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Non lo ascoltarono e in Sicilia fu applicato il Codice dei Savoia: la grande opera di Filippo Foderà

Chissà come sarebbe andata se i legislatori siciliani avessero dato seguito alle richieste dell'agrigentino che realizzò una delle più grandi opere di scienza giuridica dell’Ottocento

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 24 luglio 2022

"Una vista a Girgenti in Sicilia con il Tempio della Concordia e Giunone" - particolare - (Charles Lock Eastlake, 1818)

Un cumulo di statuti locali, consuetudini, leggi e cavilli in contraddizione e di difficile interpretazione e applicazione, risalenti persino all’antico impero romano, ai normanni e a straniere legislazioni dei vari popoli che avevano nel tempo conquistato l’Isola, trovarono finalmente chi diede loro principi, regole, metodi per diventare un moderno Codice giuridico.

Un’opera di elevato spirito scientifico e moderno, punto di riferimento non solo per la Sicilia ma anche per i sistemi giuridici europei del tempo a cui i re di Sicilia nell’Ottocento avrebbero dovuto ispirarsi per realizzare la prima grande riforma del codice penale.

"Principi della legislazione criminale e della riforma dei codici criminali”, il titolo dell’opera, pubblicata nel 1812, un anno dopo la promulgazione della nuova Costituzione borbonica. Dopo tale impresa infatti i legislatori siciliani del tempo avrebbero dovuto formare il progetto di tre Codici, penale, di processura e di polizia, come Filippo Foderà chiedeva e sosteneva in tutte le sedi competenti.
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Ma nessuno raccolse il suo appello, così il Regno delle due Sicilie rimase privo di un proprio Codice penale e dopo l’annessione al regno d’Italia inevitabilmente venne applicato anche in Sicilia il Codice dei Savoia.

“Principi della legislazione criminale e della riforma dei codici criminali” è la grande opera d’ingegno del giurista Filippo Foderà, agrigentino, pochissimo o quasi niente ancora oggi conosciuto dai sui concittadini, che invece hanno onorato negli ultimi due secoli il fratello, il fisiologo Michele. Un istituto scolastico è stato dedicato a Michele Foderà e oggi una lapide indica nella centralissima via Atenea la casa ove visse e qualche convegno è stato organizzato per celebrarlo. Nulla ad Agrigento ricorda invece Filippo Foderà.

In realtà, nel Regno delle due Sicilie, in quel tempo in cui i due fratelli vissero, Filippo era più noto e ammirato di Michele. A Filippo venne assegnato il seggio che nel Senato spettava a Girgenti.

Filippo nasce il 9 settembre del 1789 a Girgenti da Antonino e Paola Vullo che “menano la vita fra gli agi in una onorata opulenza, frutto della loro industria nell’economia del traffico”, ci dice il suo unico biografo.

Studiò presso il seminario vescovile di Agrigento (allora denominata Girgenti) quando questo era diretto da monsignor Granata.
“Ivi si distinse a buon’ora per caldissimo amore, ed assiduità nello studio, e per avidità nella lettura dei libri, ed aiutato dalla felicità dello ingegno, dalla facile attitudine alla riflessione, e da una prodigiosa memoria, apparò presto le umane lettere, e vinse ogni altro in latinità, ed in poesia, e soprattutto in filosofia, ed in matematica, verso le quali discipline con ispecial talento si compiaceva di dedicarsi”.

Continuò gli studi a Palermo, ove studiò anche musica e soprattutto filosofia morale. Dopo si dedicò agli studi di legge. Tra le sue letture: Grozio, Montesquieu, Beccaria, Puffendorf, Filangieri.
Per dare maggiori supporti scientifici agli studi di filosofia morale e quindi alla conoscenza dell’uomo si dedicò allo studio della medicina: “Piacque lui studiare l’uomo nell’uomo stesso, interrogare la sua natura, le sue inclinazioni, le sue tendenze, indagare le prime origini delle sue passioni e conoscere come li animali funzioni operassero su’ fenomeni dell’intelligenza”.

Approfondì quindi gli studi di fisiologia “e sopra ogni altro ebbe a caro i libri del celebre Cabanis, ove segnavansi i rapporti, e l’influenza del fisico sul morale”. Fu seguace della dottrina di Elvezio. Questi studi gli servirono anche nell’applicazione al diritto e in tal senso opportuno fu lo studio della filosofia del Bentham.

“Così operava anche lui il movimento degli spiriti, che agitava l’Europa intera sin da mezzo secolo”. Già nel primo decennio del 1800 si avvertiva in Sicilia l’esigenza di riordinare secondo lo spirito del secolo l’intera legislazione penale che risultava ancora definita da “una strana mischianza delle leggi romane, e degli statuti dei principi normanni, svevi, aragonesi, spagnoli ed austriaci, che successivamente aveano ottenuto la dominazione della Sicilia; però riuscivano oscure, intricate, improvvide, e spesso contraddittorie”.

Il desiderio di molti era quello di attuare una riforma dei “codici criminali” così da “ridurli a quel grado di unità, e di bontà, che corrispondesse ’principi inalterabili della giustizia, ed alle circostanze de’ tempi”. Proprio nel periodo in cui ferveva la discussione tra i dotti su questo problema, Filippo Foderà dava alle stampe l’opera per la quale allora divenne celebre. Aveva appena 24 anni (1813).

Divenne deputato rappresentante della città di Girgenti nel parlamento siciliano e direttore delle corrispondenze nazionali.
Venuto in Sicilia il tempo delle proscrizioni e delle condanne, comechè molto ei temesse per se stesso, e non può che mali voci si spargesse intorno a lui, ebbe il coraggio di presentarsi alle corti militari energico difensore degl’infelici, cui la giustizia perseguitava, ed orò forti, ed eloquenti parole, per le quali ebbe a consolarsi di aver scampato da morte non pochi sciagurati i quali nella magia della sua parola avevano riposto le loro speranze”.

Fondamentale fu il suo ruolo nel foro di Palermo nel periodo di transizione dai vecchi e nuovi sistemi legislativi. In questo periodo scrisse numerosi libri sulle questioni più controverse rivelando una profonda conoscenza di diritto comparato. “Siffatti lavori apprestavano, ogni dì, più argomenti costantissimi della sua singolare valenzia in giure, onde sempre più divulgava la stima in che tenevasi il suo nome, e cresceva verso di lui la concorrenza dei litiganti; ed era lusinghiero il veder tutte le ore del giorno affollate le sue sale di ogni maniera di persone, non esclusi coloro che alle classi più distinte si appartenevano”.

Negli ultimi anni della sua vita si dedicò allo studio della musica. Anche qui studiò la parte scientifica dell’attività musicale: lo studio delle vibrazioni nei vari mezzi, le onde sonore, la celerità con cui suono si propaga. Studiò cioè acustica. Pubblicò il libro “Scienza dell’armonia, per nuove vie condotta sotto le leggi generali dell’acustica, seguita dalla storia delle principali teorie armoniche”. Diede alle stampe anche un “Trattato di cristallografia”.

Per quanto riguarda le opere di giurisprudenza, oltre ai “Principi della legislazione criminale e della riforma dei codici criminali”, scrisse un “commentario sulla nuova procedura civile”. descrittiva”.

Fu anche poeta. Morì all’età di 47 anni il 5 luglio 1837 a Girgenti durante l’epidemia di colera.
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