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I musei di mezzo mondo ce le invidiano: il "Monrealese" e le sue opere nel cuore di Palermo

Pietro Novelli, punta di diamante, continuatore e animatore della lezione dei grandi maestri. Palermo è la città che detiene il maggior numero delle sue opere

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 5 febbraio 2021

Particolare di "San Casimiro incoronato dalla Vergine" - Pietro Novelli

Quando nel 1647 scompare all'apice del riconoscimento del proprio genio artistico, Pietro Novelli, detto "Il Monrealese", ha poco più di 44 anni e una carriera costellata da successi e costruita interamente sullo studio attento della pittura dei “campioni” della controriforma e sui viaggi studio (Roma e Napoli su tutti), sulla curiosità e pratica costante dell'arte pittorica, sulla creazione di quel tipo di bellezza che nasce per durare e per commuovere le generazioni future.

Figlio del pittore manierista Pietro Antonio Novelli da cui apprende i primi rudimenti della pittura ancora giovanissimo, si perfeziona a Palermo nella bottega di Vito Carreca, lavorando già da subito per i gesuiti, intessendo un proficuo rapporto di amicizia e di studio con l’erudito Carlo Ventimiglia con cui si forma nei principi di matematica e architettura che incideranno e positivamente sulla eclettica produzione che non si fermerà alla sola pittura ma, troverà sponda nella pratica costruttiva la cui testimonianza più rilevante resta la plastica delle raffinate partiture della Porta Felice sul Cassaro.
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Nel 1637 è nominato architetto del Senato palermitano e pochi anni dopo architetto del Regno dopo aver costruito nel 1641 l'arco trionfale per l'ingresso del viceré Alfonso Henriquez e aver lavorato alle opere difensive per la cinta muraria. Ma è la pittura a fare del Monrealese il degno esponente delle tematiche controriformiste nella ricca Sicilia barocca governata dalla corona spagnola.

Novelli è punta di diamante, continuatore, persino sintesi e animatore della lezione dei grandi maestri che passano di presenza o più semplicemente con le loro opere o attraverso le incisioni, nella Panormus sopravvissuta alla peste che consacra Rosalia Sinibaldi a Santa patrona della città ponendola come elemento di novità iconografica di successo, di cui il Monrealese così come Vincenzo La Barbera (il primo pittore della santa) si fa portatore e sperimentatore.

Come ebbe a ricordare Giulio Carlo Argan nel solco tracciato da quel grande studioso che fu Guido Di Stefano, Novelli volle e seppe "andar oltre il manierismo provinciale paterno, risalendo a fonti europe", su tutti l’Anton Van Dick alla cui Madonna del Rosario, il Monrealese rimase sempre devoto custode nella sintassi di panneggi e movenze dinamiche, debitore rispetto a quelle atmosfere di rarefatta luminosità, continuatore del messaggio positivo e vitale di una maniera tipicamente nordica di costruzione del messaggio custodito all'interno del dipinto, che non è mai mero schermo o specchio ma luogo primario della catechesi cristiana.

In Novelli altresì dimora la lezione tenebrista e realista di Caravaggio e Jusepe de Ribera, il dinamismo di Rubens e Domenichino, la classicità e persino certe movenze e torsioni di Raffaello e Michelangelo, la lezione cioè di quei titani visti e metabolizzati nel viaggio che in Monrealese compì a principio della terza decade tra Napoli e Roma e in cui si fissò la cifra della maturità artistica del suo ultimo periodo.

Il periodo cioè dei capolavori novelleschi come i Santi eremiti, S. Benedetto distribuisce la regola sotto forma di pani, L’annunciazione, L'assunzione della Vergine, L’Immacolata, San Casimiro incoronato dalla Vergine, per citare solo i più noti e dislocati tra le chiese e i monasteri di Monreale e Palermo. Città, quest'ultima, che detiene il maggior numero delle sue opere (molte custodite all'interno della galleria di Palazzo Abatellis) e in cui a custodire l'ultima opera è la seicentesca Chiesa di San Matteo al Cassaro.

Affidata alla confraternita dei Miserrimi, progettata tra gli altri da Mariano Smiriglio, Carlo D’Aprile e Gaspare Guercio, la chiesa trinave caratterizzata dalla sublime facciata classicheggiante, conserva al suo interno preziosi capolavori di arte decorativa unitamente ai due grandi oli su tela La presentazione al Tempio e Sposalizio della Vergine del Monrealese.

Entrambe opere di grande formato, 300x200 cm circa, risalgono a quel 1647 in cui il pittore, ferito ad un braccio durante i moti dei rivoltosi di Giuseppe D’Alessi, morì prematuramente. Opere diverse ma intrise dalla medesima carica evocativa memore tanto del realismo caravaggesco quanto dei modelli Vandickiani, opere in cui le architetture poste a fondale risultano pienamente rispondenti ad una classicità che è funzione della pratica diretta dell'artista/architetto e in cui la medesima luce con la medesima volontà creativa, colpisce segnando l'apice della narrazione, il bambino nel primo dipinto e la madre nel secondo.

Opere straordinariamente misurate, in cui Novelli sublima la sua predilezione costante per quei toni bruniti, quei rossi e quei blu che animano le scene della pittura della prima metà del Seicento sedotto da Caravaggio.

Un tempio della spiritualità San Matteo e al contempo un museo d'arte, testimone privilegiato di quella “santa alleanza” tra la Chiesa della controriforma e l'arte illuminata dalla creazione di artisti straordinari come Pietro Novelli e come quel Don Camillo Barbavara, strepitoso padrino delle arti decorative barocche isolane, seppellito all'interno della stessa chiesa e nominato spesso “Barbavaga”. Ma questa è un'altra storia.

Il centro storico palermitano in almeno tre dei suoi quattro mandamenti, custodisce le più preziose opere novellesche esistenti. Forse è arrivato il momento di valorizzarla questa identità novellesca invidiata dai musei di mezzo mondo e riprendere le fila “abbandonate” dopo l’importante mostra voluta nel lontanissimo 1990 per raccontare il Monrealese aprendone la commovente bellezza alla fruibilità del nuovo millennio.
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