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Da Ortigia in Sardegna (e poi ritorno): chi è Aurora, che "cuce" i racconti delle donne

Un'artista e allo stesso tempo un'artigiana. È nata nel cuore di Ortigia, a pochi passi dalla sua attuale casa-laboratorio dove cucendo tiene a bada i suoi "demoni"

  • 17 febbraio 2023

Aurora Mica

“Non basta saper cucire! Dovete incantare”, così scriveva Sarah Lark. Una frase che ben si addice alle splendide creazioni in tessuto di Aurora Mica. Aurora è un’elegante signora di 76 anni portati molto bene, perché come lei stessa sostiene «fare ciò che ti piace, aiuta a rimanere giovani».

È nata a Siracusa, nel cuore di Ortigia, a pochi passi dalla sua attuale casa-laboratorio a dal basso dove nacque Elio Vittorini. La sua passione per i tessuti proviene dall’infanzia, il nonno paterno era sarto, realizzava abiti sartoriali da uomo. «Da piccola ho iniziato ad appassionarmi alle stoffe grazie a mio nonno, abitavamo molto vicini. Quando è morto avevo 8 anni ma lo ricordo bene, lavorava sempre proprio su questo tavolo di legno che adesso è nella mia cucina».

Appena sposata, agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, Aurora si è trasferita in Sardegna dove è rimasta dieci anni e dove ha avuto modo di ammirare la passione e la pazienza con le quali le donne del luogo praticavano l’arte della tessitura.
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In Sardegna inizia anche il suo impegno politico e sociale per i diritti delle donne. Una volta rientrata nella sua Ortigia, l’amore e l’interesse per i tessuti prende nuova consapevolezza. Inizia ad apprendere da autodidatta le tecniche del Crazy patchwork e del Log cabin, acquista riviste di settore e inizia a mescolare le tecniche.

Attraverso questi metodi Aurora recupera anche il più piccolo quadratino di tessuto prezioso e ne prevede l’assemblaggio di diversa forma e consistenza. Queste tessere vengono sapientemente accostate fra loro senza seguire uno schema ben preciso o abbinamenti preordinati. In questo modo diventa un’esperienza liberatoria, infatti per scelta non segue i disegni schematici del patchwork americano.

«Ho iniziato a comporre questi pezzi di tessuto interpretandoli a modo mio, rompendo gli schemi del patchwork Americano, perché trovo il disegno ripetitivo. Le stoffe che seguono il cosiddetto “disegno americano” sono uniformi, monotone, invece in questo caso la texture è diversa».

Il disegno che crea nella sua mente sembra seguire un flusso energetico, prima di iniziare un lavoro ha già in mente dove vuole arrivare ma lascia sempre spazio anche al caso, all’errore, all’improvvisazione. Gioca persino sulle misure, cosa che una patchworkista non farebbe mai.

Prende spesso spunto dal Bauhaus e da altre correnti artistiche d’avanguardia, in particolare fa riferimento agli artisti Robert e Sonia Delaunay. Quest’ultima lavorò su accessori, abiti e stoffe, e amava affermare: “solo il colore è forma e soggetto”.

E proprio il colore è al centro dell’interesse di Aurora, a questo proposito va sottolineata l’altra peculiarità del suo modus operandi, cioè quella di trattare prima le stoffe.

«In casa mia c’è sempre una pentola sul fuoco con all’interno la stoffa immersa in acqua. Amo trattare i tessuti prima di iniziare il lavoro, per conferirgli un certo “invecchiamento”, ottenere il colore che voglio e la morbidezza». Il procedimento che Aurora segue per trattare i tessuti è quello di immergere la stoffa nell’acqua e farla bollire insieme a bucce di cipolla, foglie di alloro e di menta.

Attraverso questo particolare sistema è possibile giocare sulla tonalità di colore delle stoffa. «Per me i colori sono fondamentali, se ho un quadratino di stoffa con un rosso che non corrisponde a quello che ho in mente, lo faccio bollire, lo tratto con la candeggina, fino a ottenere la tonalità che voglio».

