Gli abiti-scultura di Aurelio Biocchi arrivano a Palermo: 25 pezzi unici in mostra
Aurelio Biocchi
Non si può replicare un'opera d'arte. E i modelli di Aurelio Biocchi non conoscono serie: nascono, crescono, non muoiono. Punto dopo punto, fodera, merletto, bustier, cucitura, esattamente come un tempo quando il lavoro aveva un ritmo umano e l’artigiano conosceva ogni fibra della materia che toccava.
In questo caso una seta sontuosa, un damasco che pare intessuto d’aria, un arabesco che ricorda lo stucco: pezzi unici, irripetibili, appunto, costruiti interamente a mano, dall’inizio alla fine.
La scintilla tra Aurelio Biocchi e Massimo Ardizzone (il creatore dello storico Casa e Putìa a Palermo) è scattata qualche tempo fa, i due creativi si sono trovati sulle stesse direttrici di bellezza e l’invito è giunto poco dopo: una mostra d'arte declinata su 25 pezzi unici che dall'11 al 14 dicembre 2025 prendono vita in una foresta concettuale creata da Atmosphere.
Il vernissage giovedì 11 dicembre alle 18.30, da Massimo Ardizzone in via Libertà 12(A, con un’esperienza di "Cucina Nomade" sensoriale.
Aurelio Biocchi non ha avuto un percorso lineare: si è laureato in Agraria, ha fatto il paracadutista, ha imparato la fotografia nell’esercito, confezionando però sempre abiti su misura per gli amici in un piccolo laboratorio a casa, collaborando con grandi case di moda, con il teatro.
I suoi bustier-corazza sono una pelle nuova che nasce da decine di ore di lavoro silenzioso; corsetti che invece di respingere paiono accarezzare ogni donna (o uomo) con volute, petali, anemoni, pieghe formali: da couturier, Aurelio Biocchi si è concentrato su architetture di tessuto che paiono sostenersi da sole: non hanno bisogno della donna, ma fanno amicizia, stringono, si innamorano, la lasciano andare, reggono il peso dei suoi sogni.
Le gonne si aprono come architetture morbide, i volumi occupano lo spazio, il corpo è evocato più che mostrato. C’è una tensione continua tra leggerezza e costruzione: la moda si ferma molto prima, la lezione schiaccia l’occhio al genio di Capucci, l’abito liberato dalla funzione, trasformato in volume puro, in presenza autonoma, aggiunge un tocco simmetrico, orientale, severo, con un rispetto quasi sacrale della materia.
Non sono previste imperfezioni, ogni tulle, balloon, skirt accoglie intrusioni autorizzate di pizzo, ricamo, persino gomma. È lo stesso Biocchi a dichiarare che «le creazioni nascono da una piccola scarica elettrica che collega cuore, testa e mani», con un chiaro riferimento a Cartier-Bresson: ma riesce a suggerire in maniera semplice, un approccio artigianale, lirico, personale, che ricorda l’idea dell’abito come "creazione totale".
Portare queste opere a Palermo non è un caso: è città creativa di mani, artigiani, gesti lenti, stratificazioni. Una città in cui non ti senti mai ospite: e Aurelio Biocchi ha deciso di renderle omaggio con un abito-scultura ispirato ai mosaici della Martorana: fiori e ornamenti sono finiti ricamati su un corpino trasparente, mentre per lo stile dell’abito Mujj il creativo si è lasciato sedurre dalle tuniche bizantine.
«Un connubio contemporaneo e la sontuosità bizantina, un umile omaggio a una città che mi ha voluto ospitare. Sarà un nuovo racconto fatto di fili, volumi, pazienza», spiega Biocchi.
In questo caso una seta sontuosa, un damasco che pare intessuto d’aria, un arabesco che ricorda lo stucco: pezzi unici, irripetibili, appunto, costruiti interamente a mano, dall’inizio alla fine.
La scintilla tra Aurelio Biocchi e Massimo Ardizzone (il creatore dello storico Casa e Putìa a Palermo) è scattata qualche tempo fa, i due creativi si sono trovati sulle stesse direttrici di bellezza e l’invito è giunto poco dopo: una mostra d'arte declinata su 25 pezzi unici che dall'11 al 14 dicembre 2025 prendono vita in una foresta concettuale creata da Atmosphere.
Il vernissage giovedì 11 dicembre alle 18.30, da Massimo Ardizzone in via Libertà 12(A, con un’esperienza di "Cucina Nomade" sensoriale.
Aurelio Biocchi non ha avuto un percorso lineare: si è laureato in Agraria, ha fatto il paracadutista, ha imparato la fotografia nell’esercito, confezionando però sempre abiti su misura per gli amici in un piccolo laboratorio a casa, collaborando con grandi case di moda, con il teatro.
I suoi bustier-corazza sono una pelle nuova che nasce da decine di ore di lavoro silenzioso; corsetti che invece di respingere paiono accarezzare ogni donna (o uomo) con volute, petali, anemoni, pieghe formali: da couturier, Aurelio Biocchi si è concentrato su architetture di tessuto che paiono sostenersi da sole: non hanno bisogno della donna, ma fanno amicizia, stringono, si innamorano, la lasciano andare, reggono il peso dei suoi sogni.
Le gonne si aprono come architetture morbide, i volumi occupano lo spazio, il corpo è evocato più che mostrato. C’è una tensione continua tra leggerezza e costruzione: la moda si ferma molto prima, la lezione schiaccia l’occhio al genio di Capucci, l’abito liberato dalla funzione, trasformato in volume puro, in presenza autonoma, aggiunge un tocco simmetrico, orientale, severo, con un rispetto quasi sacrale della materia.
Non sono previste imperfezioni, ogni tulle, balloon, skirt accoglie intrusioni autorizzate di pizzo, ricamo, persino gomma. È lo stesso Biocchi a dichiarare che «le creazioni nascono da una piccola scarica elettrica che collega cuore, testa e mani», con un chiaro riferimento a Cartier-Bresson: ma riesce a suggerire in maniera semplice, un approccio artigianale, lirico, personale, che ricorda l’idea dell’abito come "creazione totale".
Portare queste opere a Palermo non è un caso: è città creativa di mani, artigiani, gesti lenti, stratificazioni. Una città in cui non ti senti mai ospite: e Aurelio Biocchi ha deciso di renderle omaggio con un abito-scultura ispirato ai mosaici della Martorana: fiori e ornamenti sono finiti ricamati su un corpino trasparente, mentre per lo stile dell’abito Mujj il creativo si è lasciato sedurre dalle tuniche bizantine.
«Un connubio contemporaneo e la sontuosità bizantina, un umile omaggio a una città che mi ha voluto ospitare. Sarà un nuovo racconto fatto di fili, volumi, pazienza», spiega Biocchi.
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