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Com'è cambiata la mafia in 33 anni: "Non spara più, ma fa estorsioni e rilascia fattura"

Nel giorno della ricordo della strage di via D'Amelio l'analisi di Cracolici, presidente della Commissione antimafia all'Ars: "Cosa nostra prova ad avere un volto pulito"

Luca La Mantia
Giornalista
  • 19 luglio 2025

Antonello Cracolici

La mafia non spara più, ma uccide ancora. Uccide le imprese, l'economia, uccide lo sviluppo. «Oggi la mafia fa le estorsioni, però rilascia la fattura». È una battuta, ma non troppo, quella di Antonello Cracolici.

Quando gli si chiede come sia cambiata la mafia 33 anni dopo la strage di via D'Amelio, il presidente della Commissione regionale antimafia non ha dubbi: «Il dato più evidente è che la mafia oggi tende a darsi un volto pulito. Non spara più perché dopo le stragi ha generato una reazione forte dello Stato. Ma nessuno si illuda che sia andata in vacanza».

È silente, ma ancora presente. «In 33 anni è cambiato tanto - aggiunge Cracolici -. Non c'è più l'idea che la mafia sia invincibile, è cresciuta la consapevolezza che i mafiosi sono nemici della gente comune. Fino alle stragi, invece, godeva di consenso anche grazie all'indifferenza di molti. Oggi è tutta un'altra storia, ma i mafiosi sono ancora molto attivi e agiscono per arricchirsi».

Quel che accade in provincia di Trapani è emblematico. Settanta interdittive negli ultimi 9 mesi sono il segno che la mafia riesce a infiltrarsi e a intrattenere relazioni nonostante non abbia più un punto di riferimento come Matteo Messina Denaro. E proprio a Trapani nei giorni scorsi ha fatto tappa la Commissione guidata da Cracolici.

«Nel Trapanese la mafia ha avuto sempre una propensione a insinuarsi nel sistema economico. Persiste, a prescindere dalla fine di Matteo Messina Denaro e continua ad avere quella caratteristica peculiare di intraprendenza». Soprattutto in settori come il turismo, la trasformazione agricola, la logistica, ma anche nel campo dell'energia.

Non a caso oggi i mafiosi temono soprattutto due cose, secondo Antonello Cracolici: «Mettono in conto di finire in galera, ma temono che vengano colpiti i loro patrimoni, motivo per cui tendono a nasconderli il più possibile. La seconda cosa che temono davvero è essere sconfitti sul piano reputazionale».

E prova a spiegare prendendo a modello la legge “Liberi di scegliere”, recentemente approvata all'Ars, per reinserire madri e minori lontano dai contesti mafiosi di provenienza. «La mafia ha agito sempre pensando di avere consenso, quindi per contrastarla è fondamentale toglierle questo elemento reputazionale».

La nuova legge è un segnale. «Dà la possibilità di dimostrare che si può uscire dagli ambienti mafiosi - dice Cracolici -, sta a indicare che non se ne esce solo col carcere o con la morte. Prenderne le distanze è una scelta di vita, dobbiamo sostenere donne e bambini e dimostrare che possono avere lo Stato al loro fianco».

Dalla legislazione alla commemorazione. Il 19 luglio è una data che non si dimentica, al di là degli eventi organizzati anche quest'anno per ricordare la strage di via D'Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

«Chi ha più di 40 anni ricorda bene dove si trovava il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 - aggiunge il presidente della Commissione regionale antimafia -. Sono date che hanno segnato tante vite. Ecco perché le giornate della memoria devono essere scolpite nel nostro calendario della vita».

Commemorare serve anche a costruire. «Queste cerimonie hanno sempre un valore - commenta Cracolici -. Aiutano a costruire l'impegno di oggi sulla memoria del passato. Ancora oggi la sfida contro la mafia va sostenuta e alimentata». Come dire, la battaglia per la legalità va combattuta sempre e ovunque, a partire dagli scranni del Parlamento.

Eppure, quello della legalità è un tema che nelle ultime settimane imbarazza non poco l'Assemblea regionale. «L'ho detto e lo ripeto: un avviso di garanzia non credo debba portare a dimissioni e non le chiederò mai», dice a proposito dell'inchiesta che riguarda il presidente Gaetano Galvagno.

«Quello che emerge è un degrado, un abbassamento della tensione morale nella vita pubblica - aggiunge Cracolici -, emerge una certa allegria nella visione della pubblica amministrazione, della responsabilità e del rigore morale».

Ma secondo l'esponente Pd, è in atto una crisi più profonda di carattere politico. «Mi pare che dopo due anni e mezzo di governo Schifani, il centrodestra stia mostrando tutti i limiti della sua azione e della sua capacità. Si deve essere garantisti certamente, ma il giudizio politico non possiamo nasconderlo».

E conclude: «La vicenda giudiziaria fa esplodere una crisi che era latente. Nessuno ricorderà cosa si è fatto in questi due anni e mezzo. Siamo piegati sulle emergenze: acqua, rifiuti, sanità che non funziona. L'Ars è un pantano. Quando non c'è un progetto prevale la prospettiva personale. Direi che siamo nella fase del "si salvi chi può"».
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