ITINERARI E LUOGHI
Ha il nome di un fiore e una storia dolorosa: fermarsi qui (sopra Palermo) è d'obbligo
Un luogo dalle mille sfumature, tra natura e storia. Da un lato il memoriale, simbolo della lotta contro la mafia, dall’altro i giochi naturali dei colori e profumi
È proprio il dovere di ciascun cittadino, una volta attraversato il ponte/tornante per raggiungere la cittadina di Piana degli Albanesi, soffermarsi. Anche per un attimo. Non costa nulla.
Aspetti umani e storici si mescolano ripetutamente.
Il luogo si trova al centro della vallata circoscritta dal Pizzo delle Cavalle. Purtelja e Jinestres è un luogo senza eguali. Il confronto impietoso di per sé, mostra i lati oscuri di questa terra. Eppure, nel mezzo di una vicenda tristemente nota, il curioso può andare oltre.
Come?
L’ambiente gioca un ruolo fondamentale. La camminata è breve, lenta, cercare diventa l’arma/protagonista di un luogo dalle mille sfumature. Lo spirito di osservazione è imprescindibile in questi casi.
Da un lato il memoriale (simbolo della lotta contro la mafia), mentre dall’altro i giochi naturali dei colori e profumi. L’opera dell’artista Ettore de Conciliis - insieme all’architetto Giorgio Stockel e il pittore Rocco Falciano - progettato tra il 1979 e il 1980, è una sistemazione chiamata “Land Art” (arte della terra, territorio).
Attorno e “dentro” al “Sasso Barbato” è scritta una delle pagine dolorose della Sicilia. Un martirio senza fine, o almeno abbiamo il dovere di non dimenticare. Entrano in gioco gli imprevisti. Si chiamano “aspetti particolari”.
Portella della Ginestra prende il nome dai fiori selvatici che crescono a primavera. Flora e colorazioni diverse, a dispetto delle stagioni.
L’aria è frammentata da sospiri gioiosi e affannosi. Le incisioni vogliono tracciare un’impronta forte, caratterizzata da una struttura delineata. Ben precisa! Effimero e ideologie non sono gli ingredienti adatti, anzi furono/sono ancor oggi messi da parte.
Il muro a secco di circa 40 metri è un concetto astratto dalle crude verità.
Lo stesso delinea la direzione degli spari. In un chilometro quadrato è descritto l’eccidio, con massi che variano dai due ai sei metri. “Blocchi grossi” (prodotti con pietra locale) sono testimoni della perfezione di uomini e animali. In altri sono incisi i nomi delle vittime e poi, ecco spuntare uno scritto.
È una lunga poesia, di commemorazione. Merita la giusta attenzione. «Te gryk'e spartavet, në fushë të kuqë, ra shqiponja ç'u sul të huajvet turq. Vanë te mali [...]». È l’esatto momento in cui arbereshe e italiani vivono in simbiosi, fratellanza, uniti nel cordoglio.
Improvvisamente lo sguardo è rivolto al cielo. In lontananza, non troppa, sorge Monte Pizzuta. Caratterizzato da grosse pietre calcaree, definisce e traccia un sottile confine. Spiccano i vari percorsi, “ognuno si definisce” bello e intenso. Non contano oggi.
Rimarca la forte intonazione colorata. Nel grigiore emotivo lascia una scia verde “speranza". La folta vegetazione è un elemento da “acchiappare”, che cammina di pari passo con i fatti. Seguiamo un solo itinerario, quello dell’armonia.
Finalmente troviamo la “via maestra”. Ambiente e storia corrono su un unico binario. Uno afferra l’altro, e l’altro non cammina da solo. Non rappresenta la soluzione al male subito, nessuno troverà riparo di fronte alla morte, quella ingiusta.
Il tempo non può e deve scalfire il pensiero verso le vittime. Alle undici iniziali, in seguito se ne aggiunsero altre sei. Inoltre, morì anche il campiere Emanuele Bersellini (sequestrato e ucciso dai banditi). Allora è giusto concludere il viaggio così: Margherita Clesceri, 37 anni, Giorgio Cusenza, 42 anni, Giovanni Megna, 18 anni, Francesco Vicari, 22 anni, Vito Allotta, 19 anni [...].
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