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Il Pub 88 ci manca: lo storico locale di Palermo dove i musicisti erano considerati artisti

Aneddoti, ricordi, sensazioni di chi quel posto lo ha amato, per raccontare e ricordare la storia di un luogo che a Palermo è diventato una "leggenda"

  • 30 novembre 2020

La band "1 Small Step" sul palco del Pub 88 di Palermo

Ci manca, perché quando andavamo lì stavamo bene, perché la musica fa questo, ti fa stare bene. E al pub 88 (nel centro storico di Palermo, in una via Candelai agli esordi della movida) c’era sempre e solo bella musica. Ci manca perché era casa, era condivisione.

So per certo che chiunque a Palermo in quegli anni (fine anni Novanta, inizio dei Duemila) andava per locali la sera e soprattutto chi faceva musica, ha un ricordo legato a quel posto, per anni crocevia di musicisti e avventori. Di giovani che volevano condividere qualcosa, vita.

Condivisione già, quella che ci manca adesso soprattutto e forse non è un caso che stia scrivendo quest’articolo proprio ora, perché si sa, quando qualcosa non va ci si rifugia nei ricordi belli, anche se con nostalgia, con un po’ di malinconia. E ci fa felici.

E la felicità va condivisa, così ecco che questo pezzo è diventato un articolo a quattro mani, anzi a sei, e poi otto ecc.
«Ale ciao, ti va di raccontarmi qualcosa del tuo pub 88?»
«Marta, miiiii certo, cosa vuoi sapere, da dove inizio?».
«Da dove vuoi tu…»
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E la telefonata è durata non so quanto tempo, tra risate e forte emozione, «Quando ricordo l’88 mi viene sempre da piangere, e mi viene anche adesso... ». Io dissimulo ma anche io ho gli occhi lucidi mentre lo ascolto.

«Ero piccolo, avevo ventiquattro anni, ma avevo tante idee. Non ero un professionista del settore, ma giravo tanto per i locali, amavo la musica e osservando ho inconsapevolmente carpito tante cose. Ho imparato a mettermi nei panni della gente, cercavo sempre di capire cosa volessero le persone e cercavo di darglielo. Le idee sono risultate vincenti».

Il Pub 88 nasce il 6 marzo del 1998, a Palermo, al civico 88 di via dei Candelai per l’appunto. Prende il posto di un ristorante-piano bar che era chiuso da alcuni mesi.

La madre di Alessandro Sorrentino gestiva già un ristorante fuori Palermo, a Santa Margherita Belice e cercando un modo per farla avvicinare a Palermo, i figli trovarono l’annuncio di vendita e le proposero di aprire lì una nuova attività.
Fatto l’acquisto ci vollero poche settimane per decidere di trasformare quel posto in un pub che facesse musica dal vivo.

«Inizialmente la musica dal vivo era soltanto il venerdì e il sabato – dice Alessandro – poi si aggiunse la domenica e in breve si decise di farla ogni giorno, sette giorni su sette, senza chiusura».

I concerti iniziavano a mezzanotte, non un minuto prima e non uno dopo, e si suonava fino alle due circa. Poi la festa continuava con la musica in filodiffusione che selezionava Alessandro stesso, e proseguiva anche dopo, a locale chiuso; rimanevano “gli stretti” a volte fino all’alba. Capitava spesso che si improvvisasse una spaghettata in notturna per placare la fame post serata.

In pochi mesi dall’apertura, l’88 era già sulla bocca di tutti e in due anni di vita diventò uno dei locali più famosi della Sicilia.
«Qualcosa di simile c’era – continua Alessandro – ma niente di uguale, la differenza era che io non guardavo alle tasche. Pagavo i gruppi quanto mi chiedevano. I soldi li incassavamo e li investivamo per migliorarci sempre di più. I musicisti erano importanti».

