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La guerra e quella "cartolina rosa": quando in Sicilia si morì al grido di "Nun si parti"

Dall'otto settembre del 1943 in Sicilia, con l’armistizio, si ebbe l'errata idea che la guerra fosse finita perché gli anglo-americano avevano liberato l'Isola dai nazi-fascisti. In realtà non era così

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 13 marzo 2021

La manifestazione del movimento "Non si parte" a Gela

Nel Sud e in Sicilia in particolare, dall’otto settembre del 1943, con l’armistizio si ebbe l'errata idea che la guerra fosse finita perché gli anglo-americano avevano liberato l'Isola dai nazi-fascisti. In realtà il governo italiano, alleato con gli anglo-americani, continuava a reclutare truppe per lottare contro i nazisti in varie regioni del paese.

Arrivarono quindi molte cartoline nelle case dei giovani siciliani con l'invito a presentarsi in caserma. Dal novembre 1944 al gennaio 1945 in diverse zone della Sicilia si ebbero manifestazioni e sommosse per evitare l'arruolamento dei giovani nell'esercito regio, impegnato (insieme agli anglo-americani dopo l'armistizio dell'otto settembre del 1943) nella liberazione dell’Italia continentale.

Il Governo Centrale dovendo sferrare l'attacco finale ai tedeschi attestati lungo la così detta "linea gotica", che attraversava l'Appennino tosco - emiliano, chiamò alle armi i giovani appartenenti alle classi dal 1914 e fino al primo quadrimestre del 1924. Con un censimento in tutta la Sicilia vennero individuati gli appartenenti alle classi del 1922, del 1923 e del primo quadrimestre del 1924 per chiamarli alle armi.
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Arrivarono così nelle case dei siciliani le cartoline "color rosa" con l'invito a presentarsi «… in nome di S.A.R. Umberto di Savoia, Luogotenente del Regno... entro dieci giorni, al distretto militare di... » e di portare «… gavetta, cucchiaio e coperta...».

«Perché i nostri giovani devono ripartire se la Sicilia è occupata e la guerra è finita?», si chiedevano i siciliani. «Nun si parti, nun si parti!!!» fu la parola d'ordine che spontaneamente si diffuse tra tutti i giovani siciliani che ricevettero la cartolina. La conseguenza fu la ribellione.

Nel novembre 1944 a Scicli dai tafferugli in piazza si passa all'insurrezione contro l’arruolamento; 50 comunisti, tra cui l’ex-capo partigiano prof. Vincenzo Portelli, saranno processati al Tribunale Militare di Guerra di Catania; la sentenza vedrà tutti assolti. Nello stesso novembre 1944 sono i comunisti di Comiso a proclamare con la forza delle armi una Comune, di brevissima durata per il sopravvento delle forze dell’ordine.

A Regalbuto in provincia di Enna, il 27 maggio del 1944, si ebbero violenti nel corso di una manifestazione e fu ucciso dai Carabinieri Santi Milisenna, sindacalista e segretario della federazione del Partito Comunista. A Catania, dall’11 al 15 dicembre del 1944, la protesta si trasformò in un vero e proprio tumulto; i manifestanti al grido di "abbasso la guerra", dopo avere devastato il Municipio e l'esattoria, tentarono di assaltare anche il Distretto Militare.

Il giovane Antonio Spampinato rimase ucciso. Il fatto viene ricordato dallo studioso Salvatore Baldacchino: "Il 17 dicembre del 1944, a Vizzini, in provincia di Catania, i Carabinieri, per sedare una delle tante rivolte di protesta per il richiamo alle armi, uccisero due dimostranti.

Il 31 dicembre del 1944 Giacomo Petrotta, giovane dirigente comunista nel frattempo dimessosi dal partito, si pose a capo della gran parte dei giovani di Piana dei Greci, oggi Piana degli Albanesi, e li incoraggiò a rifiutarsi di rispondere alla chiamata alle armi.

Riconosciuto leader del movimento antimilitarista dei "non si parte", Giacomo Petrotta fondò la cosiddetta "Repubblica contadina" di Piana degli Albanesi, che capitolò il 20 febbraio del 1945. Oltre cinquantacinque giovani furono denunciati a piede libero; mentre Giacomo Petrotta, Francesco La Russa e Nicolò Mandalà, capi del movimento, furono arrestati e rinchiusi nel carcere dell’Ucciardone.