Certe mattine Aurora si alza pensando che le serve quella precisa sfumatura di colore per continuare il lavoro. Ecco che inizia la sua ricerca e il trattamento delle stoffe per ottenere quella specifica tinta. È come la composizione di un quadro. Nei suoi lavori le stoffe non sono mai ripetute, sono singoli moduli tutti diversi l’uno dall’altro. Insieme al colore, la varietà delle stoffe è per lei fondamentale.

Ogni lavoro è un’opera d’arte, un pezzo unico. Nella tecnica “crazy” che Aurora realizza si possono trovare almeno otto/nove stoffe diverse. Il processo è sempre lo stesso: viene creata l’anima, la base sulla quale si ancorano le singole tesserine di stoffa con la macchina da cucire, a sua volta la base dietro viene foderata per renderla resistente al logorio del tempo ma anche ai raggi del sole, come nel caso delle tende.

Se inizia a deteriorarsi la stoffa, basta togliere la fodera e rifare la base impedendo che tutto il lavoro vada distrutto. In questo modo se si rovina un anche un singolo quadratino, lo si può facilmente sostituire.

«Quasi sempre inizio da un modulo rosso al centro, che è di buon augurio. Al rosso attribuisco il significato della passione, dell’amore, del fuoco. E poi c’è anche una spiegazione tecnica, gli occhi vanno subito al rosso, al centro, e quindi al principio di tutto. Questa centralità tiene la mia attenzione alta sul lavoro. Il mio percorso procede così con i vari aggiustamenti strada facendo, fino a creare l’armonia finale».

Ma ad Aurora non basta rielaborare in modo già così complesso i suoi lavori, spesso impreziosisce e personalizza ulteriormente il tessuto tramite applicazioni e ricami.

Quindi nelle sue opere coesistono l’accostamento delle stoffe, le frange recuperate, applicazioni di vario tipo, il ricamo ed anche la pittura. Per quest’ultima tecnica ha come riferimento un’amica pittrice che realizza appositamente per lei dei disegni dipinti a mano direttamente sui tessuti. Seguendo questo elaborato metodo certosino realizza arazzi, tende, tappeti, paralumi, cuscini.

Gli arazzi in alcuni casi diventano preziose stole. «Le tende sono alte di norma 3 metri, quindi bisogna inventarsi una sorta di aggiunta quando la stoffa a disposizione finisce. Per rimediare a questo inconveniente ho inventato il crazy applicato alla tenda».

Le sue preziose tende vengono viste come quadri, ci vogliono mesi di lavoro per realizzarle e in una tenda si possono trovare impiegate anche 20 stoffe diverse. Nella sua coloratissima casa-laboratorio si possono trovare pezzi davvero singolari come il bellissimo paralume realizzato in crazy con un inserto di un abito da sposa.

I tessuti che Aurora ama riciclare per realizzare le sue creazioni provengono perlopiù dalle coperte. «Ci sono creazioni che realizzo interamente da vecchie coperte imbottite e rivestite di tessuti pregiati, damascate. Sono le cosiddette “cuttunine”, coperte imbottite e foderate di raso, si adagiavano in bella mostra sui letti. Un tempo si trovavano in tutte le case siciliane, facevano parte della dote della sposa».

La sua passione per le coperte nasce in Sardegna e poi la riprende in Sicilia. Antiche, vecchie, ancora avvolte nel cellofan, usate, nella storia di ogni singola coperta vede un qualcosa di atavico. «Le coperte sono intrise dei momenti della vita, si trovano nel letto che ha una funzione fondamentale soprattutto nella vita delle donne: ci nascono, si riproducono, si ammalano, ci muoiono e si sporcano.

Se ne trovo sporche le prendo comunque, sono dense di significato, raccontano storie. Il materiale che uso evito di comprarlo perché mi piace molto recuperare».

