PERSONAGGI
Gli amori (proibiti) di Giovanni Verga: restò scapolo e fu rivale di Carducci e Rapisardi
Lo scrittore verista amò intensamente diverse signore dell'alta società, istruite ed eleganti. Molto diverso quindi dall’intellettuale tutto d’un pezzo studiato a scuola
Giovanni Verga
Sobrio nel vestire, elegante e discreto nei modi, il Verga aveva fama tra i contemporanei di uomo galante. "Il bel giovane bruno, dall’aria fatale, riservatissimo, accende passioni nelle dame della haute société e suscita la gelosia del Carducci".
Scapolo impenitente, della sua vita privata poco raccontava in pubblico: solo i carteggi hanno consentito di conoscerne (in parte) la vita sentimentale.
Fece innamorare di sé molte donne, nubili e sposate; le più note furono appunto la scrittrice Giselda Fojanesi, Paolina Greppi, Lina de Cristoforis (l’amante di Giosuè Carducci), Dina Castellazzi.
Giovanni Carmelo Verga di Fontanabianca, considerato il più autorevole esponente del Verismo, fu scrittore e appassionato fotografo. Nato a Vizzini (Ct) nel 1840, a venticinque anni, nel 1865, decide di lasciare la Sicilia per trasferirsi a Firenze, dove grazie a un caro amico, lo scrittore Luigi Capuana, e all’ex compagno di studi Mario Rapisardi, viene introdotto nei migliori salotti della città.
Giovanni è un giovane ambizioso, alla ricerca del successo letterario. A Firenze conosce Giselda Fojanesi, maestra diciottenne, la prima grande passione della sua vita e quando nel 1869 Giovanni torna per un certo periodo in Sicilia, si offre galantemente di accompagnare Giselda (e la madre) a Catania, dove la giovane ha ricevuto un’offerta di lavoro, presso un collegio di religiose.
Il Verga mette subito però le cose in chiaro con la bella fiorentina: “Non prenderò mai moglie, perché non sposerei una più ricca di me, né sono io abbastanza ricco per sposare una povera; sarebbe per me una insopportabile mortificazione vedere mia moglie rimodernarsi un abito vecchio, non potendosene fare uno nuovo".
La signora Teresa, avveduta mamma di Giselda, risapute le intenzioni del giovane spasimante, provvede ad indirizzare le romantiche inclinazioni della figliola verso Mario Rapisardi, che si presenta come un partito migliore: sta per diventare infatti (grazie a delle raccomandazioni) docente di letteratura italiana all’Università di Catania. La prima impressione che la maestrina ha del futuro marito è sgradevole.
"Il Rapisardi è magrissimo, macilento, con l’aria sofferente e non piace molto a Giselda che lo trova piuttosto ridicolo, nonostante le molte parole spese dal Verga in suo favore", (Giulio Catteneo).
Tuttavia la fanciulla finisce per cedere alla melodrammatica corte del poeta, anche per via delle insistenze materne. Mario e Giselda si uniscono in matrimonio, il 12 febbraio del 1872, a Messina, per superare l’opposizione della famiglia di lui.
Giunti a Catania, la suocera saluterà la nuora infatti esclamando: “La vostra venuta in casa mia segna un giorno di lutto" (Alfio Tomaselli).
Verga in quel medesimo 1872 si trasferisce a Milano, dove rimane stabilmente per quasi vent’anni (pur con frequenti ritorni in Sicilia) e dove frequenta i salotti letterari, entrando in contatto con gli scapigliati milanesi, i fratelli Boito, Emilio Praga, Luigi Gualdo.
A Milano conosce inoltre Carolina de Cristoforis Piva, l’amante del Carducci, assidua frequentatrice dei salotti milanesi della contessa Maffei.
Carolina (o Lina), moglie del militare di carriera Domenico Piva, è mantovana di nascita, ma milanese di adozione: donna colta e brillante, ambiziosa e affascinante, incline all’adulterio (talvolta anche con i colleghi del Carducci, come i letterati Enrico Panzacchi ed Enrico Nencioni), è soprannominata la "Pantera".
