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Una lente sulle "crepe" dei più fragili: così due siciliani raccontano la tossicodipendenza

"Crepe": è questo il nome che Antonino Lombardo e Alessio Angelo hanno voluto dare al loro progetto scaturito da un forte impegno sociale: ve lo raccontiamo

Jana Cardinale
Giornalista
  • 5 settembre 2025

Antonino Lombardo e Alessio Angelo

"Crepe": è questo il nome che Antonino e Alessio hanno voluto dare al loro progetto scaturito da un forte impegno sociale e proseguito con il duplice obiettivo di confluire in una mostra fotografica e in un libro che mettesse al centro la prevenzione, snocciolando le sofferenze e provando a dare strumenti ai giovani per dire no alla droga.

Allo stesso tempo per "umanizzare" la figura del tossicodipendente con cui, racconto dopo racconto - sebbene le storie emerse siano di malavita - si è finito con l’empatizzare e dispiacersi per questo percorso di dannazione, dovuto a un grande bisogno di aiuto e alle tante fragilità.

Sghettizzare, dunque, provando ad ascoltare, per raccontare.

Un’indagine sul consumo di crack nella Sicilia Occidentale, sostanza che induce a una dipendenza più elevata più rapidamente rispetto alla cocaina inalata e il cui consumo, in crescente aumento, rappresenta un problema sanitario e sociale di grandi dimensioni.

Alessio Angelo, di 42 anni, è un docente di Lingua e Letteratura italiana nella sezione di Grafica e Comunicazione all’Istituto Superiore "Calvino – Amico" di Trapani.

Laureato in Lettere e con una specializzazione in Antropologia, ha collaborato negli anni scorsi con la Fondazione Buttitta di Palermo.

Antonino Lombardo, di 44 anni, è vicino da sempre al mondo dell’arte ed è un grande appassionato di fotografia. È podologo di professione e amministratore di un’azienda di ceramica a Mazara del Vallo.

Entrambi sono mazaresi, amici storici, legati sin dall’adolescenza, hanno deciso di unire le forze e le competenze sulla spinta di un episodio che ha dato casualmente il via a quest’esperienza: «Ho sentito il peso emotivo di una ricerca che doveva condurre un mio cugino, giovane studente di terza media – dice Antonino – e cioè una tesi sulle dipendenze.

L’idea è stata di andare in un centro di recupero e fare delle piccole interviste agli ospiti.

È stata un’esperienza importante, piccola ma significativa in merito alla salute e al benessere, poiché com’è noto l’uso cronico del crack ha delle conseguenze devastanti.

E allora abbiamo pensato con Alessio di proseguire la ricerca ampliando l’argomento, dando vita a un progetto il cui nome nasce da una tecnica internazionale di smalto per ceramica – craquelè - in cui la stessa ceramica si rompe dando origine a un rumore onomatopeico.

Nelle ceramiche tutto questo è un pregio, perché queste rotture danno valore all’oggetto.

La nostra idea è vedere queste crepe e fratture di salute e di relazioni familiari, come se fossero un "valore", perché sono parte delle persone.

Persone che hanno delle crepe più profonde rispetto ad altre vite, ma che comunque fanno parte del quadro del paesaggio della vita».

Due i centri visitati finora, anche se l’intenzione è di estendersi ad altre comunità del territorio siciliano, oltre Mazara del Vallo, tra Marsala, Salemi, e Bagheria: il Centro "Salute e Benessere" di cui è responsabile la dottoressa Margherita Ippolito, dove sono state fotografate e intervistate circa venti persone, e la "Casa dei giovani" diretta dalla dottoressa Maria Celestino.

Tramite un registratore sono state raccolte le storie e poi scattate delle foto che rispettano i canoni estetici della fotografia.

I protagonisti sono persone dai 30 ai 60 anni di età, alcuni in stato di detenzione, altri con il braccialetto elettronico, altri in attesa di giudizio.

La maggior parte di Palermo e Catania, dal momento che si evita di far fare il recupero nella stessa città di provenienza.

Nel secondo centro sono state ascoltate sei persone su venti circa e molto più giovani di età.

Storie dure, dolorose. Alcuni ospiti sono stati denunciati dalla madre e dai familiari per iniziare il percorso di carcerazione, altri sono stati colti in flagranza di reato.

Il lavoro di Antonino e Angelo è quasi terminato, e in loro possesso c’è del materiale già sufficiente per comporre un libro di 120 pagine e per realizzare la mostra, che certamente entro la fine dell’anno vedrà la luce in alcuni spazi pubblici di Mazara.

«Ho sempre utilizzato la fotografia come supporto a lavori di etnografia e antropologia – dice Alessio – come una sorta di fotografia sociale, per associare l’immagine a un testo che è un racconto di vita vissuta.

La nostra idea è quella di non intervenire dal punto di vista dell’interpretazione, ma comporre il libro come una sequenza di autoracconti da leggere.

Volevamo produrre un lavoro senza pregiudizio e portare all’esterno dei centri di detenzione, di comunità o casa famiglia.

Il fatto che i cosiddetti ‘tossici’ non sono solo tossici, ma persone, che nel frattempo sono diventati papà o nonni.

Qualcuno si è sposato, sono nate delle amicizie all’interno di queste comunità dove l’intento è anche quello di umanizzare, oltre a far espiare una pena, intraprendendo un percorso di recupero».

L’esperienza ha generato l’adesione spontanea da parte degli utenti e solo in alcuni casi i responsabili delle strutture sono stati presenti alle interviste, nel caso in cui c’era bisogno di aiuto per delle storie e dei casi complessi.

Ma man mano gli stessi ospiti hanno superato l’imbarazzo di rendere note le proprie storie, anche grazie a momenti di convivialità creati all’interno delle strutture, che hanno dato l’occasione di mangiare assieme e di stringere dei legami di fiducia.

«Alcuni sono anche coetanei – dicono Antonino ed Angelo - e qualcuno lo si conosceva già.

Ci sono storie di violenza familiare o domestica, a volte disagi psichici, racconti forti che abbiano ritenuto, insieme a loro, di rendere noti».

Il lavoro è già a buon punto, sia per il libro che per la mostra. C’è già un grafico che è all’opera per l’impaginazione del testo, che si avvale di una presentazione iniziale, a quattro mani, lasciando poi spazio ai racconti spontanei.

«Utilizzeremo due linguaggi diversi, Nino il colore e io il bianco e nero - dice Angelo - ma l’editing lo faremo insieme.

In passato ho lavorato anche al Centro di ricerca sulla complessità di Bergamo per un’indagine etnografica tra la Sicilia e la Tunisia, e mi sono occupato di immigrazione.

Oggi cercavamo un tema sociale per utilizzare le foto e anche grazie alla circostanza della tesina di scuola media è emerso questo argomento.

Le nostre storie sono locali, o circoscritte alla Sicilia, ma crediamo che la chiave di lettura sia universale: basta un’unica lente da usare per tutta la società italiana, in merito alle dipendenze».
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