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Il senso dell'altro: se a parlare di razzismo è una studentessa di 17 anni (di Palermo)

In un noto negozio per teenager sono entrate due ragazze di colore e accanto a me una ragazza ha sussurrato "E noi paghiamo i loro jeans!": quando i cuori sono vuoti

  • 25 settembre 2018

Sicuramente uno degli argomenti che più fa discutere, soprattutto in questo periodo storico davvero particolare, è quello legato al razzismo.

Accogliere o non accogliere… Come? Quando? Dove? e Perché? Questi sono i grandi interrogativi che smuovono le coscienze e le idee dell’intera Italia.

Dei “grandi” che si affaccendano in discussioni politiche ricche fino agli eccessi di disumanità o buonismo, siamo tutti stanchi e le nostre orecchie si rifiutano di ascoltare parole vuote.

Nessuno ha mai chiesto, a noi giovani, che forse più di tutti sperimentiamo la vera convivenza, cosa pensiamo, quale sia la nostra opinione su questo fenomeno così attuale.

Cosa per noi è giusto, cosa per noi può cambiare. Così anche se nessuno me l’ha mai chiesto, in maniera pretenziosa, voglio raccontarvi che cosa è per noi condividere il “nostro mondo” con l’altro.

Augurandomi che in un futuro tutti potranno interessarsi a noi giovani, più da vicino. Senza parlare di noi, in assenza di testimonianze dirette del nostro mondo. Superando i luoghi comuni secondo i quali, i giovani non hanno idee perché ancora troppo immaturi. Senza capire che soltanto dal dialogo tra le generazioni possiamo maturare in delle idee o in delle decisioni che comunque da sempre conserviamo nel nostro cuore.
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Credo che non esista luogo più adatto della scuola per iniziare il mio racconto, il racconto che spero possa essere il racconto di "tutti".

Si sa la scuola è la palestra di vita per eccellenza e così oltre a nozioni teoriche ci fornisce un continuo allenamento sui problemi pratici che potremmo incontrare nel nostro futuro da lavoratori…

Ma effettivamente la scuola non ci fornisce "utili dritte" per capire come relazionarci con l’altro… Soprattutto se il nuovo arrivato si trova nella traumatica fase del temibile primo giorno di scuola.

Per me nella parola "Accoglienza" viene racchiusa una dolcezza che riesce ancora ad ardermi dentro, e riesce a descrive in maniera saggia questo atto di piena fratellanza.

Quando a scuola arriva un ragazzo/a nuovo la curiosità prende il possesso di tutti gli altri e subito, con maniere a volte anche abbastanza scortesi, si inizia ad elencare un notevole numero di domande che partono da un’attenta analisi dell’albero genealogico fino ai suoi hobby e passioni più recenti.

Insomma si fa di tutto per conoscere e farsi conoscere. Questo non significa che tutti diventeranno amici, o che qualcuno più che un altro possa essere già definito il più popolare della scuola o il meno.

Socializzare è proprio un bisogno che nasce dal nostro essere un animale sociale che vive del relazionarsi con gli altri.

Questo istinto quasi autonomo viene frenato da un unico fattore, per me al quanto irrilevante… il colore della pelle.

Infatti non nego come il precedente atteggiamento viene a mancare quando ad arrivare è un ragazzo/a di colore. Tutti si chiudono in un silenzio angoscioso, che mi riporta ad una situazione lontana 50 anni fa.

La voglia di comunicare, conoscere ed esplorare viene frenata da un’involuzione che cammina allo stesso passo (ma al contrario, ovviamente) dell’evoluzione tecnologica. Sembra che più riusciamo a perfezionarci nella robotica più il nostro cuore, il nostro spirito si assopisce come in una computerizzata programmazione dove il diverso è un fuori programma.

La cosa che ancora più mi colpisce è che sono proprio i ragazzi come me a non avere speranze nella parità.

Ancora oggi, nelle scuole si sentono quegli appellativi inutili e stupidi che mi fanno capire quanto in noi la speranza è proprio la prima a morire.Altre volte invece ti ritrovi in certe situazioni in cui il tuo "Vorrei ma non posso" ti giustifica dal non fare niente. Morale della favola?

Speranze letteralmente bruciate come in una calda giornata d’agosto.

Tutti ci accaniamo su quelli che secondo le nostre idee se lo meritano, sono diversi e potenzialmente dei criminali . Vorrei che proprio a partire da noi ragazzi si praticasse il perdono, un perdono per questa asfissiante rabbia, per questo cuori vuoti.

In fondo è bello pensare come la parola perdono sia formato dalla parola "don"o proprio a evidenziare che questo bellissimo gesto non è altro che un dono… ma non tanto per chi lo riceve ma soprattutto per chi lo dà.

Giorni fa, mi trovavo, come molte delle ragazze della mia età, a fare gli ultimi acquisti del Back to School in un noto negozio per teenager del centro di Palermo quando, tra tutte le ragazze, ammassate sui nuovi jeans, sono arrivate due ragazze di colore e anche loro con fare soddisfatto e con gli occhi che raccontano storie si sono messe a cercare la loro misura.

Così con una tranquillità angosciante la ragazza accanto a me sussurra all’amica: "E noi paghiamo i suoi jeans!".

Nessuno si è accorto di queste sei parole che messe l’una accanto all’altra, con questo ordine specifico riescono a tracciare nell’animo di chi le ascolta un senso che va oltre il pieno dolore…

È più il rumore di un orgoglio, di una dignità ferita da poche parole. Nessuno le ha sentite tranne quelle ragazze che con viso basso hanno rinunciato alla loro normalità da teenager andando via… Così ho provato a chiedere alla ragazza il motivo dell’insistenza ad essere giudici, senza scrupoli verso chiunque pensiamo diverso da noi, ma la sua risposta è stata un deludente silenzio.

Il tanto famigerato razzismo non è solo legato come molti pensano a questioni di razza ma anche di identità religiose, scelte di vita legate alla sessualità o semplicemente di stile.

In realtà si tratta di avere un’apertura mentale che ci porta a vedere ed accettare visioni plurime. Visioni che noi non abbiamo.

Vedo e mi preoccupo per chi soffre e vorrei in un certo senso caricarmi e sollevare un po’ loro da questi giudizi che a volte ci vengono dati anche dagli adulti che sono convinti nella loro mentalità.

Per questo parlare di razzismo in posti come la scuola è fondamentale, ma non certamente limitandosi al giudizio sul colore della pelle.

Vorrei che tutti riuscissimo a tornare bambini e mantenere il cuore di bambino. Così vero e senza doppi fini.

Stare insieme, senza pensare a nulla che non sia all’animo e alla bontà dell’altro.

E vorrei vedere in ognuno di noi, la stessa semplicità che fa dire ad un bambino dalla pelle bianca ad uno di colore: «Guarda François insieme formiamo i Ringo. Io sono la parte bianca e tu la parte scura. E la crema, François, è il nostro cuore».
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