"Rigel Playground": il folk cosmico e sperimentale di Herself alla Fabbrica 102
Herself è una delle creature del polistrumentista palermitano Gioele Valenti, molto attivo negli ultimi anni nella scena neopsichedelica nordeuropea in diverse formazioni. L’appuntamento alla Fabbrica 102 è per giovedì 24 gennaio alle 21.45.
Il lavoro di Herself (coi suoi vari progetti: JuJu, Josefin Ohrn, Lay Llamas) viene salutato dalla critica, sin dagli esordi in casa Jestrai (prima label dei Verdena), come un armonico meeting tra Sparklehorse, Gravenhurst e Will Oldham.
Con un pugno di dischi alle spalle, il songwriting di Gioele Valenti sa di folk apocalittico, derive crooner e pop adamantino e, sebbene affondi le sue radici nella tradizione della forma canzone, la sua musica osa spesso nel territorio di una sperimentazione sottile ed equilibrata.
Il nuovo album "Rigel Playground" predispone l’ascoltatore per un viaggio di folk cosmico, in cui gli inglesismi della tradizione si sposano con una vena alt, come se Beatles e Sparklehorse incontrassero i tormenti di Nick Drake e l’intimismo di un Mike Scott.
Avvezzo da sempre alle collaborazioni, ospite illustre in questo disco c’è Jonathan Donahue, singer degli americani Mercury Rev, band di assoluto rilievo nell’indie internazionale, che ha prestato la voce sul primo singolo The Beast of Love. Non a caso, i Mercury Rev hanno scelto Herself per accompagnarli durante il loro tour italiano.
Il lavoro di Herself (coi suoi vari progetti: JuJu, Josefin Ohrn, Lay Llamas) viene salutato dalla critica, sin dagli esordi in casa Jestrai (prima label dei Verdena), come un armonico meeting tra Sparklehorse, Gravenhurst e Will Oldham.
Con un pugno di dischi alle spalle, il songwriting di Gioele Valenti sa di folk apocalittico, derive crooner e pop adamantino e, sebbene affondi le sue radici nella tradizione della forma canzone, la sua musica osa spesso nel territorio di una sperimentazione sottile ed equilibrata.
Il nuovo album "Rigel Playground" predispone l’ascoltatore per un viaggio di folk cosmico, in cui gli inglesismi della tradizione si sposano con una vena alt, come se Beatles e Sparklehorse incontrassero i tormenti di Nick Drake e l’intimismo di un Mike Scott.
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