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La vedi all'improvviso apparire tra due borghi: dov'è in Sicilia la "Diga Castello"

Il viaggio di ritorno è una formalità. Sono passati tanti secoli dalla costruzione (del fortino) eppure, il sapore antico non ha abbandonato del tutto il luogo. Ecco dove

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 9 giugno 2025

"Finalmente, sulla cresta di un'alta rupe videro un castello, simile ad un falco appollaiato, con la torre alta e merlata, le mura massicce". "Era l'antico castello della Pietra, le cui rovine si vedevano ancora in cima alla rocca, donde aveva preso il nome la vicina Alessandria [...]”.

Attratti qui dal romanzo “I Beati Paoli” di Luigi Natoli, andiamo alla ricerca del fortino di Pietra D’Amico dove vennero tenute prigioniere la moglie e la figlia di don Raimondo, duca della Motta. In sella ai nostri cavalli (auto) cerchiamo la retta via per raggiungere uno dei luoghi mozzafiato dell’intera isola.

Che sia da Bivona o Alessandria della Rocca, a pochi chilometri di distanza dai due borghi appare - nella sua incantevole bellezza - la diga Magazzolo. Per chi proviene da Alessandria e ode strani suoni medievali, inizia una passeggiata di circa due chilometri.

Tra saliscendi nello sterrato, i boschetti disegnano splendide curve attorno alla diga. Intrecci storici si mescolano a infrastrutture architettoniche. Un mix “imperiale” da cui ricavare la giusta sintonia. La primavera scandisce i perfetti effetti sonori, di volatili festosi e ronzii noiosi. Alla nostra destra domina l’invaso.

Il progetto per la realizzazione della diga Castello (chiamata anche così) fu avviato nella seconda metà degli anni Sessanta. I lavori - purtroppo - vennero terminati nel 1985. Le acque - nei mesi estivi - irrigano i campi delle valli di Magazzolo, Verdura e Platani (con una portata di 400 l/s secondo le ultime stime).

L’intenso "celestiale" spicca oltre ogni logica, lasciando di sasso i camminatori. L’altimetria irrilevante permette a tutti di condividere la gioia naturale, lasciandosi coinvolgere dalle margherite bianche e gialle. Intensi profumi di una vegetazione sparsa e rigogliosa. Nel bel mezzo del cammino spuntano dei casolari abbandonati, testimoni di una ruralità spesso dimenticata.

E poi, dopo un paio di curve, ecco apparire lo scenario "poco immaginato": i ruderi del Castello Pietra d’Amico. I colori rudi della roccia hanno perso - nel tempo - la vivacità, coinvolti prepotentemente dai fenomeni geologici attivi. Esistente (?) presumibilmente in epoca bizantina (costruito per difendersi dalle incursioni saracene), i primi ritrovamenti (utensili, vasellame e vari cocci) vennero fatti negli anni Ottanta (durante la costruzione del bacino).

Il primo documento che annovera il castello è il “Castrum Petre Amicj” del 1355. Il nome fu dato dal Signore Pietro d’Amico. Passò ai Vinciguerra nel 1398 e poi ai Blasco Barresi (fondatori della città di Alessandria della Rocca) nel 1570. Il castello comprendeva una torre quadrangolare e alcuni ambienti rupestri. Di tutto questo rimane ben poco, ma gioca un ruolo interessante l’incastro con l’ambiente circostante.

Se da un lato è possibile avvicinarsi (con le dovute precauzioni) alla diga, dall’altro, camminando (come i veri avventurieri) sui massi, sentiamo “forte” l’istinto del cavaliere. Dei prigionieri rimangono i fatti narrati, ma l’obiettivo è quello di esplorare il sito. Il silenzio appaga la nostra indagine storica.

Siamo pervasi dalla buona volontà. Affiora il deterioramento delle rocce, manifesta superiorità dell’invecchiamento. Gli scatti mettono fine alla parola ricerca, prevalgono su ogni altro aspetto.

Una piccola cornice in un territorio - quello agrigentino - ricco di sorprese. Il viaggio di ritorno è una formalità. Sono passati tanti secoli dalla costruzione (del fortino) eppure, il sapore antico non ha abbandonato del tutto il luogo.

È scavato negli angoli dispersi, quelli introvabili. La baronia alessandrese ha influito nei secoli di massimo splendore, lasciando alla storia un piccolo capolavoro da non perdere.
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