TRADIZIONI
Ha il nome di una regina, era il panino degli operai: la ricetta di una delizia siciliana
Si chiama come una sovrana ma le origini del nome questo lievitato di casa nostra sono incerte. Vi raccontiamo un po' di storia di una prodotto da forno della tradizione

Per secoli generazioni di siciliani si sono sfamati solo di pane, accompagnandolo con poco companatico: qualche oliva, una cipolla o un pezzo di formaggio. A Palermo il pane si sforna almeno due volte al giorno, a volte anche tre…per accontentare i clienti più esigenti, che lo vogliono croccante o soffice, in ogni caso sempre fresco.
Fino a una decina di anni fa esistevano diverse tipologie, prodotte quotidianamente ed esposte nelle ceste e nei banconi dei panifici: la signorina, il pizziato, il torciglione, il toscanino, la spiga, il pane francese, la mafalda…e poi i panini: il bocconcino, il sempre- fresco, la rosetta…Il pane a Palermo non si pesa: va a merito.
E chi si ricorda quando, al posto di qualche monetina di resto i fornai davano una caramella. Una volta la differenza di costo era soprattutto dettata in base alla scelta tra pane bianco o rimacinato; oggi la moda impone di poter scegliere invece tra pane integrale, azzimo, a lievitazione naturale, ai cereali…e così via.
Uno dei pani tipici, che non possono mai mancare negli sfiziosi spuntini dei siciliani (e in particolare dei palermitani) è la mafalda: un’appetitosa pagnottina cosparsa di semi di sesamo, "quei semi di sesamo meravigliosi a mangiarseli, raccogliendoli, uno ad uno, quando cadono sulla tovaglia, facendoli appiccicare all'indice, leggermente bagnato di saliva": così scriveva Andrea Camilleri, ne Il corso delle cose.
La mafalda è un panino particolarmente aromatico e dolce, che ha doppia lievitazione. Viene ottenuto con un pezzo di pasta a forma di corda ripiegato più volte, a formare varie anse. Sulla parte mediana è posto un filo di pasta più sottile. Viene poi spolverizzato di semi di sesamo (in dialetto giuggiulena) prima di essere infornato.
La mafalda è il pane ideale per essere farcito: viene spesso utilizzato nella gastronomia del cibo di strada, per accompagnare panelle, crocchette, milza (meusa) e polmone fritti nello strutto. Negli anni ‘60 in molte scuole elementari di Palermo venne istituita, per i bambini in difficoltà, la "refezione": veniva distribuita una merenda che consisteva spesso in una mafalda condita ogni giorno in modo diverso, con la mortadella, con il tonno o con lo sgombro, con la cioccolata o con la cotognata. Il giorno della cotognata era pericoloso perché di solito non piaceva a nessuno e i monelli la lanciavano o la spalmavano sui capelli dei compagni…
Scriveva Francesco Alliata che la mafalda era il pane popolare di Palermo: “operai, muratori, contadini lo tagliavano per il lungo, lo farcivano di squisite panelle …e lo addentavano famelici allo stacco di mezzogiorno” (Il Mediterraneo era il mio regno, 2015). Capita spesso di leggere nei moderni libri di enogastronomia: la mafalda ha origini antiche ed è profondamente radicata nella tradizione panificatoria della Sicilia. Ci sarebbe molto da obiettare, ad esempio che lo studioso Giuseppe Pitrè non cita la mafalda nel catalogo dell’Esposizione Nazionale 1891-92 di Palermo.
Nella sezione alimenti del catalogo lo studioso elenca pani comuni, pani e dolci festivi. Tra i pani comuni: pala, pani lisciu, pizzarruni (forma di pane appuntita all’estremità), pistuluni (pane a bastone), pistuledda (più piccolo del precedente), rugnuneddu (a picce breve e corte oggi si è allungato e si chiama pizziato), varvuzza (barba), vastedda, muffulettu, papalina, f ciume tortu (fiume torto), a zig zag, piede di bue, ciuridda (fiorellino), turtigghiuni, turticedda, scalittedda (scaletta)…
Qualcuno, come vedremo, ipotizza invece che la mafalda potrebbe essere una rivisitazione proprio della scaletta. Errata è la convinzione che la mafalda venga realizzata con farina di grano duro. In realtà è pane bianco, come è ben specificato anche nell’”Atlante del pane di Sicilia”: viene preparato con farina di grano tenero, lievito, sale, acqua.
