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Il palermitano che cura i tumori (all'estero): due brevetti e un pranzo con la Montalcini

Pietro Mancuso è un ricercatore che vive e lavora alla Temple University di Philadelphia da oltre dieci anni. Conserva nel cuore la sua Palermo e ci racconta la sua storia

Federica Cortegiani
Giornalista pubblicista
  • 4 luglio 2022

Pietro Mancuso

La sua ricerca scientifica è stata inserita dalle riviste del settore tra le 50 più promettenti al mondo, è co-inventore di due brevetti internazionali sulla cura del melanoma e del cancro al seno e del pancreas e, pensate, ha avuto l’onore di pranzare con il premio Nobel per la Medicina, Rita Levi Montalcini, assistendo tra l’altro a un simpaticissimo siparietto.

Quella che stiamo per raccontare non è solo la storia di uno dei tanti "cervelli in fuga" che, da Palermo sono volati oltreoceano per inseguire i propri sogni, ma è la storia di una persona che ci mostra il lato "meno bello" del vivere lontano dalla propria terra e dalla famiglia, con tutti i fallimenti (ma anche i successi, è ovvio) che si incontrano lungo la strada.

Un modo per dar voce ai tanti talenti sparsi in giro per il mondo che portano alto il nome della Sicilia e che, nonostante la grande lontananza, portano la nostra Isola sempre nel cuore.
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È facile pensare ai ricercatori scientifici come a persone che hanno avuto sempre chiaro, sin da bambini, che la medicina sarebbe stato sicuramente il loro futuro. Ebbene, non sempre è così.

Questo è il caso di Pietro Mancuso, palermitano, oggi ricercatore universitario della Temple University di Philadelphia e autore di importanti traguardi nel campo della medicina.

Con una maturità classica e una laurea in Scienze Biologiche, Pietro da ragazzino non aveva le idee molto chiare sul "cosa fare da grande". Da piccolino era affascinato dal lavoro di sarto del nonno materno, da ragazzo, invece, il suo sguardo era indirizzato verso la carriera militare.

A stravolgere i piani (o meglio, a illuminargli una strada) è stato il gruppo di colleghi universitari che nel corso degli anni ha riacceso la sua passione per la scienza.

Prima di arrivare al Dipartimento di Neuroscienze alla Temple University di Philadelphia, Pietro ha lavorato in parecchi istituti, dal Gemelli di Roma al King’s College di Londra, fino al Ceinge di Napoli e al Policlinico di Palermo.

Ed è proprio da Palermo che arriva la svolta. È il 2011 e Pietro (senza pensarci troppo) decide di partecipare a un bando relativo a un progetto sul melanoma pubblicato sul sito dell’Istituto francese "Marie Curie".

Tre settimane dopo Pietro è a Parigi per uno stage di 3 mesi, al termine dei quali arriva la grande occasione: condurre una parte degli esperimenti al Fox Chase di Philadelphia nel laboratorio del professore Alfonso Bellacosa.

Inizia così l’avventura oltreoceano che ormai dura da oltre dieci anni e che ha permesso a lui e a Sabrina - attuale moglie (all’epoca fidanzata) e psicologa di lasciare (a malincuore) la loro città alla ricerca di un futuro migliore.

Un sogno – quello americano – che Pietro, cresciuto nel pieno degli anni Ottanta tra Paninari e tv, coltivava sin da bambino.

«Sono sempre stato folgorato dalla grandezza di questa nazione anche se oggi, vivendoci da oltre 10 anni, mi rendo conto che non è tutto oro quello che luccica – spiega -. Penso al paradosso che sia più facile acquistare un’arma da fuoco piuttosto che un paio di lenti a contatto, anche se poi, fatto il bilancio dei pro e dei contro, ritengo che sia un posto adatto alle mie esigenze lavorative nonché ricreative».

Tra i successi che Pietro ricorda con un più piacere c’è senz’altro quella "intuizione" che nel 2014 gli ha permesso di indirizzare lo studio del professore Alfonso Bellacosa verso un nuovo modo di trattare le cellule tumorali.

Concetto che lo ha portato ad essere l’autore dello studio "Thymine DNA glycosylase as a novel target for melanoma" e di ben due brevetti internazionali di cui è co-inventore.

C’è poi la riuscita di un esperimento pilota condotto sulle scimmie e che riguarda l’analogo virus dell’HIV degli umani e con cui nel 2018 ha ricevuto l’Early Career Investigator Award alla conferenza ISNV/SNIP di Chicago.

I suoi articoli sono stati menzionati da tutte le riviste più importanti tra cui Time, Der Spiegel, Le Monde, e anche su Discover magazine come una delle 50 ricerche scientifiche tra le più promettenti del mondo.

C'è poi quell'aneddoto curioso che riguarda niente di meno che il premio Nobel Rita Levi Montalcini. Pietro la conobbe nel 2008, quando la professoressa aveva 99 anni.

«Era assolutamente rispettata e tenuta in somma considerazione da tutti - racconta -, con più stima per i traguardi del passato che con la consapevolezza che lei fosse ancora di una solidità scientifica e una lucidità mentale a dir poco strabiliante».

Ricordo che quando il mio capo dell'epoca le parlava delle scoperte più recenti, lei ricordava tutto ed era anche aggiornata sulla letteratura scientifica appena pubblicata» aggiunge.

Un delizioso siparietto indimenticabile avvenne alla fine di un pranzo.

«Chiese il bis di semifreddo, ma il cameriere prese l'ordinazione sottogamba in quanto stava per arrivare la macchina che la avrebbe accompagnata a un convegno. Lei allora lo richiese insistentemente, lo mangiò ghiotta con massima calma e serenità e tutti dovettero ritardare, sorpresi ed al contempo divertiti».

Non sono mancati, come dicevamo, i fallimenti e i momenti di sconforto.

Dal periodo di forte stress (con turni di lavoro di oltre 20 ore consecutive) che lo portò ad attraversare una depressione e a prendere molti chili rendendolo obeso al periodo di grande preoccupazione (lavorativa ed economica) a causa dell'interruzione dei finanziamenti, a pochi mesi dal matrimonio.

«Quello è stato davvero un periodo da incubo - racconta - in cui avevo anche preso l’abilitazione per diventare autista UBER pur di supportare la mia permanenza negli Stati Uniti.

Per fortuna grazie al costante supporto di mia moglie e dei miei genitori ed amici, sono riuscito a tenere duro e a convincere entro breve il Professor Kamel Khalili, mio attuale boss e direttore del Dipartimento di Neuroscienze presso la Temple University di Philadelphia, ad arruolarmi nel suo laboratorio dove lavoro attualmente».

A chi ha deciso di rimanere (o tornare) in Sicilia, Pietro non può che pensare con grande rispetto e comprensione.

«La nostra Isola, malgrado gli innumerevoli problemi che tutti conosciamo, rimane una terra unica circondata da un mare meraviglioso, con posti incantevoli e persone entusiaste», spiega.

«Sono convinto - aggiunge - o almeno spero, che prima o poi in tutta Italia, ci si renderà conto che sarà necessario aumentare la percentuale del prodotto interno lordo (solo l'1,35%) che il governo devolve alla ricerca, tentando così di contrastare il fenomeno dei "cervelli in fuga" che da un lato, conferisce lustro ai paesi stranieri concorrenti che ci "adottano", e dall'altro creano una dolorosa, nonché quasi definitiva, separazione dalla nostra terra e, soprattutto, dai nostri affetti».
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