La favola della notte di Rita Borsellino era la nostra storia: "Così conobbi mio zio"
La sua storia è quella di una famiglia intera: Valentina è nipote delle stragi e di Rita Borsellino, la nonna per lei inizialmente "assente" che le ha poi restituito tutto
Dal cognome forse non lo immagini, ma quella di Valentina Corrao è una testimonianza autentica di una Palermo e di una Sicilia del lontano '92, periodo che non ha vissuto direttamente se non con gli occhi degli altri.
In un modo o nell'altro, è sempre stato come se lo zio Paolo fosse lì al suo fianco e quando le chiedevano da bambina, quasi istintivamente, se l'avesse mai conosciuto, a volte rispondeva di no, a volte «Perché? È ancora vivo».
La sua storia è quella di una famiglia intera: Valentina è nipote delle stragi e di Rita Borsellino, la nonna per lei inizialmente "assente" che le ha poi restituito tutto quel tempo apparentemente sottratto donandoglielo con un amore senza confini.
«Mi sto scontrando molto con il passato della mia famiglia, soprattutto per il mio lavoro da attrice - racconta a Balarm Valentina Corrao - e mi è stata posta più volte in passato la domanda di fare uno spettacolo sulla mia storia e sugli anni '90, anche se sono "nipote" delle stragi, non ho mai vissuto quegli anni.
Ho 24 anni, sono nata nel 2000, ma questo non ferma nessuno nel chiedermi se io abbia mai conosciuto Paolo Borsellino.
Ci ho sofferto molto perché sin da piccole io e mia sorella Chiara siamo state educate alla storia di Palermo e della Sicilia intera.
Ho sempre avuto la sensazione di averlo conosciuto, lo dico quasi con arroganza e desiderio, ma l'ho sempre "visto" dai racconti della mia famiglia, di Fiammetta che era sua figlia e Cecilia, mia mamma, che era nipote e figlioccia dello zio Paolo.
In famiglia tutti hanno pezzi di lui e ricordano come si comportava e persino le sue espressione. Era come se fosse sempre lì.
Quando si è piccoli si ha una percezione diversa delle cose e io non riuscivo a pensare alla morte come qualcosa che non continuasse.
Tutti mi dicevano che lo zio Paolo mordeva le guance a tutti e lo stesso faceva suo figlio Manfredi con me.
Nella mia ingenuità pensavo: "Se Manfredi fa la stessa cosa che fa lui, in realtà è lui e allora zio Paolo è vivo".
Chiedevo sempre a mia nonna Rita di raccontarmi di lui. Negli anni ho capito che non era la solita fiaba che ascolti prima di andare a letto, ma il nostro passato.
E da lì il mio avvicinamento con Paolo Borsellino si è inevitabilmente rafforzato».
Per non parlare del rapporto con la nonna Rita: «È stata lei la persona che ha captato la mia vena artistica per la prima volta da piccola.
È sempre stata molto sensibile all'arte, ma anche molto timida e aveva affibbiato a me questa passione.
Mi diceva sempre "Canta tu, recita tu. Mi piace viverlo attraverso te". E mi ha instradato.
Quando ho iniziato il mio percorso al liceo classico Vittorio Emanuele II, ho conosciuto la professoressa Marina Buttari e lei ha percepito sin da subito la mia passione, ho un bellissimo ricordo di lei. Nel 2014 abbiamo portato in scena l'Antigone.
Da lì, il palco è diventato la mia casa».
Da quando ne ha memoria, il 19 luglio è sempre stata una giornata simbolica, in cui la famiglia si riunisce, non soltanto per la manifestazione che coinvolge tutta Palermo: «La sera del 19 luglio era il momento in cui la mia curiosità aumentava da piccola, sentivo la presenza di Zio Paolo molto forte nella mia famiglia.
Prima si facevano rimpatriate grandi, adesso succede con meno frequenza perché viviamo in città diverse.
Un tempo eravamo in 60 e in un modo o nell'altro si parlava di Paolo. Il 19 luglio è anche il compleanno di mia zia Adele, sorella di Paolo e dopo la manifestazione andavamo da lei per festeggiare.
