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Due chiacchiere con Antonio Rallo: il signore dei vini tra Donnafugata e Doc Sicilia

Amministratore con la sorella José dell'azienda di famiglia "Donnafugata", è presidente di "Tutela Vini Doc Sicilia": uno dei personaggi più autorevoli del mondo dei vini

  • 2 marzo 2018

Antonio Rallo

È cresciuto in una famiglia che da 150 anni fa vino e di quello veramente buono, e vivendo fin da bambino tra campagna e cantina gli è venuto spontaneo laurearsi in agraria.

Oggi oltre ad essere amministratore assieme a sua sorella José della propria azienda Donnafugata, Antonio Rallo è presidente del Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia quindi uno dei personaggi più autorevoli, in poche parole tra quelli che contano di più, nel variegato ed importante settore dei vini di Sicilia, anche per i suoi incarichi passati.

L’azienda aveva il nome di famiglia e si chiamava Rallo, poi suo padre Giacomo, altro importantissimo personaggio del vino isolano che fu tra i primi a puntare sui vini di grande qualità, costituì Donnafugata nel 1983 e da allora è un crescendo di notorietà e di successi tanto da farne uno dei nomi più apprezzati del vino italiano.

Oggi Donnafugata oltre alla cantina storica a Marsala, possiede 270 ha di vigneti a Contessa Entellina, 68 a Pantelleria, da poco 18 a Vittoria e 15 sull’Etna, e per essere particolarmente rispettosa dei vari territori in ogni tenuta c’è una cantina di vinificazione.
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In pratica in quasi tutte le zone viticole più importanti dell’Isola sventola la bandiera di Donnafugata. I vini più famosi: Ben Ryé, Mille e Una Notte, Tancredi.

Nel 2011 nasce la Doc Sicilia con l’intento di migliorare la qualità dei vini siciliani e favorirne la diffusione facendo leva sul marchio Sicilia, noto in tutto il mondo per la sua offerta agricola di eccellenza. L’anno successivo nasce il Consorzio di Tutela che nel 2014 assume le funzioni erga omnes, cioè di cogenza anche nei riguardi dei non associati.

Antonio ne è il presidente fin dall’inizio e buona parte del suo tempo lo dedica a dirigere le attività del Consorzio che si riassumono in promozione, valorizzazione, tutela e vigilanza. Nel 2016 è presidente dell’Unione Italiana Vini, l’importante e potente associazione di imprese del vino, ma dopo un anno preferisce dimettersi perchè non ha il tempo necessario a svolgere al meglio anche questa attività.

Lo incontriamo in azienda in una ventosa giornata invernale per iniziare domandandogli dove vive.

«Passo la metà del tempo a Marsala, poi tra agosto e settembre circa il 70% lo vivo nella meravigliosa terra di Pantelleria, isola che è più bella per la sua terra, la natura e i panorami anche agricoli, che per il mare».

Quali sono gli obiettivi e la mission che si è posto?

«Ogni mattina appena alzato mentre faccio la mia mezzora di ginnastica già penso all’attività dell’azienda, ai 100 dipendenti sparsi per l’isola, agli agenti che devono vendere 2 milioni e 200mila bottiglie di vino, al fatto che non possiamo sederci sugli allori ma che dobbiamo sforzarci di migliorare continuamente la piacevolezza e identità dei nostri vini, il rispetto dell’ambiente, l’incremento della nostra offerta turistica che già oggi vanta 10mila visite annue in azienda. La mia mission è agire in maniera da diffondere sempre più il nome Sicilia, sia come Donnafugata che come Doc, nonchè valorizzare la complessità e l’esclusività dei vini siciliani».

A proposito di Doc Sicilia, come sta andando?

