ITINERARI E LUOGHI
Al fresco nel canyon (scavato) nella roccia: in Sicilia c'è la magica "Valle degli Eremiti"
Il paesaggio nella sua rudezza è veramente spettacolare con squarci di luce che si insinuano tra le rocce, mentre altre zone rimangono avvolte nell'ombra
La Valle degli Eremiti in Sicilia
Un paesaggio davvero rude e talvolta quasi spettrale. Nel mese di luglio, siamo partiti come al solito di buon mattino per l'escursione alla Valle degli Eremiti nel territorio di Fiumedinisi.
Un paese a 50 km da Messina lato ionico storicamente molto antico, il nome Nisi deriva dal dio greco Dionisio di cui anticamente c'era un culto.
Il centro viene pure menzionato come il luogo in cui vi morì nel pieno della gioventù l'imperatore Enrico VI figlio del Barbarossa e padre di Federico II di Svevia.
Il suo territorio è particolarmente ricco di acque vi scorrono dei torrenti come il Vacco e l’Urigo che raggiungono una discreta portata pure nella stagione secca e sulle cui rive si stagliano degli alti pioppi.
Dopo un paio di Km allo scoperto senza niente che potesse farci ombra, cominciavamo a boccheggiare, finalmente siamo giunti alla Valle degli Eremiti che sembrava poco più di un pertugio scavato in mezzo a ripide e alte pareti rocciose.
Non appena entrati abbiamo subito avvertito una gradevole frescura, tale da farci pensare che gli antichi eremiti con la scusa della meditazione s'erano scelti un piacevole soggiorno per sfuggire alla calura estiva.
In alto sui poderosi bastioni rocciosi abbiamo visto delle nicchie che probabilmente li avranno ospitati e che veramente non suggerivano l'idea di abitazioni confortevoli.
A parte la frescura, tutto il luogo aveva un aspetto così cupo che se qualcuno di noi si fosse inoltrato da solo e non in gruppo come eravamo, probabilmente si sarebbe sentito a disagio. In alcuni tratti la gola era così stretta e con le ripide pareti quasi convergenti che l'ombra vi dominava sovrana.
Pure gli alberi alcuni lecci le cui radici erano riuscite a farsi strada fra le fessure delle rocce, sembravano avere una fogliazione più scura del consueto. Finché siamo stati nella valle abbiamo sempre camminato sulla dura e disuguale roccia. Le nostre caviglie ne hanno conservato il ricordo per svariati giorni.
In più punti sembrava che il nostro cammino dovesse arrestarsi perché ci siamo trovati la strada sbarrata da giganteschi massi a volte sovrapposti altri a formare un unico e compatto blocco.
In una occasione abbiamo proseguito arrampicandoci e tenendoci in equilibrio su un tronco d'albero predisposto a mo' di passerella.
Un'altra volta ed è stato questo il passaggio più difficile, non avevamo altra scelta che fare un balzo per riuscire a fissare un piede su una leggera scanalatura del monolite situata a circa 80 cm d'altezza e fare presa più in alto con una mano su una lieve sporgenza. Lo slancio iniziale era indispensabile per trovare la forza per la successiva spinta che ci avrebbe portato alla sommità dove ci hanno aspettati ed afferrati i compagni che hanno intrapreso per primi la scalata.
Intanto il paesaggio nella sua rudezza era veramente spettacolare con squarci di luce che si insinuavano nell'angusto canyon mentre altre zone rimanevano avvolte nell'ombra.
Tutto intorno l'aria era impregnata del balsamico odore della nepitella che cresceva particolarmente rigogliosa e com'è noto ha proprietà emostatiche. Più avanti quando il canyon ha incominciato un po’ ad aprirsi il gruppo ha incominciato a profumare di origano per via dei mazzi raccolti.
Dopo avere percorsi tre km, percepiti come almeno il doppio, siamo usciti allo scoperto ed abbiamo iniziato ad inerpicarci su un aspro pendio interamente ricoperto da siepi d'erica di una colorazione più bruna del consueto e da un groviglio di arbusti spinosi e di erbacce varie. E andavamo di fratta in fratta (e il verde vigor rude/ ci allaccia i malleoli/ c’intrica i ginocchi) Avrebbe detto il poeta.
Dopo finalmente abbiamo trovato un sentiero usato dalle capre, bestiole della nostra stessa indole, e siamo risaliti sulla cresta del monte. Arrivati in cima abbiamo spaziato lo sguardo sui bruni pendii a cui faceva da contrasto laggiù il blu del mare e più in alto la sagoma argentea ben rilevata a mo' di baluardo del Monte Scuderi.
Tutto intorno il silenzio assoluto squarciato dalle garrule voci del nostro gruppo che qualora in passato avesse osato proporsi come sodale degli eremiti, sarebbe stato cacciato con ignominia.
Usciti allo scoperto siamo stati ben presto sopraffatti dalla canicola estiva e qualcuno più improvvido ha incominciato ad implorare dell'acqua. Per fortuna alcune centinaia di metri più in basso c’era una fonte miracolosa (In realtà già nota al nostro capogruppo) in cui ci siamo abbondantemente dissetati e rinfrescati.
Percorso ancora un chilometro in discesa, siamo arrivati al piano Margi all'ora del pranzo. Quivi abbiamo finalmente trovato un paesaggio dall'aspetto morbido e gentile, un pianoro leggermente in declivio sgombro da rovi e arbusti spinosi ed urticanti e interamente ricoperto di una tenera erbetta.
Consumato il nostro frugale pasto abbiamo proseguito col nostro percorso ad anello sempre in discesa. Durante il tragitto ci siamo imbattuti in una specie di monolocale parzialmente arredato ideale per le vacanze estive costituito da tre massi di pietra: uno che fungeva da copertura e gli altri due da pareti, sul davanti un ampio patio.
Verso le ore 15.00 al bar del paese ci siamo abbondantemente rinfrescati ed abbiamo concluso le nostre fatiche talmente avviliti che ci siamo dati appuntamento per la domenica successiva.
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