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Chiamatemi Isravele: l'ultimo eremita di Palermo si racconta tra arte e spiritualità

​​​​​​​Dice che è stato Dio, apparsogli in sogno, a suggerirgli di edificare un luogo per salvare le anime a Palermo. L'uomo dal 1997 è il guardiano del semaforo di Monte Gallo

  • 18 settembre 2017

L'interno del Semaforo di Monte Gallo - Foto Fabio Corselli

In piedi su un muretto a secco, con una recinzione di fortuna che ci separa dal vuoto, guardiamo una barca solcare il mare. A pochi metri da noi la montagna precipita per circa seicento metri nel blu di Capo Gallo.

Da qui il Tirreno occupa tutto il campo visivo e l’orizzonte è interrotto soltanto dal profilo piatto dell’isola di Ustica. «Poco tempo fa sono saliti fin qui due pescatori - mi dice Isravele - erano stupiti dalla vastità del mare, loro che sono abituati a vederlo da tutt’altra prospettiva».

Sulla sessantina, corporatura soda, due occhi taglienti e una barba bianca che gli incornicia il viso, Isravele è dal 1997 il guardiano in pectore del semaforo di Monte Gallo: un vecchio edificio borbonico in rovina che quest’uomo ha lentamente recuperato.

Nino (il suo vero nome) non ha completamente abbandonato la società, si divide infatti tra la cima del monte e la zona di Corso dei Mille, dove risiede la sua famiglia. «Vengo dall’altro lato della città a piedi, portando i materiali che servono per completare le mie opere - confida - spesso salgo in montagna con 25 kg di cemento sulle spalle».
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Camminiamo osservando le opere di canalizzazione e raccolta delle acque che ha realizzato per conservare l’acqua piovana, le aiuole dove cerca di coltivare qualche ortaggio, i lunghi muretti a secco con cui ha disegnato sinuosi sentieri nella pineta. Proseguiamo verso l’edificio. La porta d’ingresso, coloratissima, è incastonata in una densa rete di mosaici realizzati con tegole spezzate, vetro e ceramica che disegnano angeli, stelle e motivi floreali.

Ci sediamo nella sua "officina", un piccolo ambiente esterno all’edificio principale dove custodisce tutti i suoi materiali: «Vuoi un po’ di caffè?». Accetto volentieri, così rovescia il tappo in metallo di un barattolo per le conserve, versa dentro un po’ di alcool, gli da fuoco con un accendino e vi mette sopra la caffettiera con un sostegno: «La vita qui non è facile, bisogna sempre adattarsi».

Beviamo in silenzio il suo caffè, circondati da piccole pecorelle di creta e decorazioni geometriche a mosaico, poi una piccola rivelazione: «Questo posto presto diventerà un luogo di preghiera aperto a tutti».

Isravele inizia così a raccontare l’affascinante storia che lo ha condotto sulla cima del monte che sovrasta Mondello: «Un giorno Dio mi apparve in sogno, indicandomi un luogo preciso dove creare un Santuario per salvare le anime. Questo luogo è qui».

Parliamo per ore e poi mi invita ad entrare nell’edificio principale per visitare il cosiddetto "Tempio", la torre del complesso borbonico. Spalancata la porta d’ingresso, rimango stupefatto dalla quantità di mosaici realizzati; non c’è un solo centimetro quadro di muratura lasciato esposto. Muri, tetti, finestre, tutto è ricoperto da mosaici realizzati con conchiglie, pezzi di terracotta, ceramiche e vetri che disegnano motivi floreali, cuori, simboli religiosi, giganteschi mandala.

La dimensione di quest’opera, che può a tutti gli effetti considerarsi "outsider art", è la dimostrazione materiale dell’immenso universo spirituale di Isravele. «Tutti i muri erano ricoperti da graffiti - dice passando il palmo della mano sui suoi preziosi mosaici - Ho iniziato a ricoprirli con queste tesserine seguendo l’ispirazione che mano a mano ricevevo».

Il sito è ovviamente diventato meta di pellegrinaggio da parte di turisti e curiosi, una pressione sempre crescente che Isravele sembra in parte non gradire più. «Le persone vengono qui soltanto per scattare fotografie, senza curarsi del significato del mio lavoro e dell’ascesa a questo luogo». Il sentiero di accesso, che parte dalle falde di Monte Gallo ed arriva in cima, è stato da lui ribattezzato "la Via Santa": un percorso di circa 2 km impreziosito con piccoli mosaici, pecorelle, e altri simboli religiosi, che porta il visitatore ad "elevarsi" ("elevarsi" è anche il nome scelto da Nino, letto al contrario) non solo di quota ma anche spiritualmente.

«Salire fin quassù significa compiere un cammino di elevazione spirituale - dice prima di salutarmi. Gli chiedo che ne sarà di questo luogo quando lui non ci sarà più, risponde sorridendo - Sarà vostro». Credenti o no, se volete ammirare le opere straordinarie di questo piccolo grande uomo, avvicinandovi con rispetto e delicatezza al suo affascinante microcosmo, non vi resta che raggiungere a piedi la sommità di Monte Gallo.

Se volete inoltre contribuire alla sua incredibile missione, potrete aiutare Isravele portando con voi un po’ di cemento: un piccolo sacrificio che spalancherà le porte del Tempio.
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