicilia proprio insieme a mercanti lucchesi, una folta comunità dei quali si stabilì a Palermo nel Trecento, nel quartiere commerciale della Loggia.

Fu la loro confraternita, fra l'altro, a far realizzare in città la chiesa di Santa Cita (o Zita), molto venerata proprio in Toscana. Accanto al luogo di culto c'era un ostello per dare alloggio ai forestieri, che poi divenne un monastero.

Probabilmente, la ricetta del pane dolce giunse insieme a loro e, come spesso accade in cucina, si “contaminò” localmente, trasformandosi nella dolce ciambella che tutti conosciamo. Il "buccellato di Lucca", infatti, con il suo profumo di anice, è molto diverso da quello siciliano.

Esistono, d'altronde, un gran numero di eredi del buccellatum romano, nelle più diverse località italiane, dal Friuli, dove si chiama perseghin, al Veneto dove ci sono i bussolani, passando per le freselle campane.

Infine, una curiosità.

Poiché le casse pubbliche raramente nel nostro paese sono state floride, gli amministratori hanno sempre dovuto inventarsi nuovi sistemi per rimpinguarle. Così a Lucca, nel 1578, vista la popolarità dei buccellati fu imposta una tassa di fabbricazione proprio sui dolci.
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