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Sei di Bagheria se ci vediamo "a' punta vugghia": l'origine del suo (aguzzo) nome

Se chiedete a un bagherese un appuntamento lì, non esiterà ad accettare. Forse però non sa nemmeno lui perché questo luogo si chiami così. Ve lo sveliamo

Sara Abello
Giornalista
  • 8 novembre 2022

Bagheria (dettaglio di un'immagine di Opera propria, CC BY-SA 3.0)

Provate a chiedere ad un bagherese un appuntamento alla punta vugghia e ditemi se non vi capisce...ora provate a chiedergli perchè un certo punto di via Consolare, che incrocia “u stratuni” di Corso Butera e poi diviene via Federico II, si chiami proprio così. Ecco è lì ca si rumpinu i telefoni!

Nulla a che vedere con gli aghi, come pensavo io da piccola, del resto "vugghia" in dialetto siciliano significa proprio ago... anche se, un nesso c’è, e lo scoprirete a breve.

La via Consolare di Bagheria, una di quelle strade di congiungimento che i romani facevano costruire sotto il loro impero per ragioni sia militari che economiche, giungeva ad un piazzale dal quale aveva inizio il Corso Butera, voluto nel 1769 da Salvatore Branciforti, principe di Butera, e al quale giustamente fu intitolato.

U stratuni, definito così a ragione perchè era lungo, dritto, largo, adornato da viali alberati, si estendeva già per circa un kilometro e culminava nella sua dimora, Villa Butera appunto.
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Ma secondo voi, un viale tanto maestoso, proseguito in seguito sino al mare di Aspra con il rittufilu, poteva non avere un altrettanto maestoso ingresso?! I bagheresi di ogni epoca ed estrazione sociale si contraddistinguono per le manie di grandezza, quindi è chiaramente una domanda retorica la mia... due grandi guglie infatti, pilastri che culminavano in maniera piramidale, con delle punte che ricordavano degli aculei per l’appunto, segnavano il trionfale ingresso del Corso Butera.

Ed ecco svelato l’arcano! Ad aiutarci in questa ricostruzione del territorio baarioto, della Bagaria del ‘700, come si chiamava all’epoca, è senza dubbio il lavoro di tanti personaggi a cui la città delle ville ha dato i natali, pensate ad esempio al grande racconto pittorico dei mostri di Villa Palagonia che ci ha offerto Carlo Puleo, o al lavoro di Martino Grasso, giornalista che per il suo libro “Bagheria fra mostri e viaggiatori” si è preso la briga di andare a contare una per una le figure grottesche rimaste, scoprendo che oggi ve ne sono addirittura il doppio della sessantina descritta da un altro giornalista, Gustavo Strafforello, venuto a Bagheria nel 1893.

Ancora più di recente, un’altra artista bagherese, Caterina Guttuso, in occasione della sua pubblicazione “Lo splendore in Bagaria feudo di Solanto” e di una esposizione delle sue opere pittoriche, ha ricostruito in diversi punti il tessuto urbano della Bagaria dell’epoca.

«Se sei nata e cresciuta a Bagheria, la bellezza dell’arte la vivi nella quotidianità e il desiderio di approfondire e sapere di più di quello che hai davanti agli occhi è un passaggio obbligato» viene raccontato nel suo testo. Ed è proprio da una vita di ricerche, dove il materiale storico è stato trasposto su tela, che viene fuori questo racconto che ci aiuta a scoprire scorci della nostra cittadina.

Del resto «se vuoi essere universale parla del tuo villaggio» affermava Tolstoj. Le guglie baariote non dovevano di certo essere paragonabili a quelle del Duomo di Milano o della basilica di Notre Dame di Parigi, però, nel loro "piccolo", sufficienti ad identificare ancora oggi, secoli dopo, un’area delimitata da Villa Cattolica e dal lungo stratuni.

Così Bagheria, che pur non avrà i suoi mandamenti come la più estesa Palermo, ha comunque dei quartieri che la frammentano e uniscono al contempo. Ei lannari, ‘a Cina, nnì Palaunia, a Maruonna o Carminu e persino u furriatu, sulla cui nomenclatura ho tutta una mia personale visione delle cose, sono solo alcune delle zone di Bagheria che ancora oggi riusciamo facilmente ad individuare e che fungono da tessera per il più grande puzzle del nostro tessuto urbano.

Punti di riferimento per luoghi, volti e aneddoti di un tempo ormai andato. Dobbiamo essere grati a quanti amano e hanno amato questa cittadina piena di contraddizioni come tutte le altre, non più di altre, e grazie a questo amore ci continuano a consegnare spunti interessanti di riflessione che non solo ci aiutano a conoscere il passato, ma lo pongono in dialogo con il futuro.
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