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La Regina del Capo è "a Maronna a Miccè": il rito a Palermo è quasi un (piccolo) miracolo

È un'esperienza da fare almeno una volta nella vita, credenti o meno. La densità di fedeli è impressionante, paragonabile al Festino di Santa Rosalia

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 25 settembre 2023

La Madonna della Mercede al Capo

Mio nonno aveva un bancarella di frutta e verdura a piazza Sant'Anna al Capo, diceva che una volta là c'era una chiesa dedicata a Sant'Anna.

Io pensavo si sbagliasse perché sapevo che la chiesa di sant'Anna si trovasse a piazza sant'Anna vicino il mercato di Lattarini. Avevo torto.

Vai a contraddire gli anziani, è una battaglia persa in partenza. Spesso si confonde la chiesa di Sant'Anna al Capo con la chiesa della Madonna della Mercede, ovvero a Maronna a Miccè.

Nei pressi della piazza di sant'Anna al Capo c'era una chiesa di origine normanna dedicata alla santa ma oggi non più esistente appartenente alla confraternita dei “frinzari” (lavoratori di frange).

Pare che i padri Mercedari, in dialetto Mercennari, si fossero insediati in questa chiesa prima di costruire la loro in piazza Capo in seguito ad una controversia con i confrati della chiesa di Sant'Anna.

L'ordine dei padri Mercedari nasce intorno al XIII secolo a Barcellona e fu fondato da Pietro Nolasco con lo scopo di liberare i prigionieri cristiani nelle mani degli infedeli saraceni.
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A Palermo l'ordine arriverà nella seconda metà del XV secolo: «Il p. maestro f. Gomezio di Bosega, spagnuolo, della provincia di Cantabria, regio cappellano, uomo insigne, ottenne privilegio dal re Giovanni di poter fondare in qualsivoglia luogo di Sicilia un convento del suo ordine, come per detto privilegio dato in Vagliadolid a primo luglio 1463...».

I padri mercedari erano disposti a dare in cambio la propria vita per salvare i prigionieri.

La loro devozione era a Santa Maria della Mercede, termine quest'ultimo derivante dal latino “merces” che significa “ricompensa” anche in senso spirituale come “grazia”, ovvero "Misericordia".

Solitamente la Madonna della Mercede è rappresentata con un abito bianco e dorato, una corona sfarzosa sul capo, imbraccia il bambinello e regge con la mano il simbolo mariano rappresentato dalla stilizzazione di una "A" e una "M": Auspice Maria.

Ricorda Rosario La Duca che la compagnia di Santa Maria della Mercede, o Mercè, venne costituita il 18 novembre 1590 e che venne rinnovata e assunse il nome di Confraternita della Mercede al Capo nel 1814 sotto il titolo della "Bara": «fu così denominata perché aveva il compito di trasportare il simulacro in legno della Madonna della Mercede, fatto costruire dal R.P.F. Luigi Mannino».

Questa statua, ancora esistente, è quella che viene trasportata attualmente durante la processione che ogni anno si svolge l'ultima domenica di settembre e fu scolpita da Girolamo Bagnasco nel 1813. Avete mai visto di presenza l'uscita del simulacro della Madonna della Miccè al Capo?

È un'esperienza da fare almeno una volta nella vita, credenti o meno. La densità di fedeli è impressionante, paragonabile al Festino di Santa Rosalia, ma solo in virtù degli spazi enormemente ristretti.

La calca tuttavia è la stessa. Si tratta di un rito molto scenografico, "teatrale". La piazza è molto piccola ma per l'occasione contiene centinaia di persone che attendono l'uscita della "vara", e a stento i confrati riescono a tenerle a bada nel vano tentativo di far rispettare le distanze di sicurezza.

Al suono di tamburi, trombe e pifferi si prepara ad uscire la "regina". Poi un rigoroso silenzio d'attesa.

Perché tutto si compia nel migliore dei modi è necessario un meticoloso gioco di squadra. Decine di ragazzi della confraternita "ben messi", sollevano la vara guidati da un “mastro timoniere” che indica loro il momento di muoversi scampanellando.

I fedeli fremono, sperano che tutto vada a buon fine. Il primo passo è portare la vara al centro della piazza. Ed ecco il segnale: sollevato da due lunghe travi di legno, il simulacro salpa, i ragazzi lo portano fuori con uno sforzo sovrumano e lo adagiano al centro della piazza.

Gli applausi sono scroscianti, sui volti sgorgano lacrime, i confrati si abbracciano, nel cielo volano stelle filanti colorate e vengono liberate delle colombe bianche.

Ma non è ancora finita. La piazza è sopraelevata rispetto al piano della strada, necessita un'altra prova di forza e di fede. La squadra si ricompatta e i confrati che attendono, pregano insieme. C'è tensione, si avverte nell'aria, nei volti della gente, negli sguardi turgidi e colmi di speranza.

Ripiomba il silenzio. Parte lo scampanellio, La vara va messa in posizione per scendere le scale. Attimi di attesa. La vara come una nave vira. La manovra è riuscita. Applausi! Si osanna la Madonna con antiche iaculatorie: "A regina ru Capu è, viva a Maronna a Miccè".

Riparte la vara al suono della campanella, è necessario l'ultimo sforzo ma il più importante. I ragazzi sono in posizione; partono. Movimenti lentissimi e muscoli allo spasimo. Attenzione! Attenzione! La folla si sposta di colpo e fa largo alla vara nella strada.

I primi a prua sono scesi e conducono il simulacro in avanti. Quelli a poppa approdano poco dopo, ed è festa grande. Applausi, pianti, abbracci, scoppi, stelle filanti; dai balconi svolazzano lenzuola bianche e fanno festa i fedeli felici della riuscita dell'evento "miracoloso".

È andato tutto a buon fine, non resta che seguire la vara per le strade del quartiere mentre pian piano la folla si va diradando.

Quest'anno, presente anch'io, colmo di gioia interiore alla fine dell'evento mi dileguavo sgusciando tra la gente rimasta ferma a ridere e chiacchierare, e mentre andavo via camminando, dal cuore mandavo un saluto a mio nonno ovunque fosse.
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