Era strano, ma intenso. Nel pomeriggio c'era la commemorazione della morte di un parente che riguardava non solo noi, ma tutto lo Stato e la sera, invece, il compleanno.
Indossavamo le magliette commemorative in una situazione molto familiare e da piccola mi guardavo sempre attorno con l'idea che prima o poi sarebbe spuntato mio zio Paolo.
Come se non avessi coscienza di cosa fosse la morte. Percepivo il dolore, ma per me lui era talmente "vivo" che avevo l'esigenza di vederlo e di parlarci.
Quando vedevo mio zio Toto (Salvatore Borsellino) che gli somiglia particolarmente, lo scambiavo e avevo voglia di urlare "È lui, è Paolo! Svegliatevi famiglia" e quando esternavo questo pensiero, tutti mi dicevano di no.
Per me era dolorosissimo, pensavo "Non è venuto neanche questa volta"».
Valentina lo "rivedeva" in ogni frase, parole e aneddoto e in questo la nonna con tanta pazienza le diceva tutto, pur ripetendole la storia più volte: «Quando la notte tra il 18 e 19 luglio dormivo da nonna Rita insistevo perché volevo sapere di più dello zio.
Mi raccontava di quando erano piccoli e le faceva i dispetti, la chiamava sempre picciridda.
Nessuno glielo chiedeva davvero, lei parlava di morte e di giustizia con gli altri e con me, come con mia sorella, lei preferiva scavare nei ricordi, quando avevano un rapporto diverso. Da bambini senza il peso della vita.
Il loro papà è morto quando erano piccoli, non era un periodo facile. Era il dopoguerra e mia nonna doveva laurearsi in Farmacia, mentre lui ha concluso gli studi universitari più velocemente e cercava di fare il capofamiglia dando una mano a tutti.
Sono sempre stati immersi in una vita un po' da adulti. Nonna aveva questa capacità incredibile di parlare a persone di qualsiasi età con un talento oratorio assurdo.
Comunicava con i più piccoli tranquillamente e quando la osservavo mentre faceva delle attività con loro il 19 luglio, mi meravigliavo sempre.
Per lei era un momento prezioso, diceva sempre che col gioco si impara meglio.
Loro venivano da quartieri di periferie di Palermo e usavano quella giornata per "scaricare" ed erano più vivaci. Ma appena nonna Rita iniziava a parlare, tutti l'ascoltavano con interesse e interagivano come cittadini consapevoli.
Lei ha preso il testimone di mio zio Paolo, soprattutto quando ha lavorato al Parlamento Europeo e ha affrontato il fenomeno mafioso da una prospettiva più ampia».
Un rapporto specialissimo cucito sulla pelle di Valentina e anche se ormai nonna Rita non c'è più, è sempre con lei: «Eravamo un corpo e un'anima.
Ho provato a scrivere di lei tempo fa e a questo interlocutore inesistente la descrivevo come una "nonna molto assente", per poi trascrivere tutto quello che lei ha fatto per me e come mi è stata accanto. La prima riga e il testo erano una contraddizione.
Quando sono cresciuta un po', ho capito che si stava sacrificando, essere sempre in viaggio per il progresso e il recupero politico in memoria del fratello non è per niente facile».
Valentina ricorda tantissimo della nonna, soprattutto della sua capacità di entrare in connessione con chiunque a tal punto da condividere il suo tempo con loro: «Non dimentico di tutte quelle volte in cui mi ritrovavo in casa persone che quasi inseriva nel nucleo familiare, all'inizio mi infastidivo.
Ma quando lei è morta mi sono resa conto di quello che aveva creato: era un modo per farci sentire meno soli in previsione della sua assenza.
Io non penso di aver mai amato così tanto qualcuno nella mia vita, in modo sconfinato.
Ogni momento con lei me lo porto dietro, lei mi ha fatto credere che ce la potevo fare, in qualunque cosa».
Nonna Rita è sempre con lei, quasi come se fosse sul palco.
Valentina Corrao è un'attrice diplomata all'Accademia D'Arte del Dramma Antico e ha frequentato l'Alta Formazione del Teatro Laboratorio della Toscana diretto da Federico Tiezzi a Pistoia.