«Al disopra delle più rosee prospettive. I produttori hanno capito che la Doc non è una complicazione burocratica bensì una garanzia di maggiore qualità ed un’opportunità per favorire le vendite. Siamo passati da 10.500 ettari tutelati del 2015 ai 21.450 del 2017 con un grande balzo l’anno scorso. Di contro l’Igt Terre Siciliane è passato dai 33.600 ettari ai 20.700 del 2017. Buona parte del merito si deve alla decisione di poter permettere la dicitura Nero d’Avola e Grillo, i vitigni che più stanno avendo successo commerciale, solo nelle Doc. Si è capito che questo obbligo serve a tutelare la qualità, serve ad evitare che in commercio siano immessi vini dei 2 vitigni di scarsa qualità ed infimo prezzo, che farebbero enorme danno a tutto il comparto. Sono anche orgoglioso che, non solo per merito mio, durante i 3 anni di mia presidenza in Assovini, associazione di produttori tra i più importanti dell’Isola, sia nata la Doc Sicilia a cui di conseguenza sono particolarmente legato».

Cosa le piace maggiormente del suo lavoro?

«Sicuramente assaggiare le uve, sentirne l’evoluzione, avvertirne i sapori, inebriarsi con l’aroma, insomma girare per le vigne, sprofondare i piedi nelle morbide zolle, è quello che più mi appaga. Poi seguire e decidere l’attività tecnica anche in cantina, devo pur ricordarmi che sono un agronomo».

A quale dei vostri vini è più legato?

«Sono quattro: Ben Ryè passito di Pantelleria, Mille e una Notte blend di Nero d’Avola e altri, principalmente, poi Tancredi Cabernet sauvignon Nero d’Avola ed altri, Chiarandà Chardonnay. Vini di eccellenza, che hanno contribuito a far conoscere la Sicilia, che hanno goduto della consulenza del compianto Giacomo Tachis, che possiamo definire come il padre della moderna enologia siciliana, e successivamente di Carlo Ferrini. Aggiungo che il Ben Ryè è il vino eletto per ultimare una giornata al Vinitaly. Grazie anche alla posizione del padiglione Sicilia sono tanti i visitatori che prima di uscire dalla fiera ultimano gli assaggi con un coinvolgente sorso del nostro Passito che è giudicato con i massimi voti in tutte le guide».

A proposito, qual è il vostro rapporto con i concorsi e le guide?

«Precedentemente partecipavamo ai più importanti concorsi, ottimi trampolini di lancio per essere conosciuti. Oggi inviamo i vini alle più note guide, che in verità ormai stanno diventando troppe, anche per avere una conferma della nostra produzione e perchè sono un mezzo per farci conoscere alle nuove generazioni».

Vini tradizionali, biologici, biodinamici, naturali, che ne pensa?

«Premetto, non siamo certificati nel biologico per scelta ma da anni seguiamo i principi di un’agricoltura sostenibile, che evita l’uso di prodotti di sintesi e che addirittura cerca di diminuire o annullare l’utilizzo del rame, che è pur sempre un metallo pesante. Monitoriamo continuamente le condizioni ambientali e parassitarie per essere velocissimi a utilizzare gli strumenti adatti di lotta integrata. Il produttore può essere un artista, quindi interpretare il modo di fare il vino come giudica opportuno, per cui c’è spazio per il biodinamico, per il naturale, anche se la parola la giudico non adatta».

Il vino siciliano del futuro?

«Rallo a questo punto ha una pausa di riflessione, poi afferma: Penso al Grillo perchè è un vino che piace sempre più, che ormai i produttori sanno come farlo al meglio, che per profumi, struttura e vivacità è ormai nell’olimpo dei bianchi nazionali. Poi il Frappato, in purezza e come Cerasuolo, che grande successo ha presso i giovanissimi, per la sua beva più sbarazzina e fresca».

Quali gli obiettivi futuri?

«Vorrei continuare a lavorare, anche per la Doc, divertendomi; amo il lavoro che faccio, per la mia azienda e per la collettività, cercando di fare della Sicilia non solo un’isola del vino ma un vero e proprio continente perchè le sue diversissime condizioni pedoclimatiche, la sua vocazione millenaria a produrre agricoltura di eccellenza ne fanno un microcosmo unico. Mi sto dedicando a implementare la ricerca scientifica specialmente a favore dei vitigni autoctoni meno conosciuti e più trascurati, con un particolare riguardo al Catarratto, altro vitigno bianco che già comincia ad avere il successo che merita, e che ha un potenziale incredibile, specialmente se coltivato in collina. Il disciplinare della Doc lo considero qualcosa di vivo, che deve crescere e adattarsi alle esigenze dei produttori e specialmente dei clienti».
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