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La miracolosa polvere di Baida: per Palermo, altra occasione mancata

  • 12 novembre 2006

La piccola borgata di Baida, arroccata sui contrafforti della Conca d’Oro, fino ai primi decenni del secolo scorso visse tra storia e leggenda. Nel ricordo del mito che tramandò lo scontro all’ultimo sangue tra i giganti Niso e Gabriele che si contesero i favori della ninfa dalla pelle di latte che al posto legò il proprio nome. E mentre il sangue sparso dai due contendenti si trasformò nelle omonime sorgenti che per secoli contribuirono al fiorire di sterminate piantagioni di limoni e aranci, il ricordo della bianca Baida fu eternato dalle rocce chiare che il dilavamento meteorico ha continuato a rivelare fino all’inizio dell’attuale urbanizzazione selvaggia della quale non vogliamo dire altro.

Mentre è proprio alle candide formazioni geologiche della borgata che dobbiamo far capo per ricordare una delle tante occasioni perdute a Palermo e dintorni. Perchè un farmaco ricavato dalla polverizzazione minuta e sapiente delle rocce adesso vandalizzate fu inserito addirittura nella farmacopea universale e fu rimedio usato dal Settecento fino a buona parte del secolo successivo non solo in medicina interna ma anche per curare con risultati sorprendenti le ferite più serie. Una medicina della quale si è però perduto il ricordo anche presso i frati della locale comunità francescana.

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E’ stato perciò dagli scritti di un non meno dimenticato sacerdote del Settecento che abbiamo potuto, alla fine, avere precisa “notizia medica” del farmaco d’antica memoria. Un raro opuscolo di tale don Giuseppe Costantino Albanese continua infatti a far sapere che una «ponderosissima e miracolosa polvere» si poteva trovare ai piedi dei monti di cui diciamo e che veniva utilizzata con gran profitto sia dai medici di piaga, i chirurghi del tempo, sia da quelli “fisici” più comunemente noti al popolo con il non proprio gratificante appellativo di “medici d’à pisciazza”. E invece apprezzati per la straordinaria bravura nel ricavare diagnosi inoppugnabili da esami d’urina condotti secondo precisi e collaudati dettami.

Mentre da don Costantino – che pure all’epoca di un temibile Sant’Uffizio ebbe il coraggio di definire la polvere di Baida un «elixir longae vitae» – abbiamo potuto sapere quanto fosse efficace tale farmaco. A patto che, «privato d’ogni spicolo di acido o di rami di zolfo inviscerati», lo si trasformasse in un «alcalo puro ed avido di ripigliarsi ogni acido peregrino e vagabondo per il corpo dell’infermo». Una mano santa, insomma, per una quantità impensabile di mali sui quali l’antico “don” non volle essere più preciso arrivando ad affermare piuttosto sommariamente che: «Senza determinare a qual malattia sia profittevole tal medicamento, dico brevemente esso giovare in tutti quei morbi ove si conosce autore l’acido di qualsiasi natura».

Mentre è per merito di un attuale amico e farmacologo di prestigio che abbiamo potuto sapere che in realtà la polvere di Baida doveva essere sicuramente un antiacido dotato anche di eccellenti virtù lassative. E per questo sicuramente non meno efficace di prodotti similari che, opportunamente reclamizzati e venduti con grossi profitti in tutto il mondo, nell’immaginario collettivo di qualsiasi costipato consumatore sono ora essenziali per ogni sorriso mattutino. Dunque ancora un’occasione perduta da questa città che, tra l’altro, non seppe trasformare in sicula Montecatini la borgata dell’Acquasanta ricca d’altrettanto mirabili e dimenticate linfe termali.

Tanto più che è di questi tempi la “notizia medica” di un farmaco che starebbero ricavando dalle, per contro, nerissime lave dell’Etna. Straordinario nei confronti di depressione, gastriti varie e di quasi ogni forma d’emicrania. Comunque tale da farci ancora più amaramente rammaricare delle virtù inutilizzate della misconosciuta ma “ponderossissima panacea” di Baida. La stessa che altro e non meno dotto alunno di Esculapio, quale fu il palermitano Vincenzo Albamonte, ritenne «catalogo di virtù contro quasi tutte le infermità».

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