Ha lavorato al teatro greco di Siracusa per cinque anni e ha recitato in spettacoli con opere antiche come "Ippolito", "Medea", "Edipo Re", "Le Nuvole" e le "Baccanti".
Al centro studi Paolo e Rita Borsellino giovedì 17 luglio alle 21.00 si tiene "Legami di memoria - I mandanti senza nome", un incontro alla sua 29esima edizione in cui Valentina celebrerà la nonna, lo zio e le vittime di mafia con un intenso intervento.
Una carriera che le è stata cucita addosso anche grazie alla nonna che l'ha sempre incoraggiata nell'intraprendere questa strada.
Un'attrice che si è immersa nelle storie di tanti, soprattutto nella sua e in quella della sua famiglia di cui anno dopo anno veniva sempre più a conoscenza, con particolari e stralci che una bimba e poi una donna potesse comprendere meglio: «La mia famiglia ha sempre avuto un approccio molto concreto e realistico.
Ma negli anni cambiavano i dettagli della ricostruzione, non si può spiegare a una bambina che il corpo del proprio zio è esploso e smembrato.
Quando io e mia sorella eravamo piccolissime nonna Rita raccontava una favola che parlava di noi e dei lupi cattivi che volevano fare del male allo zio e che non volevano che fossimo felici.
Ho sempre sentito l'esigenza di capire quel dolore e di conseguenza anche la realtà.
Prima mi sentivo quasi "esclusa" da qualcosa che non sapevo, perché ero certa che ci fossero persone esterne che sapevano più di me.
Sul mio pc facevo ricerche e a volte guardavo dei video delle stragi e da lì ho capito anche la sofferenza di mia mamma Cecilia che è stata costretta a lasciare la casa sotto scorta.
Nella casa in via d'Amelio viveva mia mamma insieme ai suoi due fratelli, a mia nonna Rita e a mio nonno.
Vista la strage, l'intero condominio si è trasferito in un hotel. Non è stato un lutto normale».
È stato molto più di un lutto.
Era uno zio il cui ricordo è stato alimentato da racconti e testimonianze anno dopo anno a tal punto che Valentina credeva non fosse mai morto, è una famiglia legata da un dolore indicibile e una presa di coscienza talmente intensa da scardinare ogni certezza.
Ma è stato anche un caldo abbraccio che solo una nonna come Rita, qualunque peso abbia sulle sue spalle, sa dare.
In un modo o nell'altro, è sempre stato come se lo zio Paolo fosse lì al suo fianco e quando le chiedevano da bambina, quasi istintivamente, se l'avesse mai conosciuto, a volte rispondeva di no, a volte «Perché? È ancora vivo».
La sua storia è quella di una famiglia intera: Valentina è nipote delle stragi e di Rita Borsellino, la nonna per lei inizialmente "assente" che le ha poi restituito tutto quel tempo apparentemente sottratto donandoglielo con un amore senza confini.
«Mi sto scontrando molto con il passato della mia famiglia, soprattutto per il mio lavoro da attrice - racconta a Balarm Valentina Corrao - e mi è stata posta più volte in passato la domanda di fare uno spettacolo sulla mia storia e sugli anni '90, anche se sono "nipote" delle stragi, non ho mai vissuto quegli anni.
Ho 24 anni, sono nata nel 2000, ma questo non ferma nessuno nel chiedermi se io abbia mai conosciuto Paolo Borsellino.
Ci ho sofferto molto perché sin da piccole io e mia sorella Chiara siamo state educate alla storia di Palermo e della Sicilia intera.
Ho sempre avuto la sensazione di averlo conosciuto, lo dico quasi con arroganza e desiderio, ma l'ho sempre "visto" dai racconti della mia famiglia, di Fiammetta che era sua figlia e Cecilia, mia mamma, che era nipote e figlioccia dello zio Paolo.
In famiglia tutti hanno pezzi di lui e ricordano come si comportava e persino le sue espressione. Era come se fosse sempre lì.
Quando si è piccoli si ha una percezione diversa delle cose e io non riuscivo a pensare alla morte come qualcosa che non continuasse.
Tutti mi dicevano che lo zio Paolo mordeva le guance a tutti e lo stesso faceva suo figlio Manfredi con me.