Il Carducci ne è perdutamente innamorato e ha "orazianamente" ribattezzato la sua musa "Lidia". L’amore fra i due durerà per un decennio, dal 1871 al 1881, anno della morte di Lina.
Nel 1873 il Carducci recatosi un giorno a Milano, per un "abbraccio lungo, soave, profondo e "un bacio supremo" alla donna amata, rimane scornato: incontra in casa di Lina proprio il Verga, in atteggiamento da corteggiatore.
Giovanni, viene considerato un rivale pericoloso dal Carducci, che decide di inviare alla De Cristoforis una lettera piena di invettive, dando libero sfogo alla sua gelosia: dipinge il Verga come un donnaiolo, un mariuolo e un imbecille!
Ne condanna apertamente un audace gesto: Giovanni si è permesso di accarezzare a lungo la morbida mano di Lina per farne poi un paragone con la pelle liscia del suo figlioletto, Gino Piva (partorito il 9 aprile del 1873, frutto segreto della relazione sentimentale che il Carducci intratteneva con la donna).
"...ora mi torna alla mente il cavaliere......, dico, o cavalierino, come avrebbe detto Foscolo, Verga... Ah stupida bestiola d'un falso cavaliere e in tutto imbecille uomo!
E dire che fra i miei rivali, o fra quelli che nel loro audace secreto vagheggerebbero un furto da borsaiuoli su quel che è l'amor mio, e che innanzi a un mio sguardo che li cogliesse nella premeditata mariuleria diverrebbero lividi di paura, ci sarà anche cotesto rifiuto isolano!
Un uomo che mette una brutta corona baronale su una carta da visita e che si lascia dare falsamente del cavaliere e che scrive un romanzo epistolare; e con tutto questo è siciliano, non può essere altro che un vigliacco ridicolo parvenu".
Nel 1880 inizia la storia d’amore tra il Verga e la contessa milanese Paolina Lester Grepp. Il loro incontro avviene nella casa dello zio di lei a Loverdano, dove il Verga è ospite.
La Greppi è sposata con K. Bingley Garlam Lester, che morirà nel 1892. Tra Giovanni e Paolina scoppia una folle passione: lui ha 40 anni, lei 44. Nel primo biglietto che invia alla contessa lo scrittore scrive: "Basta un vostro sorriso per farmi nascere il sole dentro".
La loro relazione durerà fino al 1905 ed è testimoniata da 207 lettere autografe, uno scambio epistolare durato quasi ininterrottamente per venticinque anni.
"Vi scrivo dal battello, pochi momenti dopo avervi lasciata e accompagnata cogli occhi fin che potevo, col cuore e col pensiero tutto a voi, che mai come adesso ho sentito il bene che vi voglio e il dolore di staccarmi da voi...Pensate che vi lascio il cuore, tutto quel di meglio che ci è in me, che son tutto vostro, felice di volervi bene così, felice di esser voluto bene, e che lasciandovi mi è sembrato che qualche cosa di vivo e di intimo assai, si staccasse da me", (Antologia Amorosa).
Verga non è comunque il tipo d’uomo che, incontrata una donna, interrompa all’istante i rapporti con le altre. Ecco infatti che un giorno, durante uno dei numerosi soggiorni in Sicilia, undici anni dopo il loro primo incontro, ritrova Giselda, la sua vecchia fiamma.
La vita matrimoniale della donna con il Rapisardi è stata un inferno; Mario si è rivelato, oltre che succube della madre, infedele, crudele e violento: in un eccesso d’ira un giorno ha persino colpito ripetutamente la moglie con un frustino sulle braccia nude e sulla schiena.
Tra Giselda e Giovanni inizia una relazione clandestina, che durerà oltre tre anni. Il Verga si divide tra Paolina a Milano, e Giselda, in Sicilia.
A lei scrive: "Tu sei la donna come l’avrei sognata io, l’amica, la sorella, l’amante, tutto. Purtroppo però, un brutto giorno, la relazione tra Giselda e Giovanni viene scoperta ed è la catastrofe.