Oggi non tutti sono d’accordo sul fatto che il Petrotta abbia fondato una vera e propria “Repubblica” e anzi è tacciato d’incoerenza per l’agire politico ondivago e senza un vero e proprio progetto credibile.” Il 28 maggio 1944 a Licata, in provincia di Agrigento, una vivace protesta popolare fu repressa molto energicamente. Il bilancio fu di tre morti e diciotto feriti tra i manifestanti, gli arrestati furono centoventi e tra questi diverse donne.

In un'altra cittadina della provincia di Agrigento, a Naro, “ L’undici gennaio del 1945 ci si preparava a festeggiare e rendere onore a San Calogero. Le “cartoline precetto” per il richiamo alle armi erano arrivate da qualche mese anche ai giovani naresi che avevano manifestato immediatamente non poche reazioni.

L'incertezza per il domani regnava sovrana, la fame e la miseria in molti strati sociali la facevano da padrone. Dai paesi vicini e specialmente dalla provincia di Ragusa arrivavano notizie sulle insurrezioni popolari portate avanti dal movimento antimilitarista dei “non si parte”.

Bastava un nonnulla per accendere gli animi. A Calogero Petrolino, un giovane maestro elementare di Camastra, brillante oratore, separatista e idealista, di appena ventuno anni, l’11 gennaio 1945, nel corso di un vibrante comizio tenuto a Naro, bastò stigmatizzare l’ennesima chiamata alle armi, con la veemenza oratoria che gli era propria, per infervorare gli animi e mettersi a capo dei giovani naresi che non volevano tornare in guerra.

Bastò ancora che uno dei tantissimi giovani - presente nella piazza principale di Naro per ascoltare l’arringa del Petrolino - bruciasse la cartolina precetto ricevuta, perché i manifestanti insorgessero contro i poteri dello Stato e perché a Naro scoppiasse quel finimondo passato alla storia come l'insurrezione dei "non si parte" ovvero la "sommossa dell'undici gennaio".

Raccontano ancora gli anziani che successe di tutto. Dall'undici al tredici gennaio i rivoltosi saccheggiarono e devastarono la Caserma dei Carabinieri, la Pretura, il Carcere Mandamentale, l'Ufficio Imposte di Consumo e altri edifici pubblici e privati, procurarono l’evasione degli otto detenuti che erano "ristretti" nel Carcere Mandamentale ubicato nel Castello Chiaramontano diventando per quei tre giorni i padroni assoluti del paese.

Quelle terribili giornate furono caratterizzate da drammatici scontri a fuoco tra carabinieri e rivoltosi. Sei persone rimasero uccise negli scontri a fuoco tra militari e insorti, tra i quali lo stesso Petrolino e il sottotenente dei carabinieri Antonino Di Dino. Il 13 gennaio 1945 gli insorti di Naro si arresero.

I carabinieri interrogarono e arrestarono centinaia di persone e tra queste vi erano molte donne, come si legge nella "Relazione sulla rivolta verificatasi nel Comune di Naro" resa dal Capitano Comandante dei Reali Carabinieri della Compagnia Esterna di Agrigento il 19 gennaio 1945. Dopo la resa e tornata la calma, domenica 14 gennaio 1945, i carabinieri interrogarono e arrestarono centinaia di persone che furono deportate nella colonia penale di Ustica, ove si aggiunsero ai tantissimi arrestati in ogni parte dell’isola. A Palma di Montechiaro la rivolta si svolse nel dicembre del 1944.

È una cronaca del Giornale di Sicilia dell’ottobre del 1945 sull'esito delle indagini a riferire che alcuni edifici pubblici vennero saccheggiati e "gli agenti della forza pubblica, intervenuti venivano fatti segno a colpi di arma da fuoco" e che "in seguito alla vasta operazione di polizia svolta dall'ispettorato generale di P.S. in provincia di Agrigento, in settembre, oltre 19 componenti di bande armate vennero arrestati e anche 60 complici e favoreggiatori e sequestrate abbondanti armi, munizioni e materiale vario".

Al grido di "nun si parti" scesero in piazza e morirono molti siciliani. Le cifre ufficiali danno 18 morti e 24 feriti tra carabinieri e soldati, e altri 19 morti e 63 feriti fra gli insorti nella sola Ragusa e provincia. Il Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti emanava un provvedimento di amnistia (Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari), promulgato il 22 giugno 1946, e i procedimenti giudiziari furono definitivamente archiviati.

Il 4 luglio 1946 quasi tutti, grazie a tale provvedimento, furono rimessi in libertà.
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