Nella mia ingenuità pensavo: "Se Manfredi fa la stessa cosa che fa lui, in realtà è lui e allora zio Paolo è vivo".
Chiedevo sempre a mia nonna Rita di raccontarmi di lui. Negli anni ho capito che non era la solita fiaba che ascolti prima di andare a letto, ma il nostro passato.
E da lì il mio avvicinamento con Paolo Borsellino si è inevitabilmente rafforzato».
Per non parlare del rapporto con la nonna Rita: «È stata lei la persona che ha captato la mia vena artistica per la prima volta da piccola.
È sempre stata molto sensibile all'arte, ma anche molto timida e aveva affibbiato a me questa passione.
Mi diceva sempre "Canta tu, recita tu. Mi piace viverlo attraverso te". E mi ha instradato.
Quando ho iniziato il mio percorso al liceo classico Vittorio Emanuele II, ho conosciuto la professoressa Marina Buttari e lei ha percepito sin da subito la mia passione, ho un bellissimo ricordo di lei. Nel 2014 abbiamo portato in scena l'Antigone.
Da lì, il palco è diventato la mia casa».
Da quando ne ha memoria, il 19 luglio è sempre stata una giornata simbolica, in cui la famiglia si riunisce, non soltanto per la manifestazione che coinvolge tutta Palermo: «La sera del 19 luglio era il momento in cui la mia curiosità aumentava da piccola, sentivo la presenza di Zio Paolo molto forte nella mia famiglia.
Prima si facevano rimpatriate grandi, adesso succede con meno frequenza perché viviamo in città diverse.
Un tempo eravamo in 60 e in un modo o nell'altro si parlava di Paolo. Il 19 luglio è anche il compleanno di mia zia Adele, sorella di Paolo e dopo la manifestazione andavamo da lei per festeggiare.
Era strano, ma intenso. Nel pomeriggio c'era la commemorazione della morte di un parente che riguardava non solo noi, ma tutto lo Stato e la sera, invece, il compleanno.
Indossavamo le magliette commemorative in una situazione molto familiare e da piccola mi guardavo sempre attorno con l'idea che prima o poi sarebbe spuntato mio zio Paolo.
Come se non avessi coscienza di cosa fosse la morte. Percepivo il dolore, ma per me lui era talmente "vivo" che avevo l'esigenza di vederlo e di parlarci.
Quando vedevo mio zio Toto (Salvatore Borsellino) che gli somiglia particolarmente, lo scambiavo e avevo voglia di urlare "È lui, è Paolo! Svegliatevi famiglia" e quando esternavo questo pensiero, tutti mi dicevano di no.
Per me era dolorosissimo, pensavo "Non è venuto neanche questa volta"».
Valentina lo "rivedeva" in ogni frase, parole e aneddoto e in questo la nonna con tanta pazienza le diceva tutto, pur ripetendole la storia più volte: «Quando la notte tra il 18 e 19 luglio dormivo da nonna Rita insistevo perché volevo sapere di più dello zio.
Mi raccontava di quando erano piccoli e le faceva i dispetti, la chiamava sempre picciridda.
Nessuno glielo chiedeva davvero, lei parlava di morte e di giustizia con gli altri e con me, come con mia sorella, lei preferiva scavare nei ricordi, quando avevano un rapporto diverso. Da bambini senza il peso della vita.
Il loro papà è morto quando erano piccoli, non era un periodo facile. Era il dopoguerra e mia nonna doveva laurearsi in Farmacia, mentre lui ha concluso gli studi universitari più velocemente e cercava di fare il capofamiglia dando una mano a tutti.
Sono sempre stati immersi in una vita un po' da adulti. Nonna aveva questa capacità incredibile di parlare a persone di qualsiasi età con un talento oratorio assurdo.
Comunicava con i più piccoli tranquillamente e quando la osservavo mentre faceva delle attività con loro il 19 luglio, mi meravigliavo sempre.
Per lei era un momento prezioso, diceva sempre che col gioco si impara meglio.
Loro venivano da quartieri di periferie di Palermo e usavano quella giornata per "scaricare" ed erano più vivaci. Ma appena nonna Rita iniziava a parlare, tutti l'ascoltavano con interesse e interagivano come cittadini consapevoli.
