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C'è quello felice, lo storico e il bastonato: i 50 (e oltre) modi di essere cornuto in Sicilia

A parte il classico cornuto che tutti conosciamo, ci sono anche altre declinazioni, intese sia in accezione negativa che positiva. È tutta una questione di punti di vista

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 5 settembre 2023

Occorre dire che, di mio, non sono mai stato un grande amante delle auto e, di conseguenza, non mi fa proprio impazzire l’idea di dovermi gettare nella giungla del traffico palermitano avendo la certezza, quasi matematica, che ci sarà almeno una questione da affrontare.

Unica deroga al tutto è la Poderosa, una Vespa del 1981, con la quale vivo in simbiosi e sulla quale, col tempo, ho acquisito la capacità di caricare di tutto: dalle buste della spesa, al mulune, fino a quella volta in cui mi siddiava troppo assai prendere l’auto per cui, da vero incosciente, riuscii ad agganciare sul portapacchi posteriore due comodini con relativi abatjour.

D’altronde, se i bummulari riescono a portare 4 bombole piene di gas perché io non dovevo portare dei comodini? Ragionamento molto stupido e dal quale invito, tutti voi, a prendere le dovute distanze. Per rimanere in tema proprio alcuni giorni fa, mentre ero in giro con la Poderosa, mi sono ritrovato a dover affrontare un incrocio, la cui precedenza era innegabilmente mia.
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Chi vive a Palermo lo sa: le precedenze, così come gli STOP, le frecce o altri eufemismi automobilistici sono solo un consiglio, assolutamente nessuna obbligatorietà. Stavolta la questione fu un SUV, (acronimo di Sugnu Un Vastasu), dalle dimensioni di un vagone ferroviario, con alla guida una specie di catu i lippu impegnato in conversazione telefonica che mi stava pigghiannu i pettu ra bella e, solo per poco, frenando, non sono finto a fare un tète-à-tète con il manto stradale.

Chi di voi conosce un minimo il mondo delle moto lo sa bene: la Vespa, quando frena di botto, se ne va a cachì, tuttavia sono riuscito a controllarla. Insomma tutto bene quel che finisce bene, ma mio malgrado, essendo uscito fuori al naturale, non ho potuto esimermi dal comunicargli ardentemente che era "coinnutu iddu e tutta a so razza" con annesso gesto esemplificativo fatto con la mano in alto, giusto per essere sicuro che il concetto fosse chiaro.

Sbollito u nirbusu, mi sono messo a rimuginare su questa parola, usata ed abusata, che è parte integrante del vocabolario siculo. Non voglio siddiarivi a cuntarvi tutta la storia della cornutaggine, anche perché già esimi colleghi di Balarm si sono occupati dell’argomento in modo più approfondito e competente. Tuttavia almeno due storielle, giusto per saperne parlare, ve lo voglio cuntare.

Andiamo nel Medioevo, ai tempi dell’imperatore bizantino Andronico il quale, oltre ad essere tinto assai, era uno a cui il sesso debole faceva sangue. Se gli piaceva una donna, maritata, zitata, nobile o popolana, non si faceva scrupoli per averla e siccome alla fine gli piaceva allattariarisi, dopo aver “consumato”, a sfregio appendeva un bel paio di corna sulla porta di casa del marito defraudato della gentil metà.

Quando nel 1185 l’esercito siciliano di Gugliemo II, in guerra con Adronico, riuscì a far breccia nell’impero bizantino, non poté fare a meno di notare questi strani trofei esposti alle porte ed ottenendo spiegazioni in merito, cominciarono a chiamare cornuti coloro che avevano dovuto subire l’affronto, portando successivamente il modo di dire in terra di Trinacria.

Ma si racconta pure che, in tempi passati, un certo compare Alfio non riuscisse a gestire da solo tutti i terreni che possedeva, per cui assunse Turiddu, beddu picciotto fresco come un quarto ri pollo e beddu impostato, per farsi aiutare, dandogli a dormire in un pagliericcio vicino al talamo coniugale.

Un mattino Turiddu vide che compare Alfio aveva la faccia preoccupata ca pareva che una lastima gli fosse caduta tra capo e collo. Ma che fu, ma come non fu, Alfio confidò al picciotto che aveva fatto un bruttissimo sogno, in cui gli appariva il diavolo, ornato di un esagerato paio di corna e che sbuffava come un toro.

Turiddu, che nel frattempo si era preso una sbandata, ricambiata, per la moglie del padrone, vide in questo sogno un escamotage non da poco per addivertirisi con la signora che, di suo, non disdegnava.

