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Esce da San Patrignano e produce (in Sicilia) il candito più buono d’Italia: Nino e il suo "Don"

Rientra tra i prodotti d'eccellenza della Sicilia ed p senza dubbio il riscatto di un uomo messinese che soffriva di ludopatia e ha passato anni terribili. Questa è la storia di chi ce l'ha fatta

  • 21 febbraio 2022

«Dalle dipendenze una persona può uscire, molti non ci credono». “Don” - Il Candito più buono d’Italia è senza ombra di dubbio il riscatto di un uomo messinese che soffriva di ludopatia, malattia da gioco d’azzardo e che ha superato lo scoglio più insormontabile della vita, portandosi un mestiere serio a casa ed aggrappandosi al sentimento potente della sua attuale compagna Belkis e della famiglia.

Nino Modica di 55 anni, che è pure diabetico, ha costruito una piccola impresa di canditi da esportazione da pochi mesi a Rometta Marea (sul lato tirrenico di Messina dove risiede) e ha fatto girare quella fortuna che inseguiva spasmodicamente, mosso da una vocina interna irrefrenabile, nelle slot machine, nelle scommesse sportive e persino nei “gratta e vinci”. La fortuna in questo frangente è la volontà concreta di stordire per sempre e convertire quel disturbo del comportamento che ti stritola e deforma l’anima, sorreggendo un fantasma dell’individuo che c’era prima e che si fa comandare a bacchetta dalla compulsione del gioco.
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“Da una mia disgrazia – la ludopatia appunto, sono finito in Comunità a San Patrignano – confessa Nino -. Dopo troppi anni di tante stupidaggini che hanno fatto vergognare i miei parenti di me, sono stato lì per 15 mesi e mi hanno fatto lavorare nel settore dei canditi: mi hanno affidato contestualmente anche il ruolo di responsabilità di questo ambito… perché a ‘Sanpa’ si producono anche panettoni e colombe”.

Lui chiama allegramente quel posto “Sanpa” che l’ha ospitato in una situazione di recupero di mente, corpo ed affetti, quel grande villaggio che è stato dimora – prigione (per il suo benessere psico-fisico): ci è entrato il 10 maggio 2017 ed è stato autorizzato a lasciare la struttura il 28 luglio 2018. Si deve essere convinti di voler cambiare per innescare il meccanismo di rinascita e quando succede? «Ho pensato anche al suicidio – analizza con durezza -. Camminavo col motorino per Messina e ho capito che non era più vita. Perdi la tua dignità».

Nino adesso è in grado di produrre i canditi più appetibili della nazione e collabora non solo con le eccellenze gastronomiche – dolciarie locali ma anche con rinomate attività di pasticceria del Belpaese. Oltre ai cubetti di arancia candita e limone candito dal sapore straordinario (detto dalla clientela e da noi che li abbiamo assaggiati) che si usano per panettoni e colombe, la peculiarità “dell’artigiano zuccheroso” è di creare il purea (come lo classifica lui) o pasta di arancia, di limone, di mandarino o di agrumi siciliani.

Questo prodotto a base di bucce è unico in Sicilia e nello Stivale e viene impiegato congiuntamente alla marmellata, sagomando quella cosiddetta crema - purea di frutto singolo o frutti mixati. Insomma, il candito di “Nino da Rometta” è ricercatissimo e a San Patrignano lo definivano “Don”, visto che l‘appellativo del messinese era questo in segno di ossequio per la sua abilità e la provenienza siciliana. La sua azienda ha la denominazione “GM - Candito siciliano artigianale Srl” mentre il marchio è “Don - Il Candito siciliano artigianale”, proprio in ricordo dei suoi compagni e della sua esperienza che gli salva la vita.

Il maestro di questa leccornia ha un laboratorio a Rometta Marea, dove la compagna risulta titolare e lui il dipendente. La coppia, che convive da tre anni e sta insieme da otto anni, si divide le fasi della produzione: lui prepara la frutta candita, la tagliano insieme e Belkis cura il packaging ma può capitare che pure Nino si diverta e scriva a mano le etichette. Il locale di fabbricazione è stato aperto il 10 gennaio 2020, poco prima della propagazione del Covid perciò riacquista la luminosità nell’estate 2021 e diventa operativo dalla scorso metà ottobre.

Prima del 2020, Nino aveva provato a produrre a casa e poi da un amico nel villaggio di Santo Stefano Briga, sempre a Messina, all’interno di un panificio – pasticceria. «Si trattava di un paio di chili – precisa Nino –. Adesso, la produzione è più cospicua con la mia immensa gratificazione. A San Patrignano, non potevo assaporare i canditi che producevo. Funzionava così. Se i canditi fossero stati pronti, si sarebbero sentiti dall’odore: una lavorazione con cui si misura il livello della tua bravura».

