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Ferrandelli, amico mio (prima parte)

È giovane e per almeno altri 15 anni ce lo continueremo a ripetere. Lo era cinque anni fa, proprio quando, di questi tempi, erano sei mesi ch'era partita la sua corsa alla poltrona di primo cittadino.

  • 4 aprile 2017

Fabrizio Ferrandelli

È l'uomo politico del momento, in "negativo", purtroppo, ma pur sempre del momento. Fabrizio Ferrandelli, coetaneo e "amico mio", fa politica da tempo immemore. È giovane e per almeno altri 15 anni ce lo continueremo a ripetere. Sì perché Fabrizio era/è il nome nuovo di Palermo. Lo era cinque anni fa, proprio quando, di questi tempi, erano sei mesi ch'era partita la sua corsa alla poltrona di primo cittadino. Sei mesi che lo portarono pian piano nelle grazie dei buoni della politica locale.

Passato dalla tradizionale formula di candidatura del "me lo chiede la gente" al "se me lo chiede Cracolici", sfidò e vinse una battaglia all'ultimo sangue lungo il percorso delle "primarie aperte" del Pd. Furono giornate di veleni, ma riuscì a spuntarla su Faraone e, soprattutto, sul "BorsOrlando", nomignolo di battaglia che Orlando appioppò alla discesa in campo in tandem con Rita Borsellino.
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Discesa che poi si rivelò ascesa, poiché, scaduto il tempo delle primarie, si candidò nonostante la sconfitta e asfaltò il candidato della gioventù, con un risultato da "psicoanalisi" della sconfitta. Ci vollero sei mesi, quattro cambi "d'area", un silos di "Tavernello", due banchetti di matrimonio, un film di Alvaro Vitali e uno sciroppo alla menta, per far riprendere Ferrandelli da quel terribile momento.

Nulla invece, riuscì a fargli passare la "saudade" del giorno in cui decise di non mettersi capolista di una delle squadre che portava il suo nome. Rimase fuori da "Palazzo delle Aquile", così, all'improvviso. Come quando ti cade la punta del cornetto algida. Un vero e duro colpo per uno che aspirava alla massima poltrona e si ritrovava sperduto sui gradini.

Fu così che si promise d'essere il secondo cittadino di questa città. Un po' come quando dimentichi le chiavi e non vuoi svegliare la mamma per rientrare, provi dalla finestra condominiale, e cadi. E lui cadde, ma su una poltrona più comoda, quella di “Palazzo dei Normanni”. E si dimenticò di quella promessa. Vabbè che ci fa.

Ritenuto da molti il Tony Dallara della politica siciliana, l'urlatore Fabrizio, tuonava contro tutte le malefatte della burocrazia regionale guidata dal suo stesso partito. Un "nonsense" urlato e stonato. Due anni, che ricorderemo per un unico momento: quando si dimise pensando fosse spirato il governo Crocetta. Furono i giorni peggiori del Presidente, ore agitate per via di una inchiesta del quotidiano l'Espresso, che si rivelò poi della stessa sostanza dei caffè fuori dall'Italia. Liquida, amara e immotivata.

E cadde ancora. Restando fuori un'altra volta, col pensiero a quel triplo subentro, fermatosi con l'ingresso di Pino Apprendi, succeduto a Francesco Riggio, finito intanto nel girone delle inchieste. Per Fabrizio, un'altra volta quel cavolo di cono con la punta all'insù. Continua...
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