Lei ha preso il testimone di mio zio Paolo, soprattutto quando ha lavorato al Parlamento Europeo e ha affrontato il fenomeno mafioso da una prospettiva più ampia».
Un rapporto specialissimo cucito sulla pelle di Valentina e anche se ormai nonna Rita non c'è più, è sempre con lei: «Eravamo un corpo e un'anima.
Ho provato a scrivere di lei tempo fa e a questo interlocutore inesistente la descrivevo come una "nonna molto assente", per poi trascrivere tutto quello che lei ha fatto per me e come mi è stata accanto. La prima riga e il testo erano una contraddizione.
Quando sono cresciuta un po', ho capito che si stava sacrificando, essere sempre in viaggio per il progresso e il recupero politico in memoria del fratello non è per niente facile».
Valentina ricorda tantissimo della nonna, soprattutto della sua capacità di entrare in connessione con chiunque a tal punto da condividere il suo tempo con loro: «Non dimentico di tutte quelle volte in cui mi ritrovavo in casa persone che quasi inseriva nel nucleo familiare, all'inizio mi infastidivo.
Ma quando lei è morta mi sono resa conto di quello che aveva creato: era un modo per farci sentire meno soli in previsione della sua assenza.
Io non penso di aver mai amato così tanto qualcuno nella mia vita, in modo sconfinato.
Ogni momento con lei me lo porto dietro, lei mi ha fatto credere che ce la potevo fare, in qualunque cosa».
Nonna Rita è sempre con lei, quasi come se fosse sul palco.
Valentina Corrao è un'attrice diplomata all'Accademia D'Arte del Dramma Antico e ha frequentato l'Alta Formazione del Teatro Laboratorio della Toscana diretto da Federico Tiezzi a Pistoia.
Ha lavorato al teatro greco di Siracusa per cinque anni e ha recitato in spettacoli con opere antiche come "Ippolito", "Medea", "Edipo Re", "Le Nuvole" e le "Baccanti".
Al centro studi Paolo e Rita Borsellino giovedì 17 luglio alle 21.00 si tiene "Legami di memoria - I mandanti senza nome", un incontro alla sua 29esima edizione in cui Valentina celebrerà la nonna, lo zio e le vittime di mafia con un intenso intervento.
Una carriera che le è stata cucita addosso anche grazie alla nonna che l'ha sempre incoraggiata nell'intraprendere questa strada.
Un'attrice che si è immersa nelle storie di tanti, soprattutto nella sua e in quella della sua famiglia di cui anno dopo anno veniva sempre più a conoscenza, con particolari e stralci che una bimba e poi una donna potesse comprendere meglio: «La mia famiglia ha sempre avuto un approccio molto concreto e realistico.
Ma negli anni cambiavano i dettagli della ricostruzione, non si può spiegare a una bambina che il corpo del proprio zio è esploso e smembrato.
Quando io e mia sorella eravamo piccolissime nonna Rita raccontava una favola che parlava di noi e dei lupi cattivi che volevano fare del male allo zio e che non volevano che fossimo felici.
Ho sempre sentito l'esigenza di capire quel dolore e di conseguenza anche la realtà.
Prima mi sentivo quasi "esclusa" da qualcosa che non sapevo, perché ero certa che ci fossero persone esterne che sapevano più di me.
Sul mio pc facevo ricerche e a volte guardavo dei video delle stragi e da lì ho capito anche la sofferenza di mia mamma Cecilia che è stata costretta a lasciare la casa sotto scorta.
Nella casa in via d'Amelio viveva mia mamma insieme ai suoi due fratelli, a mia nonna Rita e a mio nonno.
Vista la strage, l'intero condominio si è trasferito in un hotel. Non è stato un lutto normale».
È stato molto più di un lutto.
Era uno zio il cui ricordo è stato alimentato da racconti e testimonianze anno dopo anno a tal punto che Valentina credeva non fosse mai morto, è una famiglia legata da un dolore indicibile e una presa di coscienza talmente intensa da scardinare ogni certezza.
Ma è stato anche un caldo abbraccio che solo una nonna come Rita, qualunque peso abbia sulle sue spalle, sa dare.
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