I musicisti, già… ho fatto quattro chiacchiere con alcuni di loro e due cose su tutte sono emerse tra i loro molteplici ricordi, la prima è proprio il fatto che «venivano considerati artisti e come tali trattati», la seconda è «La signora, la madre di Ale».

Così, di emozione in emozione, alle parole di Alessandro si legano quelle di Riccardo Simoncelli, che il pub 88 l'ha vissuto appieno: «Alessandro sapeva come doveva essere trattato il musicista che lui considerava un artista e non un "musicante", aveva ammirazione per chi svolgeva questa attività, e lo considerava come mai era stato considerato in questa città.

Quello che mi torna alla memoria è la sensazione di libertà che ti dava quel luogo, da artista e fruitore. Dal lunedì alla domenica andavi a suonare e veder i tuoi amici che suonavano».

«Ricordo amicizia, incontri, era una festa, uscivi la sera con una motivazione. Era una grande famiglia. Quel posto era fulcro, luogo di incontro e condivisione per musicisti e non solo, uscivi di casa anche da solo, senza chiamare nessuno, sapevi che lì avresti incontrato sempre una faccia amica. Ed è un posto che ha tracciato anche percorsi di amicizia e di lavoro importanti. Io ad esempio grazie all’88 ho creato una delle prime situazioni di duo artistico, con Simona Norato: è stata un’invenzione di Alessandro, lui ci ha spinto a creare questa cosa».

«Dopo la chiusura le cose sono andate scemando – dice – così come la carica emozionale l’adrenalina tipica che respiravamo quando suonavamo lì, si è persa. All’88 si respirava l’aria dei club spagnoli o inglesi o americani in quegli anni: il musicista aveva gli occhi carichi di emozioni, gioia, concentrazione, l’aspetto tipico di chi è impegnato a fare musica dal vivo».

Era il punto di incontro dei musicisti, tante le band locali che hanno calcalto quel palco di pietra viva, per citarne solo alcuni: I complesso di Edipo, i Road Runners, Firt Wife, 1 small step, Escape/Trio Simoncelli, Answers, Superzero, Serio Positivo, Area 51 (di Caltanissetta).

Questo locale era una meta ambitissima dalle band siciliane e non solo, tanti anche gli artisti provenienti dall'Italia e dall'estero: il grande batterista Vince Vallicelli, che portò perfino James Thompson, Pippo Guarnera, il bluesman Nick Becattini e tanti altri. Un luogo che, senza esagerare, è diventato una "leggenda".

E in questa "leggenda", un ruolo importante è quello de "la madre di Alessandro"; tutti indistintamente me ne hanno parlato, e questo fa capire molto di quel luogo e di quella "impresa di famiglia" che era.

Donna dal carattere forte, che ha lasciato questa terra da qualche anno, ma che rimane un ricordo vivido e forte. Chiunque ha suonato lì ci ha avuto a che fare e nella maggior parte dei casi si è beccato un "cazziatone" dalla madre di Alessandro. Lei era coi piedi per terra, rigida a tratti, ma che teneva a bada tutti quei giovani artisti pieni di voglia di fare e creare.

«Era come la mamma di noi musicisti dell’epoca – dice ancora Riccardo Simoncelli –ci trattava con grande rispetto. A volte se la serata non andava per il verso giusto diventava austera, ma ogni parola anche la più cruda era motivo di miglioramento e un insegnamento di vita.

«Ale era la parte creativa, il sognatore, sua madre era la parte "rigida", concreta, si compensavano – dice Tony Landolina – una sera ero lì per il soundcheck e provai un mio pezzo che parlava dell’erba, legato al fatto che la legge vietava l’uso della marijuana ma poi permetteva cose dannosissime come l’alcol, e arrivò di corsa la madre di Alessandro, ci fece una cazziata visto il tema e ci disse che non lo avremmo potuto fare. Non lo suonai ma aprii la serata con Cocaine…».