E poi da Nino ci facciamo descrivere come trascorreva le sue giornate e quali erano le sue sensazioni più contrastanti tra il desiderio di un’esistenza normale che forse non aveva mai conosciuto e una professione che non lo annoiasse per non cascare in tentazione. «Chi entra a San Patrignano ha un seguitore per i primi nove mesi – ci illustra - che era addetto al Settore Canditura. Io mi trovavo in una situazione precaria emotivamente (come tutti coloro che scelgono di chiudersi lì). Non potevo telefonare a nessuno o farmi fare visita: davo e avevo notizie dalla mia compagna solo via lettere. La visita è infatti consentita solo dopo otto mesi per farti incontrare i tuoi cari.

La comunità viene fatta insieme ai tossici: per loro si arriva a 4 anni di "distacco" dai familiari. Il villaggio è grandissimo con 1300 persone mentre la Sezione staccata Botticella, dove alloggiavo, è una grande villa montana, sempre a Rimini con una ottantina di ospiti».

Nino ci parla dei quattro settori che sono organizzati per offrire una stabilità anche lavorativa in un futuro, una volta usciti da “Sanpa”: ristorazione, canditura, trattamento di salumi e formaggi, per questi ultimi compresa la stagionatura, piadineria, più gli esterni con il lavoro della terra come la coltivazione sia di ortaggi che di frutta. «Iniziavamo di mattina alle 6 (il tempo della colazione) e finivamo alle 18 - continua -. In mezzo c’erano gruppi di ascolto. Si entrava nel proprio settore in sei – sette persone. Un po' di sport dopo il lavoro, cena preparata da noi e un film serale per coricarsi presto».

La dipendenza patologica da ciò che è gioco d’azzardo sta incrementando nella civiltà odierna in quei soggetti particolarmente fragili o inclini a questo tipo di distrazioni rischiose. Nino è consapevole di aver insinuato forte imbarazzo verso chi gli stava accanto, ha rovinato le relazioni familiari, ha tolto il sorriso a sua madre Olga, casalinga che ha cresciuto quattro figli (due maschi e due femmine) e a cui aveva sottratto tanto denaro. Si è giocato tutto quello che aveva.

«Mio padre Stelio Vitale Modica faceva il giornalista ed è morto 30 anni fa - si commuove -. Almeno, gli ho risparmiato di assistere alle disavventure del terzo genito. Quando ho rivelato in una riunione di famiglia di aver pensato di uccidermi, mio zio materno Enzo mi ha proposto l’associazione di Catania senza scopo di lucro: per un mese ho fatto colloqui con una psicologa ed una responsabile. Infine, quello con il responsabile di Sanpa e la partenza».

Ecco il focus sulla storia sentimentale. La sua compagna Belkis, ora 49enne di origine cubana, si trovava in Sicilia per fare la modella. Una sera, è venuta a mangiare con le amiche nell’ex ristorante di suo fratello a Messina centro, dove Nino serviva ai tavoli. Più che un colpo di fulmine, è stato in testa; lei non voleva uscire con lui. Dopo un mese, l’appuntamento, prima un’amicizia e poi l’amore. Nino nascondeva la sua patologia perché nelle sue condizioni si sviluppa una capacità patologica a mentire raggirando l'interlocutore con una certa parlantina.

Agli occhi altrui “la sua vita sembrava regolare ma era quella di un giocatore incallito”. Belkis si accorgeva delle sue assenze e dei suoi ritardi ma lui “intortava” bugie. «Tutti hanno aspettato che io parlassi - conclude -. Mamma Olga adesso è serena, insieme a tutti i suoi familiari».

Nino collabora con panificatori e pasticcieri di altissimo richiamo: “Tre Sorelle”, “Panificio Laganà” in via Garibaldi, Lillo Freni per “Miscela d’Oro – Sicilia 1946” e Cannata a Messina e Milano e “Panificio Falcone”. Il fiore all’occhiello sono il “Caffè Florian” di Venezia, a cui prima della pandemia gli spediva la purea di arancia e la “Cioccolateria Roccati” di Bologna, con un punto vendita anche a Madonna di Campiglio: in questi ultimi, si richiedono listelli di arancia e limone per ricoprirli di cioccolata.

Evviva il passaparola. Nino aveva mandato dei cubetti canditi ad un’amica di Tommaso Cannata che tiene corsi privati di pasta madre, in voga nella neo cultura dei panettoni quindi il tramite della cioccolateria. La produzione di Nino resta limitata perché rivolta ad una nicchia di mercato e mantiene così il grado dell’eccellenza.
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