Le piazze di notte si devono riempire di sorrisi, non di spari: Palermo che ti succede
Un commento di chi è stanco di vedere la propria città alla deriva e di chi si sente strappato alla movida di sempre: un tempo uscire era un dono, non una trappola

Teatro Massimo a Palermo
Quando andavo a scuola mi hanno insegnato ad alzare sempre la mano se qualcosa non stesse andando bene e durante i temuti colloqui "genitori - insegnanti", la mia prof di italiano diceva sempre a mia mamma: «Alice non interviene mai, ma sa sempre la risposta, questo non va bene. Lo dico per la sua crescita».
Questo mi ha spronata quotidianamente ad alzare la mano e a dire la mia. Perché non importa quanto imbarazzo ci sia nel farsi sentire: se qualcosa non va, bisogna intervenire. Se qualcosa non fila, un ragionamento in più non guasta. Negli anni questo ti premia, didatticamente parlando. Ottieni credibilità, fiducia, qualora le tue parole non siano prive di senso s'intende. È anche vero che attualmente c'è della difficoltà generale nel discernere cosa sia giusto o sbagliato, ma di base dovrebbe essere così.
Mi sono sempre chiesta se, al di là dei banchi, accorgersi di qualcosa e non voltarsi dall'altra parte, paghi. Forse non è una regola universalmente accettata e credo che Palermo mi stia dando troppe risposte recentemente, sabato dopo sabato, strage dopo strage.
Dopo il Covid e la quarantena del 2020, ricordo che non vedevamo l'ora di "riconquistare" le nostre amate piazze, di salutarci abbracciandoci e semplicemente di vivere di quello che da sempre in città ci appartiene e che per un po' ci è stato "negato": la movida. Sì, perché a Palermo non si esce, ci si muove. Si migra, di base si inizia alla Magione, ci si sposta un po' a Sant'Anna perché «conosco una scorciatoia», un po' in via Roma perché «devo salutare un'amica che non vedo da un po'».
E che fai: il panino, il kebab, i cornetti non li mangi alle 3 o alle 4 di mattina? Ma che deve succedere? Eppure in un attimo succede di tutto e a chiunque. Quando andavo al liceo, il punto di ritrovo era proprio il teatro Massimo, che con le sue scalinate e le sue luci ti travolgeva facendoti sentire a casa. Lì pensavo "sono al sicuro, ci sono tutti qui".
Non voglio stigmatizzare quartieri, periferie, locali, persone, famiglie intere, Mare Fuori, Gomorra, la barba, gli occhiali e tutti gli accessori del caso. Mi spaventa di più la precisione di uno sparo che silenzia una voce per sempre, quella di chi forse avrebbe alzato la mano in classe con sicurezza perché protetta dai confini del banco.
Ma qui non ci sono compagni di classe o insegnanti che ti "puntano", ma tavoli spostati con forza da cadaveri. Non c'è nessun registro o appello che ti prende "di mira", ma una pistola che spara, secca. Mi fa male vederti così sofferente, Palermo.
Mi fa male assistere a manifestazioni che inneggiano al controllo (da rivalutare suppongo) e alle armi mentre c'è chi cerca di "definire un bambino". Mi fa male voler restare a casa un sabato sera qualunque e svegliarmi la domenica con l'ennesima sparatoria e i social invasi da volti, collage, Tik Tok, "siete tutti uguali, venite tutto dalla stessa periferia".
Ma siamo sicuri che il problema sia tutto lì? Stiamo fallendo. Dovevamo "invadere" le piazze di gioia, non di pallottole. Che ti è successo, Palermo?
Questo mi ha spronata quotidianamente ad alzare la mano e a dire la mia. Perché non importa quanto imbarazzo ci sia nel farsi sentire: se qualcosa non va, bisogna intervenire. Se qualcosa non fila, un ragionamento in più non guasta. Negli anni questo ti premia, didatticamente parlando. Ottieni credibilità, fiducia, qualora le tue parole non siano prive di senso s'intende. È anche vero che attualmente c'è della difficoltà generale nel discernere cosa sia giusto o sbagliato, ma di base dovrebbe essere così.
Mi sono sempre chiesta se, al di là dei banchi, accorgersi di qualcosa e non voltarsi dall'altra parte, paghi. Forse non è una regola universalmente accettata e credo che Palermo mi stia dando troppe risposte recentemente, sabato dopo sabato, strage dopo strage.
Dopo il Covid e la quarantena del 2020, ricordo che non vedevamo l'ora di "riconquistare" le nostre amate piazze, di salutarci abbracciandoci e semplicemente di vivere di quello che da sempre in città ci appartiene e che per un po' ci è stato "negato": la movida. Sì, perché a Palermo non si esce, ci si muove. Si migra, di base si inizia alla Magione, ci si sposta un po' a Sant'Anna perché «conosco una scorciatoia», un po' in via Roma perché «devo salutare un'amica che non vedo da un po'».
E che fai: il panino, il kebab, i cornetti non li mangi alle 3 o alle 4 di mattina? Ma che deve succedere? Eppure in un attimo succede di tutto e a chiunque. Quando andavo al liceo, il punto di ritrovo era proprio il teatro Massimo, che con le sue scalinate e le sue luci ti travolgeva facendoti sentire a casa. Lì pensavo "sono al sicuro, ci sono tutti qui".
Non voglio stigmatizzare quartieri, periferie, locali, persone, famiglie intere, Mare Fuori, Gomorra, la barba, gli occhiali e tutti gli accessori del caso. Mi spaventa di più la precisione di uno sparo che silenzia una voce per sempre, quella di chi forse avrebbe alzato la mano in classe con sicurezza perché protetta dai confini del banco.
Ma qui non ci sono compagni di classe o insegnanti che ti "puntano", ma tavoli spostati con forza da cadaveri. Non c'è nessun registro o appello che ti prende "di mira", ma una pistola che spara, secca. Mi fa male vederti così sofferente, Palermo.
Mi fa male assistere a manifestazioni che inneggiano al controllo (da rivalutare suppongo) e alle armi mentre c'è chi cerca di "definire un bambino". Mi fa male voler restare a casa un sabato sera qualunque e svegliarmi la domenica con l'ennesima sparatoria e i social invasi da volti, collage, Tik Tok, "siete tutti uguali, venite tutto dalla stessa periferia".
Ma siamo sicuri che il problema sia tutto lì? Stiamo fallendo. Dovevamo "invadere" le piazze di gioia, non di pallottole. Che ti è successo, Palermo?
Ti è piaciuto questo articolo?
Seguici anche sui social
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÚ LETTI
-
ITINERARI E LUOGHI
Il paradiso unico (sconosciuto) in Sicilia: tra sabbia, ciottoli e un mare splendido