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Le elezioni ai tempi antichi: come funzionava a Palermo tra Baiuolo, Giurati e Giudici Idioti

Vi portiamo indietro nel tempo, nel'300. In che modo avvenivano le elezioni nel passato? Quanti candidati si eleggevano e quali erano i compiti che gli spettavano? Che "caratteristiche" dovevano avere?

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 4 giugno 2022

La Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio a Palermo (La Martorana)

A breve ci saranno le elezioni comunali. Il 12 giugno, in concomitanza con la partita di ritorno della finale dei playoff di serie C, che vede la squadra del Palermo Calcio candidata per la serie B.

Si sta già valutando di anticipare la partita, per evitare “accavallamenti indesiderati”. Si può essere d'accordo. Le nuove elezioni sono un momento vitale, specie per una città come Palermo. E allora mi è venuto in mente, essendo amante di storia locale, di scoprire in che modo avvenivano le elezioni nel passato, quanti candidati si eleggevano e quali erano i compiti che gli spettavano, ma soprattutto quali comportamenti dovevano tenere per continuare ad amministrare la nostra città.

Colui che diede una struttura “regolare” e che istituì una prassi elettiva del consiglio comunale fu Federico d'Aragona. Palermo nel milletrecento aveva una sorta di sindaco che veniva chiamato “Baiulo”, l'antesignano del Pretore. Oltre al Baiulo la città eleggeva ogni anno sei Giurati (Assessori) con poteri giuridico amministrativi, e sei “Giudici Idioti”, cioè della plebe, ed essi, tutti insieme, dovevano essere cittadini di Palermo e fide digni. Tra i candidati non vi potevano essere né baroni né cavalieri perché «trincerati nei loro castelli avevano poco interesse nell'amministrazione della cosa pubblica».
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Si votava alla fine di agosto di ogni anno e a votare erano anziani, mercanti, buoni cittadini e i capi della maestranze. I quartieri di Palermo erano «L'Albergheria, il Seralcadio (il Capo di oggi), la Kalsa, la Porta Patitelli o Conceria (più tardi chiamato pure Loggia)» e il Cassaro. Ogni quartiere doveva avere un giurato. Il Cassaro, che era il più grande, ne doveva avere due. In aiuto ai giurati, venivano eletti anche dei giudici. «Il re aragonese fece del bajulo, dei suoi giudici e dei giurati unica corporazione municipale e volle che tutti fossero eletti in ciascun paese dal comune stesso».

Ecco, per sommi capi, alcuni dei doveti e delle competenze delle prime cariche cittadine di Palermo nei primi anni del '300. Tutti i venerdì i giurati dovevano andare presso la corte del pretore e in Santa Maria dell'Ammiraglio a tenere consiglio sopra i fatti di cui la città aveva bisogno e prendere provvedimenti adeguati (Il palazzo delle aquile ancora non esisteva e forse neanche il palazzo pretorio come “casa di la citati”, spesso tale palazzo coincideva con la casa privata del baiulo o del pretore).

Chi non si presentava quando c'era il Consiglio doveva pagare un'ammenda di due tarì, eccetto coloro i quali avevano una degna giustificazione. Se qualcuno dei giurati non faceva bene il suo lavoro ed era negligente, non si curava del buono stato della città e ancora consentiva “male costumanze”, il detto giurato doveva essere privato della sua carica e dell'onore e mai più avrebbe potuto avere cariche, né lui né i suoi eredi, addirittura avrebbe ricevuto la scomunica del papa e tutto ciò sarebbe rimasto nelle carte a perenne memoria (sì, un po' come accade oggi).

Quando i giurati volevano fare Consiglio o discutere dei fatti necessari per la città dovevano chiamare cittadini anziani e mercanti e se qualcuno si fosse rifiutato di presentarsi avrebbe dovuto ricevere la stessa pena dei giurati pagando due tarì.
I giurati erano tenuti a monitorare costantemente le mura della città, le strade, le piazze e le vie pubbliche e obbligare i proprietari dei palazzi ad esse prospicienti a restaurarli per evitare danni a cose o persone, pena l'esproprio dei beni.

I giurati dovevano garantire l'approvvigionamento alimentare della città e visionare i prezzi insieme ai maestri di piazza. In ciascun quartiere si doveva ordinare un “mastro de la mundiza” e che tale mundiza si doveva gettare fuori delle mura della città.

Queste e tante altre ordinazioni istituì Federico d'Aragona, molte delle quali ancora oggi sono vigenti. Ma ciò che mi preme sottolineare, anche se può sembrare una cosa banale e scontata, è che i giurati dovevano essere “Citadini di fide digni”: l'elemento principale che doveva contraddistinguere un giurato (e quindi un politico) era l'integrità morale.

Oggi i proclami si sprecano nelle varie dichiarazioni e nei dibattiti. Ognuno dei candidati e delle candidate prospetta meravigliosi futuri per la nostra città, ma io, senza puntare il dito contro nessuno, mi auguro che i candidati tengano conto di questo antico prerequisito e lo stesso valga anche per coloro che eleggeranno la nuova classe dirigente. È proprio il caso di dire “ad maiora”.
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