Il 19 dicembre del 1883 il Rapisardi trova una inequivocabile lettera del suo migliore amico indirizzata alla moglie e va su tutte la furie; concede alla donna due ore di tempo per preparare i bagagli e la fa accompagnare alla stazione da un domestico.
Giselda vorrebbe fermarsi a casa di Giovanni, ma lo scrittore le suggerisce di trasferirsi a Firenze (città di origine della Fojanesi) dove ci sono amiche che potranno ospitarla.
Il Verga, che è riuscito sempre a destreggiarsi senza farsi mettere la "catena" al collo (termine questo che ricorre più volte nel suo epistolario d’amore), non vuole trovarsi incastrato suo malgrado in una convivenza forzata, da cui poi non sarebbe facile svicolare.
In ogni caso Giselda (che di certo non nutriva molte aspettative) è felice di essersi liberata finalmente del marito e di aver ritrovato la sua indipendenza e soprattutto non serba affatto rancore a Giovanni, se già poco tempo dopo trepida con lui nell’attesa dell’esito della prima di Cavalleria rusticana, a Firenze.
La stampa isolana si schiera in due fazioni. C’è chi parteggia per il Rapisardi e chi ridimensiona la portata del “tradimento”: “il Verga avrà fatto male, ma col cuore non si ragiona”. Negli stessi giorni della "catastrofe", provocata dalla famosa lettera, a Milano intanto Giovanni continua a frequentare assiduamente la contessa Paolina Greppi.
Nel 1893, all’età di cinquantatre anni, lo scrittore vive una seconda giovinezza amando la giovane contessa Dina Castellazzi di Sordevolo, che sarà fonte di ispirazione per 521 lettere infuocate. Dina è una donna molto avvenente, elegante, istruita: suona il pianoforte, dipinge e scrive.
Il Verga naturalmente continua a frequentare anche Paolina, a cui scrive lettere un po' meno infiammate, ma molto affettuose: nelle 208 lettere indirizzate alla contessa Greppi, c'è il Verga tormentato da tanti problemi.
La vecchiaia dello scrittore è piuttosto triste; privo di mezzi economici, si ritira in solitudine a Catania, mantenendo con Dina rapporti quasi solo epistolari.
Dina sarà l'unica donna che gli resterà vicina fino alla fine. Giovanni però è un uomo, a suo modo, fedele alle "sue donne": il suo legame con Giselda dura fino alla morte (più di 35 anni), quello con Paolina pure (circa 40) e altrettanto durerà più o meno, quello con Dina Sordevolo, che avendo definitivamente perso la speranza di sposarsi solo all’ultimo, nel 1920, esclamerà: "Buonanotte ai suonatori!".
Della triste «stagione del silenzio» letterario, durata per il Verga un ventennio, le lettere a Dina offrono un quadro desolante. Giovanni Verga è ormai profondamente deluso dalla vita e dagli uomini, persino dalla letteratura: si è incupito sempre più e come i “vinti”, protagonisti dei suoi romanzi, ritiene ormai sia inutile continuare a lottare.
Nonostante le ristrettezze economiche si fa carico di mandare ogni mese 100 lire alla cara Dina, per consentirle di pagare l'affitto. «Che miseria e che noia, questa vita!», le scrive nel 1910, a 70 anni.
«Mi dici di mandare al diavolo i verdelli e tutto il resto. Ma di che vivere, allora? Di letteratura? Ahimè, ne so qualcosa». Nel 1920, quando ha già 80 anni, arriva insperata la nomina dello scrittore a senatore a vita.
Il cospicuo stipendio da parlamentare e i tanti benefici che derivano dalla carica politica salvano il Verga da una vita di stenti: dopo due anni sereni, nel 1922 Giovanni spira, a 82 anni.
Dina, non essendone la moglie, non eredita nulla ed è costretta a consegnare le oltre cinquecento lettere al Ministero della Pubblica Istruzione sia per sopravvivere sia, dice, «per avere la certezza che quelle appassionatissime lettere firmate dal grande Verga saranno conservate in un museo italiano, a disposizione di tutti, studiosi e lettori».
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