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Camilleri lo definì "dolce da meditazione": il torrone siciliano, una storia che viene da lontano

Protagonista della tavola delle feste natalizie, ma in Sicilia immancabile sempre e per ogni occasione, il torrone è una dolce storia croccante

Giovanna Gebbia
Esperta di turismo relazionale
  • 16 dicembre 2021

Il torrone

Protagonista della tavola delle feste natalizie, ma in Sicilia immancabile sempre e per ogni occasione, il torrone è una dolce storia croccante che coinvolge il palato come un gioco da mangiare pezzetto dopo pezzetto, da spezzare sentendo il caratteristico “crock” che precede il sapore aromatico degli ingredienti. Il torrone è un protagonista così importante nella tradizione dolciaria siciliana da essere sempre presente sulle colorate e caratteristiche bancarelle delle fiere e delle sagre, a Palermo unito anche all’irrinunciabile “scaccio”.

Sembra che a farlo arrivare in Sicilia furono gli arabi – ma va… sempre loro?! – che se lo portarono dietro per tutto il Mediterraneo diffondendolo ovunque prendessero possesso dei territori e facendolo diventare parte integrante della tavola locale. La “Cubaita” così come viene chiamato il croccante doveva essere il nome originale proveniente dalla quibbiat o qubbayta un dolce che veniva preparato con mandorle e miele, che non si è perso nel tempo, assumendo molte varianti del nome e al quale si sono aggiunte le variazioni negli ingredienti, come quella al sesamo che si chiama Giuggiulena o Cubaita giuggiulena.
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Ma quello che fa “condivisione” è la gestualità, lo spezzare del torrone con le mani e consumarlo insieme come diceva una famosa frase della pubblicità di qualche anno fa “crea atmosfera”, infatti, piace a tutti, adulti e bambini perché sa di festa qualsiasi sia l’occasione per portarlo o regalarlo, ha il sapore antico della tradizione e ricorda la famiglia, quella sicula sempre allargata dove fanno parte tutti, i parenti e i parenti dei parenti, gli amici vicini e lontani: l’occasione delle feste fa grande la tavola e la casa.

Tanto per scomodare uno che di storie se ne intendeva, rimasto indimenticabile nella nostra narrativaanche per il modo in cui descriveva il cibo e la sua importanza atavica nella nostra cultura: Andrea Camilleri definiva il torrone un dolce da meditazione che per la sua compattezza e aroma andava gustato con lentezza per far sciogliere la bontà in bocca, come si fa con il cioccolato, con i distillati più pregiati. Una mescola semplice di pochi elementi ma di un aroma inconfondibile, che è dato dall’equilibrio tra zucchero, miele e frutta secca – mandorle, nocciole, pistacchio e sesamo nella tradizione classica - che si amalgamano insieme per arrivare a formare una tavoletta compatta, dura e lucida, colorata di bruno che si
gusta per tutto il giorno.

Dalla presenza a fine pasto insieme agli altri dolci alla goloseria del pomeriggio, lo troviamo sempre dentro qualche vassoio o in un cestino, da scartare in pezzetti già divisi o da spezzare con le dita che si appiccicano di zucchero, spingendoci a compiere quel gesto tipico di bambini che si leccano le dita.

Il nostro torrone, quello siculo, è anche una storia che viene da lontano che fa parte di quel retaggio antico che anche a tavola ci ha lasciato una cultura gastronomica unica e originale, non paragonabile a nulla per la sua varietà di ricettari, ingredienti, provenienze che si sono fuse insieme e delle quali ancora oggi fortunatamente beneficiamo.

Sicuramente la Cubaita, croccante o torrone di Sicilia sembra essere il più antico d’Italia e quello attuale non differisce tanto da quello originale prodotto nell’isola, un pezzo duro prevalentemente con mandorle, al quale successivamente si è aggiunta la variante in bianco con l’aggiunta di albume e in seguito altri ingredienti, coperture a vari gusti, dal morbido a duro.

Ma il vero fascino sta dentro l’antico, quello che non si copre di nulla, che scrocchia e appiccica che se non lo hai finito tutto non c’è soddisfazione!
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