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Il parco dell'Olivuzza che non c'è più: dal regno dei Florio alla lottizzazione selvaggia

Era un paradiso floreale con edifici liberty e casine per ricevimenti tra nobili e imprenditori: cosa resta dell'Olivuzza? Una valanga di ricordi per i nostalgici di Palermo

  • 1 febbraio 2019

L'ingresso al parco dell'Olivuzza a Palermo

"Ci vediamo all'Olivuzza". Con questa frase, Ignazio Florio junior, la consorte donna Franca e il fratello Vincenzo invitavano gli amici nella loro dimora.

L'Olivuzza, in quel tempo, era una Contrada che si estendeva nelle odierne piazza Principe di Camporeale, via Oberdan, una parte della via Dante, piazza Sacro Cuore e corso Olivuzza (oggi corso Finocchiaro Aprile).

La Contrada prese tale denominazione perché nonostante fosse poco abitata, nel corso Olivuzza si trovava la bettola di una donna che si chiamava Oliva, dove si riunivano i cacciatori di conigli.

"Olivuzza" era il vezzeggiativo con la quale essi chiamavano la donna per la sua bontà e umiltà. All’inizio dell'Ottocento, la Contrada Olivuzza godeva di un’ottima reputazione perché occupava una vasta area ricca d’acqua, quasi tutta coltivata ed alberata ma soprattutto per il rinomato clima.

Alcune delle più prestigiose famiglie nobiliari decisero perciò di costruire sul luogo elegantissime e lussuose ville.
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Sorse la villa dei duchi di Monteleone, del principe di Belmonte, del duca di Serradifalco, del duca di Gela, di Caterina Branciforti, principessa di Butera, che rimasta vedova, aveva contratto un nuovo matrimonio con Giorgio Wilding.

Questi, in seguito alla morte della principessa, convolò a seconde nozze con la dama russa Barbara Schahoskoy, che scelse di abitare nella spaziosa villa dell’Olivuzza.

Eminenti personalità soggiornarono sul luogo, seppur per un breve periodo.

Il 23 Ottobre del 1845, lo zar Nicola I, la moglie Alexandra Fedorovna (in realtà si chiamava Federica Luisa Carlotta di Prussia, sorella del re di Prussia Federico Guglielmo IV Hohenzollern) e tutta la famiglia imperiale russa giunse a Palermo.

La zarina Alexandra non godeva di buona salute ed era consigliabile una sua permanenza in un luogo più caldo ed asciutto del freddo ed umido inverno pietroburghese.

La scelta del luogo fu consigliata dai più illustri professori europei, specialmente dai tedeschi dottor Markuous ed il dottor Mandt, che accompagnarono l’imperatrice nel viaggio a Palermo.

Precedentemente la dama russa Barbara Schahoskoy, durante un soggiorno a Pietroburgo, venne a conoscenza che per curare la precaria salute della zarina Alexandra, si consigliava l’aria del Mezzogiorno, perciò propose di ospitarla nella sua casa di Palermo. L’invito fu accettato.

La natura della malattia della zarina Alexandra non fu mai ufficialmente comunicata: alcuni sintomi come mancanza di respiro, asma, in realtà era affetta dal così detto "mal sottile", cioè tubercolosi.

Lo zar Nicola I si intrattenne sul luogo poco più di un mese mentre la zarina Alexandra dilungò la sua permanenza nella villa dell’Olivuzza con il resto della famiglia sino al 17 Marzo 1846.

Il soggiornare in questa Contrada ebbe effetti benefici sulla sua salute: l’aria buona, il tiepido sole e la l’alimentazione genuina, formata principalmente da una quotidiana abbondante razione di latte di asina, consigliato dai medici perché meno grasso e più leggero di quello di mucca, la ristabilirono.

Verso la fine dell'Ottocento, anche la ricca e potente famiglia Florio acquistò in questa Contrada una vasta area verde e costruirono la loro residenza.

Nella loro tenuta era compresa una vasta area a giardino che arrivava in via Dante ed in via Serradifalco.

Alla fine del 1899, Ignazio Florio junior incaricò Ernesto Basile di progettare una casinada adibire a "garçonniere" per il giovane fratello Vincenzino (Vincenzo), appena sedicenne ma già con la voglia di vivere da solo e ricevere i coetanei.

Nacque così il Villino Florio, ubicato ancor oggi in viale Regina Margherita, dotato di un grande giardino che lo adornava.

Nulla fu lasciato al caso, l’esterno era molto elegante, torrette, merlature, colonne, logge, capitelli, vetrate policrome lo rendevano unico nel suo genere.

Una cancellata di ferro battuto lo isolava all’esterno, sulla splendida torretta fu persino impiantato un parafulmine.

Gli arredi interni, i mobili, le suppellettili, le stoffe parietali (anch’essi disegnati dal Basile), le porte, i soffitti lignei ed un bellissimo camino alla parete del salone al pianterreno.

La villa fu utilizzata per sfarzosi ricevimenti e sontuose feste ospitando il bel mondo dell’aristocrazia (Belle Epoque) non solo palermitana ma anche internazionale.

