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Lavora con "non attori" in una terra difficile: Giacomo, che da 20 anni fa teatro in Sicilia

A Castelvetrano, affaticata dall’ombra della mafia, il regista teatrale realizza una residenza artistica aperta a persone che nella vita fanno lavori diversi

Jana Cardinale
Giornalista
  • 8 luglio 2023

Giacomo Bonagiuso

Il suo è un impegno artistico che diventa immediatamente civile, che va avanti da vent’anni in una terra difficile, dove oggi, per determinata convinzione, lavora con i "non attori".

Nella sua scuola di teatro, a Castelvetrano, spicca un ‘proclama’: "Non farò di te una star", che è una sorta di contraddizione nei confronti dello star system, e si fonda su un’idea di teatro che ha suscitato anche la curiosità dell’Università di Catania, che ha deciso di dedicare un convegno all’argomento.

Giacomo Bonagiuso, laureato in filosofia con lode, con una tesi dal titolo “Il silenzio e la parola”, regista teatrale, per sette anni direttore del Teatro Selinus - dove diede vita alla scuola in cui insegnarono registi e attori tra cui Claudio Collovà, Fabrizio Ferracane, Sandro Maria Campagna e Paolo Triestino - ha una forte nostalgia di quella città viva che fu allora proprio Castelvetrano, dove il teatro era sempre pieno e dove riusciva a mischiare bene la Sandrelli con Serena Sinigaglia di A.t.i.r Milano, Finardi con Morgan, Ovadia e Fortis, Gino Paoli e Jannacci.
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«Lavoro con i non professionisti – dice – perché l’amatorialità pura è superiore al teatro professionistico. L’amatore non è dilettante, sia chiaro, è chi mette amore, come negazione della morte. E il Teatro di ricerca ha nella provincia il suo serbatoio. Sono orgoglioso della nostre idee, e tante sono state spese anche nei teatri nazionali.

Lavoro con i farmacisti, gli avvocati, gli ingegneri: sono i miei attori adulti che non sognano una vita diversa e di lasciare le loro professioni, ma si massacrano in sala prove, e questo riporta il tema dell’educazione sentimentale alle arti, nelle viscere della provincia dove, anche per i più giovani, questa formazione non è utile solo per fare l’attore, ma per diventare persone, in un luogo che ha perso la capacità di suono e parole».

A Castelvetrano, città pesantemente affaticata dall’onta della mafia, Giacomo Bonagiuso ha ristrutturato un baglio e non ci ha fatto un b&b con piscina, ma una sala prove e una residenza artistica per chiunque voglia andarci e provare per i propri spettacoli.

«Quando esporto poi le mie opere al teatro Andromeda, a Vittoria arte, a Marsala, allo Spasimo di Palermo, dove vado con i non attori che parlano facendo diventare parlabile il loro territorio, sono orgoglioso, e anche in questo contesto matura e cresce il mio impegno alla lotta alla mafia, come si è verificato con il pellegrinaggio civile Quarto Savona 15».

Il riferimento è alla manifestazione che ha visto Castelvetrano scendere in campo per onorare il ricordo di chi ha sacrificato la vita per combattere la criminalità organizzata, nel momento in cui la città è stata liberata dal dominio mafioso di Matteo Messina Denaro dopo la latitanza trentennale: l'iniziativa "Memoria Nostra", di cui è stato co-organizzatore Bonagiuso, che ha coinvolto le istituzioni provinciali e regionali.

La sua scuola di teatro si chiama Kepos Performing Theater, e si trova tra gli ulivi. Ha restaurato quel baglio e ne ha fatto un teatro e ne ha costruito un altro da 99 posti, in palate, delle pietre arenarie… In programma adesso ha “Médéa, Arcana opera in canto”, una riscrittura in lingua madre siciliana arcaica, con musiche del Maestro Riccardo Sciacca, e interprete principale Roberta Scacciaferro.

Un omaggio alla lingua madre, al canto che era, alla forma stessa con cui la tragedia era portata in scena, e alla Sicilia, perché Bonagiuso punta l’attenzione sul Risorgimento incompiuto e sulla questione meridionale. «Giasone è piemontese e Medea siciliana – dice -. In Euripide, Giasone è greco e Medea è Turca.

Il risorgimento in Sicilia fu sostituzione dei padroni».

Medea andrà in scena a Mazara in anteprima assoluta il 23 luglio al Collegio dei Gesuiti, poi andrà a chiudere il Salìber Feest a Salemi all'alba del 30 luglio al Teatro del Carmine, e al Teatro Andromeda di Santo Stefano di Quisquina di Lorenzo Reina il 10 agosto, al tramonto sui monti sicani. Infine arriverà all'Acropoli di Selinunte, il 13 agosto, nella notte che guarda ai templi greci.

Tra gli altri impegni ha in programma il PlayConsagra a Gibellina, nella Piazza centrale, il 16 agosto, con il videomapping di Benito Frazzetta e Vito Adamo, gli attori del Kepos Performing Theater e della Compagnia degli Esuli (un gruppo di giovani allievi ed ex allievi della scuola che, pur dispersi ovunque in Italia per motivi di lavoro, ha saputo costituire una compagnia virtuale che lavora on line su piattaforma).

Infine "Fango" che è già stato a Selinunte, a Triscina il 26 agosto. Perché riscrivere una Medea oggi? «Perché è una tragedia esemplare – specifica - . Euripide scrive e mette in scena una trama che non ha soluzione, uno scontro che conduce all’epilogo estremo. Irrisolto e irrisolvibile sono i poli del tragico: questo è noto. Nella tragedia spesso non ci si muove in una dialettica tra virtuosi e malvagi ma, a tratti, lo spettatore è condotto a stare con ogni fazione, con ogni ragione, con ogni irragione, pur nel distacco dall’esodo, spesso atroce.

Medea che, straniera, cerca vendetta e giustizia, mischiando il sapore dell’una nel colore dell’altra, e (s)cambiando la carne dei figli per carne dell’empio Giasone, al punto di negarne anche il corpo per le esequie, descrive in modo magistrale ciò che il teatro greco ha consegnato alla contemporaneità.

Ecco perché il contemporaneo ha necessità della "carne" del tragico greco, per derivare in essa nuove arterie e nuove ricerche. Dall’assunto che la tragedia mette in scena l’irrisolvibile, siamo stati tentati a tradurre questa insidia sullo sfondo della questione meridionale.

Che chi fa ricerca teatrale nelle viscere della provincia siciliana sente come tema estremo e dominante della propria identità di teatrante».

Una riscrittura, dunque, e una ricerca teatrale condotta con amore da una compagnia giovane, e da un regista che ha fatto della provincia il luogo di elezione del proprio fare.
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