«Era una delle prime vere realtà di musica dal vivo di vasta condivisione – dice Vito De Canzio –. È stato tra i primi locali commerciali che hanno dato spazio a tutti e in modo coerente con la musica dal vivo, avevi un palco dove suonare e non era scontato. Lì si riuniva tutta una serie di personaggi dell’ambiente musicale e della movida.

La mamma di Alessandro era l’anima critica del locale, lei aveva l’obbligo di cazziarti, un mio chitarrista stava ancora montando la sua chitarra e non aveva ancora collegato l’amplificatore, lei arrivò e gli fece un cazziatone bestiale, e lui le fece notare che l’amplificatore era ancora spento. Ricordo anche queste scene con affetto, facevano parte di quell’atmosfera.

All’88 ho visto i deliri più belli e più brutti. Era un locale verace, c’era sangue e sudore lì dentro, il contatto. Era un posto in cui ci si sentiva a casa».

Un episodio legato a sua madre me lo racconta Alessandro stesso, «Una sera vennero i Subsonica dopo un loro concerto ai Cantieri alla Zisa, li aveva portati una ragazza dopo averli abbordati (rimorchiati, ndr). Mia madre non sapeva chi fossero, glielo dissero ma lei non li conosceva e non cambiò idea: gli fece pagare il biglietto, 8 mila lire».

La storia dell’88 finisce il 31 marzo 2004, i vigili urbani misero i sigilli al locale per "pubblico spettacolo abusivo", «Ho cercato a lungo di evitare che succedesse ma alla fine mi fecero chiudere, segnando la fine di qualcosa di bello e importante per questa città, per la musica, per la gente, per i musicisti».

Le norme che regolavano le performance musicali ancorate ad un impianto giuridico del 1933, anni dopo sono state modificate grazie anche all’azione di titolari di locali come Ezio Giacalone e lo stesso Alessandro Sorrentino e musicisti come Filippo Cannino. Ma la strada è ancora lunga e ad ogni modo l’88 ormai era chiuso da anni e quella pagina chiusa.

Chiusa sì, ma non nella memoria. «Ricordo la stanzetta di Alessandro, la chiamava "l’ufficetto" – dice Filippo Cannino che settimanalmente suonava all’88 – bussavi per parlare con lui e spesso era solo ma a volte c’erano anche dieci persone, ma non tutti potevano accedere. Lì si decideva tutto.

Pochi facevano musica dal vivo per come la si pensa, là si faceva tutti i giorni della settimana e questo dava modo di avere un calendario infinito di musica. C’era una grande accoglienza nei confronti dei musicisti, e ci esibivamo in un vero e proprio concerto, come nei club fuori Palermo».

«Qual è il primo ricordo che ho se penso a quel luogo? La prima volta che ci andai, c’era tanta ma tanta di quella gente che dovevamo stare stretti stretti, questo è il mio primo ricordo e poi che quando venne modificata la legge e fu vietato fumare all’interno dei locali, improvvisamente ci rendemmo conto che anche al pub 88 si poteva respirare! Che risate!».

Già, perché anche il fumo di sigaretta che ti si appiccicava addosso e tornato a casa sembravi una ciminiera umana, fa parte dei ricordi indelebili e belli, sembra assurdo ma è così, perché non ci badavi, preso dal concerto, dai balli, dagli incontri.
Quante vite si sono incrociate, quante storie sono iniziate al pub 88 (e tante durano ancora oggi!), quante prime sbronze. Qualcuno forse ha ancor da qualche parte le T-Shirts dell'88 con dietro la scritta "NON NEL MIO NOME", alla vigilia dell'attacco USA e nato contro l'Iraq.

Chissà qual è il primo ricordo che a te che stai leggendo, viene in testa.
E chissà questa storia, anche a te che magari al pub 88 non ci sei mai stato, a cosa ti riporta.

«E a te cosa manca, Ale?»
«Mi mancano i miei vent’anni, mi manca quello che facevo, che facevamo, mi mancano le fimmine, mi manca mia madre».
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