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La statua della discordia: quando Catania si oppose (inutilmente) a un certo Garibaldi

Siamo nel vecchio quartiere Rinazzo, dove sorge la statua dedicata al condottiero. La storia però è molto più intricata di quanto si possa credere e pensare

Livio Grasso
Archeologo
  • 19 novembre 2021

Statua di Garibaldi

Nel vecchio quartiere Rinazzo di Catania, ubicato tra la via Etnea e la via Caronda, si erge la poderosa statua dedicata al condottiero Giuseppe Garibaldi.

Sul basamento marmoreo salta subito all’occhio un’ iscrizione che, secondo la tradizione storica, rimanda alle parole proferite dall’eroe dei due mondi non appena fece approdo a Catania nel lontano 1862.

"Trovammo Vulcano di patriottismo,uomini, denaro, vettovaglie per la nuda mia gente".

Le fonti riferiscono che, prima del collocamento dell’attuale statua, in questa zona sorgeva un antico chiosco adibito alla vendita di giornali. Si trattava di un’area assiduamente frequentata da gente che amava trascorrere un paio d’ore in piacevoli letture o scambiare quattro chiacchiere tra amici.

Malgrado ciò, nel 1911 il Comune di Catania espresse volontà di rimuovere il chiosco e porre la neo statua di Garibaldi. La questione, tuttavia, è molto più intricata di quanto si possa credere e pensare. Tutto ebbe inizio oltremare.
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Le testimonianze in nostro possesso tramandano che l’Uruguay, dopo aver combattuto per un lungo decennio in nome dell’indipendenza, decise di onorare le "doti eroiche" del patriota italiano erigendo in sua memoria un sontuoso monumento.

L’ambizioso progetto fu affidato a Ettore Ferrari, scultore romano ricordato per il suo talento artistico.

A quest’ultimo, dunque, gli venne commissionata la creazione di una statua intitolata a Garibaldi. Incredibile a dirsi, ma il complesso monumentale che ne derivò dalle sue mani deluse le aspettative degli uruguayani; ben presto, difatti, il governo del Paese sudamericano rispedì con grande rammarico l’opera scultorea in Italia.

Sappiamo, inoltre , che nel 1911 la fonderia Bastianelli di Roma custodì la statua per lungo tempo; per di più, prese anche la decisione di diramare una circolare a tutti Comuni d’Italia: "Statua di Garibaldi offresi".

Fu così che Giuseppe Pizzarelli, sindaco di Catania degli inizi del 900, operò la coraggiosa scelta di acquistare la statua del fraterno e ormai defunto amico Ferrari; determinante, a tal proposito, fu anche il supporto del comitato organizzatore dell'Esposizione Agricola Siciliana, presieduto dall’onorevole Pasquale Libertini.

Il denaro sborsato per l’acquisto rimane tuttora un’incognita; ad ogni modo, sono in molti a credere che venne pagato a basso prezzo perché in "svendita".

La scelta, in ogni caso, suscitò un profondo malcontento nella popolazione, reticente al proposito di trasferire altrove l’antico chiosco.

Di lì a poco, inoltre, un gran numero di catanesi non esitò a manifestare il proprio dissenso anche per ragioni di carattere storico; in particolare appellandosi alla vasta congerie di disastri, tensioni sociali e politiche che hanno rovinosamente imperversato al periodo dell’Unità d’Italia.

La maggior parte dei cittadini, quindi, rigettava l’idea di immortalare le gesta del condottiero attraverso “futili idolatrie”.

Nel bel mezzo di questo tumulto, il Comune, per ovviare al “problematico acquisto”, caldeggiò l’ipotesi di collocare la statua nell’odierna piazza dell’Università; ma le rimostranze dei cittadini non tardarono a manifestarsi anche in quest’altra occasione.

Dunque, nonostante l’aspra diatriba con i catanesi, il Comune decretò autorevolmente di porla nella location stabilita in precedenza, ovvero in via Etnea al bivio con via Caronda.

Ciò comportò la rimozione tempestiva dell’edicola, che così venne spostata in altro luogo. A seguito di tale provvedimento, fu dato incarico di realizzare un basamento di pietra lavica su cui posizionare la grande scultura. Essa venne pure "impacchettata" in attesa dell’inaugurazione.

Cionondimeno, passarono diverse settimane e dell’evento inaugurale non si ebbe più notizia.

Si dice, però, che un giorno il capoluogo etneo fu colpito da un temporale talmente violento da spazzare via i teli con cui era stato avvolto il complesso scultoreo.

Pertanto non si tenne alcuna cerimonia e la faccenda si concluse nell’odio, nella protesta e nel più acuto scompiglio tra il popolo catanese e il sindaco.
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