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I magnifici sette borghi fantasma di Sicilia: questa è la storia dei Villaggi Schisina

Borgo Schisina, Borgo San Giovanni, Bucceri-Monastero, Pietra Pizzuta, Malfìtana, Piano Torre, Borgo Morfia: dovevano rappresentare “la rivincita rurale” dell’Isola negli anni ’50

  • 29 marzo 2020

Borgo Schisina, uno dei sette villaggi abbandonati in provincia di Messina (foto Cristiano La Mantia)

Un vero e proprio villaggio fantasma composto da ben sette borghi abbandonati, posti in fila uno dietro l’altro, nei pressi di Francavilla di Sicilia, in provincia di Messina: dovevano essere “la rivincita rurale” dell’Isola negli anni ’50, ma ad oggi sono solo delle case vuote vista mare.

Sette villaggi rurali, lungo un’unica via, che furono edificati dalla Regione Siciliana nel 1950 nell’ambito dei progetti di riqualificazione dell’allora Ente per la Riforma Agraria in Sicilia (Eras), con lo scopo di adibirli come abitazioni per i contadini assegnatari delle terre circostanti facenti parte di ex latifondi, che così avrebbero potuto riscattare il terreno.

Si chiamano Borgo Schisina, Borgo San Giovanni, Bucceri-Monastero, Pietra Pizzuta, Malfìtana, Piano Torre, Borgo Morfia e, secondo il progetto urbano di messa in opera, l’organizzazione dei sette villaggi era così strutturata: il primo, Borgo Schisina, assurgeva a villaggio centrale di tipo A, il fiore all'occhiello nei sogni delll'Eras e centro amministrativo di tutta l'organizzazione montana collaterale.
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Non solo perché era il più grazioso ma anche perchè al suo interno comprendeva alcuni dei punti nevralgici per una comunità, quali la chiesa, l’abitazione del parroco, la scuola con gli alloggi degli insegnanti, l’asilo nido e la caserma dei carabinieri.

Gli altri borghi invece figuravano come micro-comunità di tipo C, costituite da piccolissime case costruite in mattoni sui vari terrazzamenti del terreno: delle 164 abitazioni costruite e assegnate ai contadini per sorteggio, con annesso appezzamento di terreno variante tra i due e i sei ettari, molti nuclei familiari assegnatari però rifiutarono di prendere la nuova dimora a causa del fatto che le abitazioni erano composte solo da due locali, di cui una cucina di quattro metri per quattro e una stanza da letto di tre metri e mezzo per tre metri, il tutto senza luce elettrica e senza acqua corrente.

Così, benché i contadini fossero per la maggior parte nullatenenti, tra quelli che rifiutarono a priori l’assegnazione delle case e quelli che non accettarono ex post di stabilirsi in quelle mini abitazioni, solo 15 su 164 furono gli alloggi abitati e utilmente sfruttati e il risultato di quella gloriosa operazione di riqualificazione rurale fu che i villaggi rimasero sostanzialmente vuoti e disabitati.

Ad esplorare nel 2016 la via dei borghi abbandonati sono stati due fotografi siciliani, Cristiano La Mantia e Giovanni Polizzi, facenti parte del collettivo fotografico Liotrum Urbex Sicilia (di cui abbiamo parlato qui), e coautori del libro “Paesi Fantasma”, un viaggio tra i più bei borghi abbandonati d’Italia.

«È stata un’esplorazione durata un giorno intero - dice Cristiano. Il primo ad essere visitato fu Borgo San Giovanni e per raggiungerlo abbiamo dovuto percorrere circa 2 km, in compagnia di almeno 6-7 mucche che, piazzatesi in mezzo alla piccola stradina che arrivava il borgo, non spaventandosi della nostra presenza ci hanno accompagnato sino all’ingresso del borgo.

All'entrata del villaggio abbiamo incontrato delle persone che raccoglievano le olive dagli alberi che hanno anche raccontato la breve storia del borgo. Dalla piazzetta centrale scorgiamo una vista dell'Etna impagabile, poi perlustriamo un po' tutto, fotografiamo e andiamo via.

Gli altri borghetti si trovano lungo la strada - continua - quindi proseguiamo verso Borgo Schisina, il più grande dei 7, e all'interno della chiesetta troviamo un murales che ritrae la Madonna in preghiera, ma attorno a noi non troviamo anima viva».

Col passare degli anni le abitazioni dei borghi vennero pian piano abbandonate ed i sette villaggi sono passati al patrimonio del vicino comune di Francavilla di Sicilia, che fino ad oggi non ha ancora trovato la possibilità di un loro reimpiego.

«Ogni volta che visitiamo un borgo abbandonato mi sembra come di avvertire il vociare dei bambini che giocano in piazza o immaginare di vedere i vecchietti del paese riposarsi giocando a carte attorno ad un tavolo, dopo una giornata nei campi. Purtroppo questi non sono ricordi di un tempo passato ma immagini che nella mia mente cercano di far rivivere la storia mai iniziata di questi luoghi».
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