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È la Little Sicily australiana e tutti la amano: Brisbane, tra arte, buon cibo e divertimento

Non importa a che ora arriverete, il quartiere di New Farm sarà pronto ad accogliervi. Sulle sponde del fiume Brisbane le sue strade alberate sono una delle destinazioni predilette

  • 27 aprile 2022

Non importa a che ora arriverete, il quartiere di New Farm sarà pronto ad accogliervi. Sulle sponde del fiume Brisbane, dal quale la città australiana prende il nome, le strade alberate di New Farm sono una delle destinazioni predilette dai visitatori. Oggi, questa zona di città, è sinonimo di arte, creatività, buon cibo e divertimento: il pittoresco distretto ospita il Brisbane Powerhouse, numerosi ristoranti e il New Farm Park, un paradiso verde nel cuore della città, proprio sulla riva del fiume.

Il quartiere è stato radicalmente trasformato, negli ultimi decenni, da un importante processo di “gentrificazione”. Le abitazioni eleganti di oggi non somigliano ai cottage modesti di una volta, quelli costruiti qui dai primi residenti negli ultimi anni del diciannovesimo secolo, ma il caffè è ancora il migliore! Infatti, è proprio qui che si insediò una delle più numerose comunità di immigrati italiani in Australia: ancora oggi la comunità italiana, siciliana in particolare, con i Coffe Shop e le Deli, assicurano al distretto di New Farm il titolo di Little Italy a Brisbane, anzi di Little Sicily.
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I primi immigrati raggiungono la regione del Queensland, dall’Italia, prima e soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, più del 60% di loro arriva dalla Sicilia, in particolare dalla costa del catanese e dai paesi etnei. Nel secondo dopoguerra, l’immigrazione è addirittura incoraggiata dal governo australiano, gli immensi territori, soprattutto quelli del lontano nord-est necessitano di essere ripopolati, per sfruttare le risorse agricole.

L’emigrazione, spesso vissuta come l’unica alternativa, per sperare in un futuro meno difficile, diventava anche una risorsa enorme per la nuova patria. Con la crisi del settore vitivinicolo, nella provincia etnea, interi paesi si spopolarono o comunque persero una generazione: inizialmente erano i giovani uomini a partire e, arrivati a destinazione, dopo un lungo viaggio in nave, a trovare lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero. Prima di lasciare la Sicilia, bisognava superare dei rigidi controlli, le autorità e i medici australiani avevano predisposto un Centro a Messina, visto il numero degli aspiranti emigranti.

Bastavano convinzioni politiche poco gradite o anche un piccolo difetto fisico perché venisse rifiutato il permesso di partire; chi si preparava al viaggio doveva inoltre affermare di voler “restare” in Australia. Una volta raggiunto il Queensland però, le condizioni di lavoro erano dure, il taglio della canna da zucchero era un’attività faticosa e il clima tropicale la rendeva ancora più sfiancante. Le prime abitazioni degli immigrati siciliani non erano decisamente all’altezza di quello che speravano di trovare: baracche di una sola stanza, col pavimento in terra battuta e i materassi riempiti con gli scarti di canne.

Nei racconti biografici di questi instancabili lavoratori, la parola più ricorrente nel descrivere la loro esperienza è: challenge, sfida. Negli anni Cinquanta e Sessanta, cominciarono ad arrivare i parenti dei primi avventurieri, era più facile infatti ottenere il permesso di raggiungere l’Australia con “l’atto di richiamo” di un familiare, o addirittura grazie ad un matrimonio “per procura”. Oggi sembra incredibile, ma tante ragazze, pur di migliorare le loro condizioni, accettavano di sposare un giovane uomo mai visto, dopo aver guardato un paio di foto e forse letto una lettera, proveniente dall’altro capo del mondo.

Il matrimonio veniva regolarmente celebrato in chiesa, il padre o il fratello della sposa facevano le veci del futuro marito, così che poi la moglie potesse subito ottenere il permesso di raggiungere quello vero.

I nuovi australiani del Queensland arrivati da Piedimonte Etneo, da Castiglione di Sicilia, da Francavilla, da Riposto e da altri paesi vicini, avevano gli stessi sogni: arrivare a possedere una Farm (una fattoria) o riuscire a trasferirsi a Brisbane, in città, e magari trovare un lavoro meno logorante, almeno per i loro futuri figli. In tanti vi riuscirono e, in città, abitarono per generazioni lo stesso quartiere, mantenendo un forte senso di comunità.

Si parlava in siciliano, sia perché le famiglie non interagivano facilmente con il resto della cittadinanza, sia perché mantenere il dialetto e le tradizioni legate alla terra di origine era motivo di orgoglio. Se vi foste trovati a passeggiare per le strade di New Farm cinquanta anni fa, le conversazioni tra vicini sarebbero state in una lingua a voi familiare, i profumi dell’ora di pranzo vi avrebbero ricordato quelli delle specialità di vostra nonna. Per le strade di questa Little Sicily, si festeggiano gli stessi patroni, San Giuseppe naturalmente, ma anche Sant’Alfio e San Gerardo, tanto cari agli abitanti del versante orientale dell’Etna.

Spesso l'organizzazione delle feste tradizionali era coordinata dai Clubs, associazioni culturali che permettevano ai siciliani di Brisbane, e delle altre città australiane, di incontrarsi; nei Clubs si festeggiavano anche le ricorrenze private, come battesimi e matrimoni, e si socializzava, con un po’ di nostalgia. Oggi queste associazioni culturali vanno scomparendo e i giovani australiani di origine siciliana parlano inglese, studiano, fanno carriera e sono perfettamente integrati; alcuni hanno particolare successo.

Mariangela Stagnitti, nata e cresciuta a New Farm, è la presidentessa del Com.It.Es., lo è diventata dopo una brillante carriera nel settore finanziario. I genitori arrivarono, in nave, da Castiglione: forse è stato pensando a loro, che lei ha contribuito a creare una vera e propria guida per chi si trasferisce a Brisbane oggi (Prima fermata Queensland).

Venero Armanno, invece, è uno scrittore di successo. I genitori arrivarono a Brisbane da Piedimonte Etneo e alcuni dei suoi romanzi sono proprio ambientati a New Farm, altri parlano addirittura della Sicilia e dell’Etna; incuriosisce però che, seppure tradotti in varie lingue straniere, i suoi lavori non lo siano ancora stati in italiano! Le loro vite, come quelle di tanti altri siculo-australiani, sono lontane dai sacrifici che la vita rurale imponeva ai loro genitori e nonni.

Tuttavia, proprio quella energia, quella fatica, hanno contribuito a costruire l’identità del quartiere e hanno piantato il seme della vitalità, per la quale il mondo conosce New Farm oggi.
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