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La natura "esplode" già ai suoi piedi: in gita sul gigante Etna, tra ginestre e rose canine

Uno sfavillio di colori diversi ma con il giallo a illuminare di una luce dorata interi pendii. Vi portiamo a fare un magnifico percorso a piedi, lungo oltre 15 chilometri

  • 29 maggio 2023

L'Etna e le ginestre

Una visita al gigante Etna con la natura in pieno rigoglio primaverile. Paesaggio fiorito per ampie distese con le ginestre assiepate ad ombrello e le bianche rose canine così grandi da assumere una connotazione arborea.

Uno sfavillio di colori diversi ma con il giallo a illuminare di una luce dorata interi pendii. In una giornata di maggio il Gruppo “Camminare i Peloritani” alle ore 7,45 si è ritrovato all'uscita dell'imbocco autostradale di Fiumefreddo per poi proseguire verso le pendici dell'Etna.

Dopo avere attraversato le strade del vivace centro abitato in cui abbiamo notato delle botteghe artigianali che lavoravano il ferro e persino delle altre che trattavano la ferula producendo i furrizza: leggeri sgabelli, abbiamo proseguito per l'aperta campagna dove abbiamo iniziato ad ammirare un paesaggio straordinariamente ridente e sfavillante dei colori di tantissime ginestre disposte ad ombrello ed assiepate fra di loro.

Dopo una ventina di chilometri abbiamo imboccato la stradina Caldarera, parcheggiate le macchine all'ingresso del Parco Naturale dell'Etna e proseguito a piedi.
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Lo sguardo ha potuto così spaziare con più libertà e godere del variopinto spettacolo del vasto declivio colorato di giallo per le tante fittissime ginestre a volte assiepate fra di loro, altre sfolgoranti in mezzo al verde tenue dei faggi e degli olivastri, ed altre ancora a costituire una vivace policromia alternandosi con tante piante di bianca rosa canina così alte da assumere una connotazione arborea.

In alcuni tratti questo sfavillio di colori si manifestava ai lati di ampie distese di nera pietra lavica per cui si poteva notare lo straordinario spettacolo di una natura dalle tinte decisamente forti.

Come se il giallo delle ginestre non fosse di per sé sufficiente per conferire vivacità al paesaggio, c'erano anche tantissime euforbie di un'altra vivace tonalità dello stesso colore ed era pure presente un'altra varietà con le vestigie di pianta grassa con gli steli ispessiti su cui a corona si aprivano magnifiche efflorescenze rosate.

Camminando calpestavamo tappeti di timo profumato mentre il sole incominciava a picchiare sulla testa, erano circa le undici.

Ad un certo punto per un costone più accidentato e più spoglio abbiamo iniziato un percorso in discesa per andare a vedere l'ingresso della grotta Burò, si è trattato di un cammino alquanto disagevole per i balzi terrosi che ci ostacolavano e i ciuffi di dura erba che ci impacciavano le gambe.

Scendendo potevamo spaziare lo sguardo per la vallata sottostante molto ampia e in leggera pendenza nel cui mezzo comodamente adagiato sorge il centro abitato di Randazzo, i cui abitanti com'è noto sono todos caballeros per gentile concessione dell'imperatore Carlo V.

Finalmente dopo ardite manovre di arrampicamenti e scavalcamenti di una malagevole passerella siamo giunti all'ingresso della grotta : un antro buio, ombroso e spaventevole sprofondato dentro una conca dalla vegetazione fittissima e scura. Mi sono attardato un po' all'ingresso dell'oscura caverna, sono sopraggiunti degli altri visitatori ed a scanso di equivoci ho chiarito che pure io mi trovavo lì per visita e non ero un abitante del luogo.

Non sono apparsi molto convinti. Dopo siamo risaliti da dove eravamo discesi, altra scarpinata sotto il sole cocente e per aspri balzi. Poi invece ci siamo riposati un po' sotto un'ombrosa faggeta e abbiamo consumato un frugale pasto (si scrive sempre così, mica posso dire che mio compare Giovanni s’è portato la parmigiana di melenzane).

Dopo abbiamo proseguito con dei percorsi molto più agevoli e per ampi sentieri ombreggiati e dal fondo morbido per l'erbetta e per la sabbia fine. Ci siamo così avviati verso monte Spagnolo e monte Peluso ammantati di un fitto bosco di faggi e di castagni e ravvivati da ginestre, euforbie e rose bianche canine. Sul monte Spagnolo abbiamo apprezzato la vastità del paesaggio e degli orizzonti.

Tutto ci sembrava ampio e vasto, perfino la volta celeste appariva più ampia rispetto alla comune percezione. Poi per un largo tratto ci siamo imbattuti nel nero deserto di una valle formata dalle colate laviche pietrificate (20 milioni di metri cubi) con dei crepacci, precipizi ed inghiottitoi.

In alcune zone la nuda pietraia era ricoperta da grigio argentei tappeti di licheni, unica forma di vita presente. Ai margini del duro nero deserto di lava pietrificata si ergevano dei teneri alberelli di faggio dalla chiara verde chioma che ingentilivano il paesaggio.

Intrapreso un percorso tutto in discesa per agevoli, ombreggiati e ben tenuti sentieri in terra battuta, ci siamo ancora beata la vista ammirando il variopinto e vivace paesaggio che poteva fare venire in mente ma con tonalità più brillanti alcuni dipinti dei pittori impressionisti: Renoir, Monet, Manet.

Invece dei tulipani di Van Gogh c'erano però le efflorescenze di valeriana rossa. Ogni tanto lo sguardo riposava imbattendosi in alcune tranquille distese di verdi felci, ma poteva sempre spaziare per ampi orizzonti dove il cielo era sempre più blu come in una canzone dell'indimenticabile Rino Gaetano.

Al termine abbiamo percorso oltre 15 chilometri per complessive ore cinque di marcia, una distanza più che sufficiente per sgranchirsi le gambe. A camminare di meno ci potrebbero essere delle controindicazioni.
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