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Gershwin e Bernstein: il Massimo a stelle e strisce

  • 19 maggio 2006

Sarà la musica americana, quella espressione più caratterizzante della cultura musicale degli Stati Uniti, quella che gli Americani tutti considerano la propria "musica popolare", a venire celebrata nel Concerto americano che si terrà al teatro Massimo di Palermo (piazza Verdi) mercoledì 24 maggio dall’orchestra del teatro stesso diretta da Wayne Marshall, che siederà anche al pianoforte per una carrellata incentrata sull’opera di due fra i più noti moderni compositori americani: George Gershwin e Leonard Bernstein (ingresso ore 20.30, biglietti da 8 a 20 euro).

Inizia con la fine del primo conflitto mondiale, e prosegue per tutti gli anni Venti e oltre, il processo di affermazione del jazz come genere di autentica espressione socio-culturale, e sebbene il "Jim Crow", il sistema di disposizioni razziali che sanciva la superiorità dei bianchi nei confronti dei neri, sarebbe durato molto a lungo, soprattutto negli stati del Sud in cui era profondamente radicato, è possibile affermare che proprio quella musica costituì terreno di incontro della cultura "afro" con quella "americana", dando alla luce l’embrione del genere afro-americano com’è conosciuto oggi. Accortisi di quanto il filone della musica ottocentesca "europea" poco appartenesse alla realtà americana e quanto stesse ormai esaurendo la sua vena, furono diversi compositori per lo più bianchi a fornire un indubbio contributo in tal senso, scegliendo di rifarsi alla musica dei nativi americani e degli ex-schiavi di colore, sebbene cogliendo di essa solo alcuni aspetti ritmico-armonici e tuttavia non la sua vera essenza espressiva.

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Chi fra questi più di tutti può essere considerato rappresentativo di tale nuova tendenza è forse George Gershwin (1898-1937): ovviamente nulla a che vedere né con il blues verace di sofferenza nato nelle piantagioni o nei cantieri ferroviari del Delta, né con le struggenti jazz ballads, prima fra tutte quella "Strange fruit" della grande Billie Holiday che, denuncia di una realtà di discriminazione e persecuzione, la casa discografica si rifiutò di pubblicare. Niente a che fare neppure con il "jungle style" di Duke Ellington che, proprio in quegli anni, utilizzando il patrimonio strumentale della musica "colta", portava in giro big bands che infiammavano le "ball-rooms" fino alle prime luci dell’alba. Eppure i "wa-wa" i "tom tom" ed i "growl" degli ottoni e delle percussioni ellingtoniane dovettero colpire la fantasia di Gershwin che li riprodusse nelle sue composizioni più famose, da "Rhapsody in Blue" (1924) a "Un Americano a Parigi" (1928), inserendo all’interno di una musica sinfonica di nuova concezione elementi mutuati direttamente dalla cultura nero-americana. La Second Rhapsody (o "Rhapsody in Rivets", 1931) in programma, restituisce in quelle sonorità strombazzanti la frenesia, i rumori, la vivacità ma anche lo smarrimento generato dall’impatto con la caotica vita metropolitana.

E sempre allo stesso spirito compositivo si deve l’Overture Cubana (1933), poema all’insegna della musica dell’isola caraibica, originariamente intitolato "Rumba", nelle cui partiture l’autore ha indicato espressamente l’impiego di strumenti indigeni cubani. C’è da precisare che Gershwin adottò sì il linguaggio musicale di matrice nero-americana e fece sue certe tematiche sociali della cultura nera (come accade nel postumo "Porgy and Bess" del 1959), ma la sua fama è dovuta soprattutto al lavoro svolto come autore di temi per Broadway e Hollywood. Proprio alcuni di questi suoi musical faranno parte del programma del concerto: Girl Crazy (1932) trasposta in seguito pure in film, e Gershwin in New York una suite di celebri motivi tratti dal suo canzoniere (tra cui "They can’t take that away from me" e "Love is here to stay").

Fra i più celebri interpreti dell’opera gershwiniana è il direttore e compositore Leonard Bernstein, il cui nome è infatti spesso affiancato a quello dell’autore di "Rhapsody in Blue" per le splendide esecuzioni che ne ha saputo offrire, e al quale è dedicata la seconda parte della serata. Ma Bernstein, da artista versatile assolutamente a proprio agio fra il lavoro come direttore del grande repertorio classico, l’impegno nell’ambito della musica "altra" e la produzione più ambiziosa di opere "colte", deve la propria fama prevalentemente a West Side Story (1957), importante soprattutto per aver avuto il merito di contravvenire a certo pensiero critico che intendeva il musical quale genere "leggero": una rielaborazione in chiave moderna della tragedia shakespeariana di "Romeo e Giulietta", ambientata nei ghetti violenti e degradati delle grandi città americane, ancora ree di pregiudizi e conflitti a sfondo razziale nei confronti degli immigrati provenienti dall’America Latina. A fianco di questa, verrà eseguita anche una delle composizioni colte del maestro di origine ebraica, l’Overture a commento musicale della riduzione in farsa dal "Candide" di Voltaire.

Il concerto sarà condotto dal pianista e organista Wayne Marshall è uno dei musicisti più versatili ed estrosi di oggi. Nato in Inghilterra da una famiglia originaria di Trinidad, si è fatto apprezzare per la sua partecipazione pianistica alla celebre produzione di "Porgy and Bess" della Glyndebourne Festival Opera diretta da Simon Rattle, successivamente incisa per la EMI, ed alla relativa versione televisiva del musical. Da allora è diventato in pochi anni uno dei più rinomati interpreti delle musiche di Gershwin, Ellington e Bernstein, come di altri autori americani del XX secolo, dirigendo anche le principali orchestre britanniche, nonché numerose importanti formazioni europee.

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