Fu una delle prime opere architettoniche in stile Liberty e ancora oggi è considerata uno dei capolavori dell'Art Nouveau anche a livello europeo.

Nel 1911, dopo le sontuose nozze avvenute nel 1908, Annina Alliata di Montereale, giovanissima moglie di Vincenzo Florio morì di colera senza dargli degli eredi. La villa ed il parco furono quasi abbandonati.

Nel 1922, l’immobile ed il parco, a causa dei di gravi problemi economici dei fratelli Florio, passò a Girolamo Settimo e Termini principe di Fitalia che in seguito li donò alla Curia Arcivescovile che lo offrì alle monache Figlie di San Giuseppe.

Esse lo occuparono fino al 2012. Oggi, questo immobile ed il relativo giardino sono occupati dal club per gentiluomini Circolo Unione.

Tra il 1930 e il 1940, il bellissimo parco fu lottizzato. Sul luogo sorsero abitazioni ed alcuni palazzi. Nel novembre del 1962, un incendio probabilmente doloso danneggiò parte del villino e quasi completamente l’interno dell’edificio.

Nel 1984 la Regione Siciliana lo acquistò e successivamente con i finanziamenti europei fu restaurato. Attualmente il Villino Florio è uno degli edifici di rappresentanza della Regione Siciliana ed è visitabile al pubblico.

Sulla piazza Principe di Camporeale, abitò Pietro Paolo Beccadelli e Acton, principe di Camporeale e sindaco di Palermo tra il 1900 ed il 1901, al quale fu dedicata la piazza.

Il palazzo è ancora proprietà degli eredi, attualmente ospita il Commissariato dello Stato per la Regione Siciliana.

L’odierna piazza Sacro Cuore, era una vasta residenza con giardino realizzato all’inizio dell’Ottocento da Diego Pignatelli e dal figlio Ettore nell’area in cui, nel XVI secolo, esisteva il giardino della villa di Lorenzo Teglies marchese delle Favare.

Questa proprietà, nel 1904, fu venduta alle monache del Sacro Cuore di Gesù e divenne sede dell’Educandato omonimo.

Nel 1908, all’interno della struttura fu edificata una chiesa con piccolo coro all’ingresso e stalli lignei per le monache.

Nella cantoria della chiesa è collocato un prezioso organo a canne Cavallié-Coll, costruito a Parigi tra la fine del XIX secolo e l’inizio del successivo. Tra il 1909 ed il 1939, l’edificio fu ingrandito, mantenendo il prospetto ottocentesco.

Nel vastissimo giardino, utilizzato fino ad un decennio fa dall’Educandato dell’Istituto del Sacro Cuore e dal contiguo Istituto Imera, sono ancora visibili alcuni padiglioni ed elementi d’arredo del giardino neoclassico impiantato dal Pignatelli: la collinetta del boschetto, l’Osservatorio astronomico a forma di tempietto ottagonale con cupola ed il tempietto ionico.

Questo complesso, dopo il trasferimento delle suore in altri conventi, è in stato d’abbandono. Precedentemente era stato occupato da famiglie di sfrattati e attualmente ha l’ingresso principale chiuso con conci di pietra. Nonostante sia stato messo in vendita da qualche anno, attualmente è inutilizzato.

All’angolo con via dei Normanni, affacciata su piazza Sacro Cuore, si trova la palazzina Naselli di Gela, costruzione a tre elevazioni. La palazzina è in stato di abbandono da decenni.

Alla confluenza tra corso Camillo Finocchiaro Aprile e via Guglielmo il Buono si trova un lungo e basso edificio trapezoidale con ingresso sulla piazza Sacro Cuore.

Questa struttura è l’ex Correria Pignatelli, utilizzata in seguito come sede della fattoria: con forno e frantoio, magazzini, servizi e le scuderie.

Nel dopoguerra fu utilizzata come officina, garage ed in parte adibita a rivendita di marmi. Il bellissimo portale, sormontato da due leoni che reggono lo stemma della famiglia Pignatelli di Monteleone, si può ancora ammirare su piazza Sacro Cuore.

L’ultima erede, la principessa Pignatelli d’Aragona Cortes, alcuni decenni fa vendette l’immobile ad un costruttore palermitano. Anche questo immenso immobile, al momento versa in uno stato d’abbandono.

All’inizio del corso Finocchiaro Aprile, è ancora visibile lo splendido palazzo Butera-Wilding, appartenuta a Georg Wilding, ufficiale tedesco giunto in Sicilia a seguito di Ferdinando I di Borbone ed alla prima moglie Caterina Branciforti di Butera. È l’unico edificio che è in ottime condizioni.

Oggi, nella piazza Sacro Cuore, ben cinque edifici storici sono al momento inutilizzati.

La Contrada Olivuzza era un luogo bellissimo, limitrofa al castello della Zisa, cuore dell’antico parco denominato Genoard (dall'arabo Jannat al-arḍ, cioè "giardino" o "paradiso della terra").

Oggi è soltanto un luogo di transito, i palazzi citati sono pericolanti e abbandonati a se stessi e "Ci vediamo all’Olivuzza" è soltanto un ricordo lontano.
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