Si annerì allora il viso con del carbone, si legò in testa un grosso paio di corna di caprone e cominciò a fare discussioni decisamente interessanti con la bella signora, mentre il padrone era appinnicato nei campi. Gli inequivocabili rumori fecero svegliare Alfio, il quale corse in camera da letto e vide la scena.

La moglie, pigghiata ra botta, cominciò a chiedere aiuto al marito perché il diavolo la stava possedendo, per cui Alfio, in un atto di coraggio, afferrò il diavolo alias Turiddu per le corna e tirò così forte da scippargliele, provocando così la fuga del ragazzo. L’indomani compare Alfio, orgoglioso del suo gesto eroico, come trofeo si legò in testa le corna strappate la notte precedente, suscitando l’ammirazione della moglie che gli disse che gli donavano molto e che senza dubbio era un gran bel cornuto.

Il resto è storia. A parte il classico cornuto, che tutti noi, volente o nolente conosciamo, si può essere “coinnuto tu e tutta a to razza”, il che implica che la caratteristica delle corna sia qualcosa di insito in tutta la genealogia della famiglia, al pari di una tara genetica.

Presa coscienza del fatto che purtroppo non ci si può esimere dall’essere portatore di corna, si può provare ad ammortizzare il colpo essendo “coinnuto e cuntento”. Si sa che praticamente non si passa sotto l’arco di Cutò senza arraschiarisi i coinna ma si fa buon viso a cattivo gioco e ci si accolla la situazione senza pipitiare, anche perché in taluni casi, sotto sotto, magari conviene raccussì.

Infatti se è vero, come dicono le genti antiche, che “cu pigghia bbiddizza pigghia corna”, intendendo che se ti accolli di completare il tuo simposio con una bella femminazza, il rischio di vedersi crescere protuberanze in testa potrebbe essere reale (lo dicono le genti antiche, mica io eh?), è anche vero che è “megghiu essere coinnutu ca mimchiuni”, dato alla fine ci si può accollare di essere cervo a primavera di tanto in tanto, se questo porta benefici, soprattutto economici, derivanti dalla zita e/o moglie.

Questione di punti di vista. Ma la Sicilia è, forse, l’unico posto dove si può essere anche “coinna rura”, ovvero chi sgagghiuna belli affilati, tipici di chi sa stare al mondo e non si fa mai mancare di rispetto.

Un picciriddu, quando è particolarmente vivace e intelligente è un “cornutieddu”, ma “cornutieddu” è pure l’amico ca chi fimmine una pigghia e una lassa, che Don Nunzio Cuppolone a confronto era un prete. Ma se poi ci si accasa con quella sbagliata si potrebbe divenire un “coinnuto storico”, facendo riferimento alla maliziosa diceria secondo la quale l’arco di Porta Felice fu rimosso per consentire il passaggio dei mariti delle nobildonne, ca senno impicievano per tutte le corna che avevano (un riferimento lo potete anche in “La città perduta” di Rosario La Duca).

Allora dato che non si passa per Porta Felice, si decide che "per un coinnuto, un coinnuto e mezzo", ovvero, se arrivano corna, per via della legge fisica sulle reazione delle forze, la cornificatrice (o cornificatore) addiventa “chiù coinnuta di un panaro i babbaluci”. In tempi di pace si può usare anche per far capire nessuno deve mettere i piedi di sopra e fare soperchierie!

Ma cornuti, nell’accezione negativa del temine, possono essere anche amici e parenti ed allora, con il rispetto che è dovuto, invece di essere troppo esplicito si potrebbe chiedere a u zu Franco “ma che coinnuto si?”, a fargli intender che la brunellata l’abbiamo vista e ci siamo rimasti, ma, nella nostra magnanimità, gli stiamo dando la possibilità di ammetterlo e fare ammenda.

Cornuto si può riferire anche per interposta persona, con un “va ricci coinnuto a to pà”, il che sottintende che non è solo il padre cornuto, ma anche il figlio al quale ci stiamo rivolgendo. Una specie di “coinnuto tu e tutta a to razza” più raffinato.

Se invece, assieme ad un gruppo di persone, vogliamo far notare una mala parte a qualcuno, ci si rivolge agli astanti con un “minchia e ora cu ci lu rice che coinnutu è?”, indicando di soppiatto il colpevole.

“Coinnuti e bastunati” è quando, oltre al danno si è dovuta subire anche la beffa fino ad arrivare al “arristavu solo come un coinnuto”, forse perché nell’immaginario siculo le corna possono essere contagiose ed allora è meglio stare alla larga da chi le porta. A voi l’arduo compito di citare tutte le altre 50 e più sfumature di cornuto
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