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Distrutto dalle bombe, ci abitano solo i gatti: a Palermo Palazzo Papè ora vuole rinascere

Questo tratto di strada di circa venti metri mostra ancora le ferite aperte del secondo conflitto mondiale nel cuore del centro storico della città. La sua storia

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 15 febbraio 2024

Palazzo Papè a Palermo

I gatti. I gatti di via Protonotaro sono i padroni di questa strada. Ci passi e sono sempre lì. Qualcuno gli dà a mangiare, trovi piattini improvvisati sulla strada: resche di pesce, pasta, carne e di rado croccantini.

Perché in un modo o nell'altro c'è chi se ne prende cura. Sono gli unici abitanti di un antichissimo palazzo distrutto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e rimasto rudere da allora. Passeggiando per la via Vittorio Emanuele questo tratto di strada di circa venti metri mostra ancora le ferite aperte del secondo conflitto mondiale nel cuore del centro storico di Palermo.

Fa tenerezza vedere tra i ruderi, un balconcino di una casa che si affaccia proprio sul chiostro del palazzo abbandonato e che ogni giorno mette in mostra la roba stesa ad asciugarsi al sole.

Forse però, qualcosa sta per cambiare. Eh, sì. Nel 2025, ha annunciato lo studio di design Ovrll, inizieranno i lavori di restauro del vecchio Palazzo Papè dei principi di Valdina.
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«Siamo molto orgogliosi di annunciare che stiamo lavorando per riportare in vita questo palazzo restituendolo alla città e ai cittadini. Il restauro dell'immobile inizierà nel 2025 e conterrà 11 unità commerciali e cinquantadue unità residenziali». In attesa che si metta mano al progetto, ripercorriamo la storia di questo edificio.

Come già scrissi in un precedente articolo, l'origine edilizia di questa dimora risale al XV secolo, infatti la dimora quattrocentesca, che inglobò la chiesa di San Tommaso di Canterbury, sorgeva nell'ormai dimenticata "ruga di la Djmonia" e apparteneva agli Opezinga, i quali, ricorda Rosario La Duca, la vendettero nel 1551 ai Galletti baroni di Fiumesalato. Da questi ultimi nel XVI secolo la strada prenderà il nome di "strada di Fiumisalato".

Dai baroni di Fiumesalato la casa passò agli Spinola e da questi infine fu venduta ai Papè principi di Valdina e protonotari del regno. «Originari di Anversa e stabilitisi a Palermo nella prima metà del Cinquecento, i Papè detennero in Sicilia l'ufficio di Protonotaro del regno, acquistato nel 1624 da Cristoforo Papè, sino al 1819.

Diventano principi di Valdina in seguito al matrimonio, celebrato intorno alla metà del XVII secolo, tra Paola Vignolo Papè e Andrea Valdina, marchese della Rocca e principe di Valdina ebbe origine il ramo Papè-Valdina. Furono anche duchi di Pratameno e Rebuttone sul feudo di Vallelunga, e marchesi della Scaletta».

Da essi la via moderna del Protonotaro e il palazzo prenderanno il nome.

L'edificio nel 1651 era un complesso sistema di case preesistenti. Sarà ampliato e ammodernato secondo il gusto settecentesco da Giuseppe Papé tra il 1714 e il 1742. Il palazzo è compreso tra la via Protonaro e il vicolo Lombardo.

A Nord confinava con la via pubblica, che un tempo si chiamava via Toledo ed oggi è la via Vittorio Emanuele, e a sud con una cortina di case private e la piazza dell'Origlione. L'architetto che diresse i lavori del suo restauro e del suo ampliamento, commissionati da Giuseppe Papè, fu il gesuita Agatino Daidone.

Al palazzo si accede dalla via Protonotaro attraverso un chiostro settecentesco, con una caratteristica palma centrale, e da dove si possono ammirare le finestre della facciata principale con frontoni ad arco e balconcini a petto d'oca e i resti di una pregevole fontana barocca. Sempre nella corte si trova una rampa di scale che conduce al piano nobile composto da innumerevoli stanze.

Le stanze del piano nobile erano decorate con tessuti rabescati e scene bibliche alle pareti, sovrapporte affrescate con scene bucoliche e nella volta del salone più prestigioso vi era un grande affresco centrale attribuito al pittore Antonio Manno, inoltre le stanze presentano decori in stucco dorato come era uso nel Settecento e da come si può dedurre da alcune foto d'epoca antecedenti al 1943. Questo pregevole tesoro, ciò che ne rimane s'intende, sarà oggetto dei restauri del 2025.

Essendo alcune camere da letto prospicienti la via Protonotaro, una via in passato molto trafficata e attraversata anche dalle processioni religiose, Giuseppe Papè per maggior intimità creò un nuovo ingresso dallo stretto vicolo Lombardo e concentrò le modifiche sostanziali nella zona est del palazzo, in particolare nella camera da letto dove fece impiantare un caminetto e due botole che conducevano ai piani inferiori usate in caso di necessità.

Due uscite "segrete" di sicurezza insomma. Giuseppe Papé collegò anche il suo appartamento al piano nobile con la chiesa normanna di San Tommaso attraverso una scala a chiocciola nascosta. La devozione verso questo santo accentuava il prestigio della famiglia che pare custodisse delle “autentiche” reliquie.

A questa piccola chiesa, formata da un'unica navata, si accedeva dall'attuale vicolo Lombardo. Secondo una leggenda la chiesa fu edificata dalla piccola comunità anglosassone di Sicilia costretta all'esilio dal re d'Inghilterra Enrico II plantageneto a causa dei dissapori tra questo e l'arcivescovo di Canterbury, ovvero proprio Tommaso Becket, il sant'uomo a cui è dedicata la chiesetta.

La comunità inglese era formata per la maggior parte dai familiari di Tommaso costretti anch'essi all'esilio e rifugiatisi in Sicilia grazie alla protezione della Regina Margherita, inglese anche lei e vedova di re Gugliemo I detto "il Malo".

Ma la paternità di questa costruzione pare cosa fantasiosa secondo Gioacchino Di Marzo, il quale più concretamente ricorda il più antico documento che la citi: «Più antica notizia sicura della chiesuola istessa non si ha però che nel 1439, nel Ruolo de' tonni fatto in tale anno [...] dove si legge pro ecclesia s. Thomae Cantuberni. Ed è da notare che anco nelle scritture dei tempi posteriori tale chiesuola è corrottamente appellata Canturbiis o Contuberni (invece che alla latina Cantuariense)».

Nonostante lo scetticismo del Di Marzo, va giustamente ricordata la presenza del santo tra i mosaici absidali del Duomo di Monreale, proprio sotto il Cristo Pantocratore.

In attesa dunque dei restauri del palazzo e della chiesa, la domanda più importante che tutti i nostri lettori si faranno è: “sì, va bene il restauro, ma i gatti di via Protonotaro che fine faranno?” (Per maggiori approfondimenti confronta Palermo Felicissima di Nino Basile; Biblioteca storico e letteraria di G. Di Marzo; Secret Routes and Blurring Borders.

The New Apartment of Giuseppe Papè di Valdina (Palermo, 1714–1742) di Valeria Viola; La via Djmonia di Antonino Prestigiacomo pubblicato per Balarm il 5 febbraio 2024)
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