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"L'Isola che non c'è" esiste ed è in Sicilia: dove scoprire i resti dell'antica Ferdinandea

Emersa a fine giugno, solo il 7 luglio del 1831 riuscì ad accumulare una superficie di scorie sufficienti (circa 8 metri quadrati) da poter essere avvistata dal mare

Aurelio Sanguinetti
Esperto di scienze naturali
  • 13 aprile 2023

Isola Ferdinandea, dipinto di Camillo De Vito

Tra tutti i reperti presenti all’interno del museo di Geologia e Paleontologia Gaetano Giorgio Gemmellaro di Palermo, una teca conserva una delle storie più interessanti ed insolite dell’intero istituto.

All’interno di quella che un tempo era la sala Enzo Burgio e che da qualche tempo è divenuta la nuova sala dei Dinosauri, il museo infatti conserva una delle poche testimonianze storiche dell’antica eruzione del 1831 che nel cuore stesso del Mediterraneo fece emergere in pochi mesi quella che venne ricordata come Isola Ferdinandea.

Tale eruzione divenne un vero e proprio caso politico e militare nell’Europa della post restaurazione che aveva appena riassegnato i confini delle varie nazioni, dopo l’impresa di Napoleone che aveva unito il continente sotto un’unica bandiera.

A noi però interessa maggiormente esplorare l’eruzione dal punto di vista umano e scientifico di Carlo Gemmellaro, che fu praticamente costretto e quasi obbligato a partire verso l’isola dall’amministrazioni borboniche che a quel tempo controllavano la Sicilia.
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Non che partire verso l’ignoto dispiacesse al buon Gemmellaro, che nel corso di pochi anni aveva raggiunto fama internazionale e proprio nel 1831 era divenuto docente di Storia Naturale, Geologia e Mineralogia presso l’Università di Catania.

Fu così che giunto presso la costa di Sciacca – il tratto di Sicilia antistante la grande eruzione, dove già parecchi naturalisti e artisti avevano tentato di seguire e studiare l’eruzione – Gemmellaro si ritrovò ad imbacarsi presso una nave della regia marina borbonica nel tentativo di scendere su Ferdinandea, in uno dei momenti di minore attività eruttiva, campionare qualche roccia, esplorare qualche metro di costa e redigere così un documento ufficiale sulla natura dell’isola emersa.

Questo ovviamente non era un obiettivo facile per l’epoca, considerando l’intensità delle eruzioni, il pericolo dei maremoti, ma soprattutto il pericolo che insorgesse un conflitto bellico fra marina borbonica, francese, inglese e in parte spagnola che aveva dimostrato interesse nel prendere controllo "di quel tratto di terra comparso in mezzo al mare".

Ferdinandea d’altronde non si dimostrò un’isola particolarmente duratura. Emersa infatti a fine giugno, solo il 7 luglio del 1831 riuscì infatti ad accumulare una superficie di scorie sufficienti (circa 8 metri quadrati) da poter essere avvistata dal mare. E nel pieno della sua eruzione, ovvero proprio nei giorni in cui Carlo Gemmellaro gli si avvicinò, l’isola non raggiungeva i 200 metri quadrati ed emergeva dalle acque per circa 63 metri.

Quando Gemmellaro giunse finalmente su Ferdinandea nell’alba dell’11 agosto, dopo aver cambiato imbarcazione ed essere sgusciato via dalle navi delle marine nemiche, si rese subito conto che a causa dei materiali di cui era composta essa era piuttosto fragile ed era condannata probabilmente a svanire per via dell’erosione del mare.

Lo scienziato infatti scrisse nel suo diario che il mare “rodendo la base del nuovo cono, produce ne’ fianchi di esso delle frane che ne scoprono la struttura; ed il caduto materiale unito a quello, che le forti esplosioni rigettano sul mare, vien trasportato dalle onde fin sulla spiaggia di Sicilia, come io stesso ho potuto osservare lungo il litorale, da Sciacca sino a Terranova”.

Quello che però colpì Gemmellaro di Ferdinandea – paradossale per un uomo come lui che proveniva da una città che aveva l’Etna alle spalle - furono le eruzioni. Egli le descrisse con dovizia di particolari all’interno della sua relazione, che avrebbe poi letto presso l’ateneo catanese sul finire di agosto.

Ed è grazie al contenuto di queste pagine se oggi noi conosciamo le spettacolari eruzioni che colpirono l’isola, con le colate laviche della durata di mezz’ora/tre quarti d’ora che ne sconquassavano la superficie, intervallate da due o tre minuti di pausa fra l’una e l’altra, e l’odore di bitume che emanava il mare circostante.

Gemmellaro sapientemente prelevò anche dall’isola dei campioni, che oggi sono conservati presso il museo Gemmellaro di Palermo fondato dal figlio.

Esso infatti pensava che da lì a poco Ferdinandea sarebbe scomparsa e questi campioni infatti poi si rivelarono molto utili, di seguito alla scomparsa dell’isola, datata alla fine di ottobre del 1831. In un periodo in cui non esistevano ancora i batiscafi e le moderne tecniche di indagine, per studiare la chimica dell’eruzione e descrivere la natura geologica del tratto di fondale coperto dal mare del Canale di Sicilia i geologi infatti furono costretti a studiare le rocce prelevate da Gemmellaro, le uniche testimonianze rimaste dell’evento geologico.

Gemmellaro fu così legato da quel momento agli studi di vulcanologia che quando stette per spegnersi, dopo una carriera fulminante, nell’ottobre del 1866, decise di comporre un un’ultima opera - “Addio al maggior vulcano d’Europa” – in cui salutava il suo principale argomento di studi e il mondo dei vulcani in generale, che lo aveva visto protagonista per oltre trent’anni.

Oggi Ferdinandea è un’isola sommersa e nel luglio del 2012 l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) ha compiuto una campagna di monitoraggio che ha permesso di riconoscere nell’area la presenza di 9 crateri vulcanici, a cui dovrebbero corrispondere altrettante eruzioni.

La storia di questa isola si dimostra affascinante anche perché la relativa “resistenza” dell’isola nei confronti delle correnti avrebbe potuto segnare completamente la storia d’Italia.

Immaginate infatti se si fosse realizzato il sogno di Ferdinando II di Borbone di possedere una nuova isola nel cuore del Mediterraneo, posta proprio al centro del Canale di Sicilia ed in grado di intercettare tutte le navi provenienti da Oriente e Occidente.

Immaginate cosa avrebbe potuto significare la presenza di questa isola vulcanica per l’Italia e l’Europa intera durante la II guerra mondiale o ancor più durante questi nostri tragici tempi, assumendo il ruolo di potenziale ulteriore sbarco per i migranti.

La storia di Ferdinandea comunque rimane affascinante anche perché si è trattata di una manifestazione estemporanea della natura, che per brevissimo tempo ha ammaliato il cuore di francesi, inglesi e siciliani, tanto da divenire un vero e proprio oggetto di culto per alcuni decenni da parte degli studiosi europei.

Discutendo infatti sull’origine vulcanica dell’isola, gli scienziati europei si accorsero che le teorie fino ad allora impiegate per spiegare la struttura della Terra (ovvero le teorie del plutonismo e del nettunismo, correlati alla contrapposizione solidismo e fluidismo delle rocce) non erano sufficientemente evolute da permettere d spiegare il fenomeno.

Furono infatti i progressi scientifici dei geologi degli anni successivi, in cui rientra a pieno merito Carlo Gemmellaro, a permettere alla ricerca di comprendere la natura del sottosuolo e dei fenomeni vulcanici.
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