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Il ricordo della madre, l'amore per l'Isola: le parole (giuste) del "siciliano" Michele Serra

Dal 29 giugno è cittadino onorario di un borgo del Palermitano. Così si fissa un legame che dura da tempo con la Sicilia, che ci racconta senza retorica. L'intervista

Federica Dolce
Avvocato e scrittrice
  • 30 giugno 2025

Michele Serra

C’è un momento, nella vita, in cui la geografia dell’anima prende il sopravvento su quella delle mappe. Accade quando un luogo ti accoglie non solo con la bellezza dei suoi paesaggi, ma con la densità delle sue storie, il calore dei suoi volti e l’eco lontana di voci familiari.

È quello che è successo a Michele Serra, giornalista, scrittore, uomo di pensiero e d’ironia, quando ha ricevuto il 29 giugno 2025 a Polizzi Generosa la cittadinanza onoraria.

Un evento simbolico, sì, ma profondamente autentico. Perché in quella cerimonia non c’era solo il riconoscimento a una personalità della cultura italiana, ma un ritorno affettivo, quasi carnale, alle proprie origini.

«Non sono un cultore delle radici», ha ammesso Serra con la consueta lucidità disarmante, «perché se lo fossi dovrei passare la vita a inseguirle. Ma una delle radici, effettivamente, è qui. È la famiglia materna, gli Errante».

E mentre pronuncia questo nome, si apre uno scrigno di ricordi, volti, storie che risalgono ai bisnonni, che generazione dopo generazione si sono tramandati nomi e memorie come si tramanda un testimone in una staffetta silenziosa.

Nel suo discorso Serra ha ricordato la madre, scomparsa, come una libreria mentale andata perduta, una di quelle fonti preziose da cui attingere parole e racconti.

«Quante volte avrei dovuto prendere appunti, o registrare… Quando se ne va una persona cara, se ne va anche la memoria. Ecco perché questo riconoscimento è per me anche un omaggio a lei. È il recupero di qualcosa che altrimenti sarebbe disperso».

Michele Serra ha sempre avuto un rapporto viscerale e raffinato con le parole. Ha saputo piegarle al pensiero e al sentimento, all’ironia e all’indignazione, al dubbio e alla chiarezza.

E in un tempo che corre veloce, in cui tutto sembra gridato, lui rivendica il diritto alla lentezza, all’ascolto, alla riflessione: «Ciò che non sopporto della politica è il tono. Il tono assertivo.

Vorrei sentire un politico che dice: "Aspetti, ci devo pensare un attimo". Sarebbe la rivoluzione». Non è solo una questione di stile, ma di sostanza: uno sguardo non urlato è uno sguardo che capisce. Uno sguardo che non giudica, ma cerca. Lontano dai social per scelta, una scelta istintiva di cui però oggi è felicissimo, Serra difende il suo guscio di silenzio come un baluardo di lucidità in un’epoca di rumore permanente. «Cercare di conservare uno spazio psicologico autonomo, secondo me è importantissimo e mi sento di dire che oggi lo fanno in troppo pochi».

E da lì continua a osservare e raccontare il mondo, fedele a una sola raccomandazione a chi vuole scrivere: rileggere. «Una cosa che dico sempre ai ragazzi è proprio rileggere, anche i messaggi di Whatsapp. È tutta una questione di tempi da prendersi. Se tutto è irriflessivo, immediato, veloce e vorticoso si perde molto, si perde proprio il significato.

Io dopo cinquantanni che scrivo, cinquanta tondi, e ci sono volte che rileggo un testo dell’Amaca dieci volte prima di spedirlo, e quasi sempre trovo un dettaglio che non mi convince, un aggettivo di troppo, trovo sempre qualcosa da sistemare.

Rileggere è bellissimo e fondamentale. L’unico vero consiglio che mi sento di dare a chi vuole scrivere è questo: rileggi. Esita un attimo prima di sparare quello che si deve dire».

E poi c’è la Sicilia. Questa terra che ama raccontare nei suoi articoli con tenerezza e disincanto, senza mai cadere nella retorica. «La Sicilia, per dirla come se fossimo al bar, fa innamorare e fa incazzare. E spesso contemporaneamente. Ti meraviglia», dice.

«Ogni volta che veniamo, diciamo: qui bisognerebbe restare tre mesi, e non basterebbero. È un continente. È piena di tesori, paesaggistici, umani, artistici».

Racconta la meraviglia davanti a Radice Pura, l’Orto Botanico della famiglia Faro a Giarre, tra i più grandi vivaisti del mondo, una delle eccellenze italiane nel mondo: «Un capolavoro assoluto.

Eppure intorno, spesso, si rischia di vederle circondate da slabbrature, negligenze. Come un tessuto che andrebbe continuamente ricucito e rammendato. Ma questo non devo dirlo io, lo dovete dire voi siciliani».

È la Sicilia dei contrasti, delle eccellenze e delle fragilità, della bellezza che resiste e della trascuratezza che logora. Ma è anche la Sicilia di cui Michele Serra si sente parte, seppur da lontano, con quella forma di appartenenza non gridata, ma custodita, che è forse la più sincera.

Essere siciliani, per lui, è un onore che non ha bisogno di affermazioni roboanti. Si nutre di ricordi, di storie familiari che salgono dai monti verso Palermo, di antenati che diventano parte della memoria collettiva.

E di quel desiderio, mai del tutto sazio, di tornare a camminare tra le pietre antiche con passo nuovo. Facendo riferimento alla recente manifestazione da lui promossa, a favore dell’Europa, sottolineando l’importanza di un’unità democratica contro le derive autoritarie, in un’epoca in cui il pessimismo sembra prevalere, abbiamo chiesto come possiamo coltivare una visione del futuro che sia al contempo lucida e fiduciosa?

Michele Serra, con un leggero sorriso ha risposto: «E chi lo sa?... Dobbiamo provare. L’unica cosa certa è che dobbiamo provarci! Non possiamo far altro, a Roma c’erano cinquantamila persone, è stato emozionante scoprire di essere in grado quasi involontariamente di fare una cosa del genere».

Nel futuro che immagina per la Sicilia, Serra non evoca utopie, ma gesti concreti: «Ognuno deve fare bene il proprio lavoro. Tutto parte da lì. Ci sono magistrati che l’hanno detto e l’hanno fatto, pagando con la vita.

Fare bene il proprio lavoro è già rivoluzionario. È una responsabilità individuale, importantissima che poi può diventare responsabilità collettiva e dunque politica. Ma quelli sono i miracoli quando accadono!».

In un’epoca in cui il pessimismo sembra aver preso casa stabile nei pensieri di molti, Michele Serra porta con sé una fiducia discreta ma resistente, una forma di speranza colta, mai ingenua, che nasce da uno sguardo lungo, paziente. Quello che sa vedere la complessità senza semplificazioni.

Ecco perché, in questa cittadinanza onoraria, c’è molto di più di un atto formale. C’è il sigillo di un legame che non si esaurisce con una cerimonia. C’è la voce di un uomo che ha sempre scelto la parola giusta al momento giusto e che oggi sceglie di usare quella parola per iniziare un racconto nuovo, che affonda nella storia ma guarda al futuro.

Polizzi Generosa non è solo il luogo di un’origine riscoperta: è il punto di partenza di una memoria che continua a parlare.
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