Il peso di ogni pezzo è di 200/300 g circa. Gli autori dell’Atlante aggiungono che la mafalda può essere definita una variante della scaletta: “ha in più rispetto alla scaletta una striscia di impasto longitudinale” al centro. Secondo una diffusa leggenda, che non ha nessun riscontro storico, la mafalda sarebbe stata inventata verso la fine dell'Ottocento e poi avrebbe preso questo nome come omaggio di un panificatore catanese nei confronti di Mafalda di Savoia, nell’anno della nascita della principessa ossia nel 1902. Si legge nell’Espresso (1970) che effettivamente “Catania era famosa per i pani, Palermo per i dolci” ma ci sarebbe da chiedersi: perché dedicare un panino proprio a Mafalda e non magari a Iolanda che era la primogenita? Forse per analogia alla famosa pizza margherita dedicata alla regina, oppure perchè non veniva in mente nessun’altra spiegazione… Oltretutto se ci mettessimo a riflettere sulla storia della principessa Mafalda di Savoia e sulla sua tragica scomparsa ci passerebbe proprio la fame.
Mafalda morì tra grandi sofferenze nel campo di concentramento di Buchenwald durante la seconda guerra mondiale. Nell'agosto del 1944 le truppe alleate bombardarono il lager in cui si trovava sotto falso nome; la principessa riportò ferite e gravi ustioni su tutto il corpo. Fu ricoverata nell'infermeria, ma senza cure le sue condizioni peggiorarono. Dopo quattro giorni di tormenti, insorse la cancrena e dopo una lunga operazione le fu amputato un braccio.
Ancora addormentata, Mafalda venne abbandonata a sè stessa, senza ulteriori cure. Morì dissanguata, senza aver ripreso conoscenza, nella notte del 28 agosto 1944; sembra che, poco prima di morire, abbia detto ai deportati che la salvarono: «Sento che per me sarà difficile guarire, voi siete giovani, potete farcela… Se mai la fortuna vi aiuterà a tornare fatemi un bel regalo… salutatemi i miei figli Maurizio, Enrico, Ottone e Elisabetta. Salutatemi tutta l’Italia dalle Alpi alla Sicilia».
L'opinione del dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, è che Mafalda sia stata intenzionalmente operata in ritardo, seppur con procedura in sé impeccabile, per provocarne la morte. Il metodo delle operazioni ritardate era già stato applicato a Buchenwald su alte personalità di cui si desiderava sbarazzarsi…. Ritornando alla nostra di Mafalda: a darci una spiegazione sicuramente più attendibile è il procedimento stesso con cui viene realizzato il pane, perché in siciliano come spiega sempre Pitrè, Mafarda/mafalda è una corda lunga venti centimetri utilizzata per fissare le reti alla carlinga delle barche (Bollettino dell’Atlante linguistico mediterraneo 1974, p.152) e la mafalda è «una forma di pane, fatto con un pezzo di pasta a forma di corda ripiegato varie volte» (G. Gulino).
Mafarda, si legge ancora, potrebbe derivare dall’arabo farad, ossia piegare, torcere. Per chi volesse cimentarsi a preparare in casa la mafalda ecco di seguito la ricetta.
Ingredienti
500 g di farina 00,
300 ml di acqua
15 g di sale
10 g di lievito di birra
1 cucchiaino di miele
1 cucchiaino di zucchero
35 ml di olio extravergine d’oliva
q.b. di semi di sesamo
Per decorare
1 uovo
50 ml di latte
Q.b. semi di sesamo
Preparazione
Sciogliete il lievito insieme al miele, allo zucchero e all'acqua tiepida. Unite poco alla volta la farina setacciata, l'olio e il sale. Lavorate fino ad ottenere un composto liscio e omogeneo e fatelo riposare 1 ora. Dividete l'impasto in diversi panetti e impastate di nuovo. Lasciate riposare i panetti ottenuti per altri 30 minuti. Con i panetti ottenuti, formate dei cordoni di almeno 60 cm e create una specie di serpentina, con cinque curve. Chiudete la serpentina stendendola nella parte centrale. Lasciate lievitare le mafalde fino al raddoppio. Spennellatele con uovo e latte e cospargetele con i semi di sesamo. Infornate in forno statico preriscaldato a 180° per 35/40 minuti.
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