Il recupero però implica lavoro in più, le stoffe che ricicla vengono accuratamente lavate e trattate prima di arrivare sul tavolo da lavoro.

Questo lungo processo però la ripaga proprio perché Aurora crede fortemente che le coperte raccontino la vita delle donne. Le arrivano spesso in dono da amiche, conoscenti o perfetti estranei, solo perché sanno di questa sua attitudine. Le è capitato anche di recuperarne qualcuna attraverso qualche rigattiere o casualmente come quella volta che, passando dal mercato all’aperto, la sua attenzione è stata richiamata dal banco di un fruttivendolo che poggiava la sua merce su una bella coperta antica.

Le coperte parlano di storie a volte lontane, a volte dolorose. «Un episodio che mi ha molto colpita è stato una volta in cui una signora mi portò due coperte, una damascata verde e una in seta. Le dissi che secondo me le due coperte comunicavano tra loro e potevo realizzarle delle tende, mi rispose perentoria che non le voleva fatte con quelle due coperte.

Era molto chiaro che quel rifiuto andava ben oltre il non vedere il relativo accostamento. Evidentemente legava a quelle due coperte degli episodi spiacevoli. Questo la dice lunga sulla storia delle coperte e delle donne». Quando inizia un lavoro è come inoltrarsi in una foresta, non conosce bene dove sta andando, se riuscirà a portarlo a termine. Sono processi lunghi, ci sono dei pezzi a cui ha lavorato anche 5 anni.

Un lavoro così minuzioso, preciso, che prevede metodo e pazienza, fa nascere spontanea una domanda: “ma lei perché lo fa?”. «Non so bene perché lo faccio, forse il giorno in cui lo saprò non lo vorrò più fare. Anche se questa possibilità mi sembra molto remota perché ho un intimo legame con questo mio processo creativo e la sua realizzazione. La prima cosa che faccio al mattino è andare a vedere il lavoro che ho lasciato il giorno prima.

È per me sicuramente un’esigenza, è terapeutico, un qualcosa che mi fa stare bene, aiuta a tenere a bada i miei demoni. Quando immagino il lavoro nella mia testa, è come un processo catartico, dimentico tutto il resto. Ci sei solo tu, le stoffe e magari una musica in sottofondo».

C’è una frase del giornalista Enrico Filippini nella quale Aurora si identifica molto: “non riconoscersi negli atti che fai è rimandare quelli in cui ti riconosceresti”. I lavori di Aurora possono essere definiti a pieno titolo opere d’arte. Spesso è difficile stabilire il labile confine tra arte e artigianato e, soprattutto, chi lo stabilisce.

«Una domanda che spesso mi viene fatta è se mi sento più un’artista o un’artigiana. Forse se mi fossi limitata a seguire i disegni mi considererei più un’artigiana, ma io non seguo i disegni e quindi si sarebbe più portati a considerarmi un’artista perché non mi limito a riprodurre, ho fatto il salto più in la seguendo il mio estro.

Riprodurre è come rimanere in una comfort zone, segui uno schema e usi materiali che già conosci e che riconoscono anche gli altri. Ritengo che la stoffa sia al pari dei pennelli, delle tela, del pezzo di marmo, uno strumento e un supporto che può servire a fare arte. Poi dipende da come lo usi, se hai un progetto.

Alla fine definirsi e definire artista o meno rimane solo un’etichetta. Io non so dove finisce l’arte e inizia l’artigianato e non so nemmeno chi possa stabilirlo, io so solo che lavoro duramente e con passione».

Come nel film di Paul Thomas Anderson “Il filo nascosto”, in cui il protagonista inseriva messaggi nascosti nella stoffa dei vestiti nella speranza che potessero influenzare le esistenze, così Aurora “ascolta” e trasmette in qualche modo le storie delle stoffe legate alle donne trasferendole nelle sue meravigliose creazioni.
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