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Sopra la panca la capra campa: la leggenda delle ossa di Santa Rosalia tra capre e Oxford

Le ossa rinvenute su Monte Pellegrino a Palermo nel 1624, sono state oggetto di studi (sono forse di animale?) e la santa è stata perfino "patrona" di uno studio sugli insetti

  • 15 luglio 2018

Un caprone

Santa Rosalia era una capra”. Detta in questo modo può suonare come una bestemmia, eppure si intitola proprio così un articolo scientifico apparso sulla prestigiosa rivista "Science" nel 1983 a firma dell’ecologo Robert Lewin.

L’articolo di Lewin comunque è soltanto una delle tante ricerche in ecologia che richiamano il nome della Santa patrona di Palermo.

Per comprenderne le ragioni dobbiamo fare un passo indietro e tornare al 1959. In quell’anno, lo zoologo americano George Evelyn Hutchinson, professore a Yale, visitò la zona del Santuario di Monte Pellegrino e scoprì il piccolo laghetto che sorge lì vicino nel verde.

Nelle acque dello stagno trovò a convivere due specie diverse di emitteri (insetti) acquatici: una condizione che violava il cosiddetto principio di Gause (o "principio di esclusione competitiva"), permettendo al professore americano di dimostrare la teoria che in particolari condizioni ambientali due o più specie ecologicamente simili possono convivere.
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Una volta tornato in America, il Professore presentò i risultati dello studio in un discorso all’American Society of Naturalists, durante il quale definì Santa Rosalia "Patrona degli studi evolutivi".

Da quel momento, con la pubblicazione del lavoro "Homage to Santa Rosalia or Why are there so many kinds of animals?" (letteralmente, Omaggio a Santa Rosalia o Perché esistono così tante specie di animali?), il nome di Santa Rosalia è rimasto legato per sempre a questo studio rivoluzionario, ma è comparso anche in tantissimi altri articoli scientifici di naturalisti e zoologi di tutto il mondo, che ricordano le conclusioni a cui giunse lo zoologo americano proprio in prossimità del luogo sacro ai palermitani.

Santa Rosalia dunque patrona della biodiversità dunque, ma l’articolo del 1983 ci ricorda anche un’altra storia, forse più conosciuta e certamente più amara.

Viaggiando ancora più a ritroso nel tempo, ovvero nel 1825, il geologo inglese William Buckland – c’è chi dice durante il viaggio di nozze e chi invece che venne appositamente – visitò il Santuario di Monte Pellegrino accompagnato dai preti della struttura.

Avendo profonde conoscenze in campo paleontologico e appassionato osteologo, una volta trovatosi difronte ai resti della Santa, non ebbe alcun dubbio: "Queste sono ossa di capra, non di un essere umano", esclamò tra l’orrore generale dei preti.

Uomo religiosissimo, Buckland venne accusato di non essere in grado di riconoscere le spoglie della Santa poiché poco fedele (insegnava in una scuola ecclesiastica, il Corpus Christi College di Oxford), eppure dopo questo evento le spoglie di Santa Rosalia vennero sigillate e fu impedito a chiunque di effettuare ulteriori analisi confermative.

Soltanto nel 1987, i resti furono controllati visivamente (dunque nessuna analisi chimica a supporto) alla presenza del medico e diacono Luigi Ciolino: l’esame portò alla conclusione che doveva trattarsi con buona certezza di ossa di giovane donna. Un’analisi comunque priva di alcun fondamento scientifico.

Le presunte ossa di Santa Rosalia vennero rinvenute nella grotta durante la famosa peste dei primi del Seicento, a seguito delle visioni di alcuni palermitani.

Il Vescovo Giannettino Doria chiese di fare analizzare subito le spoglie, che sembrarono appartenere ad almeno tre uomini, viste le dimensioni.

L’esito dell’esame non incontrò certamente il favore del popolo, avido di speranza in quel momento così difficile. Così il direttore di Casa Professa, padre Giordano Cascini, riuscì a convincere Giannettino Doria a far riesaminare le spoglie rinvenute, tra le quali, questa volta, si riconobbe un teschio di dimensioni leggermente inferiori rispetto agli altri, che fu attribuito ad una donna.

Le ossa furono così portate in processione e Palermo fu liberata dalla peste, il resto è storia. Storia sì, ma la scienza dove la mettiamo?
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