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La forza della speranza

  • 25 settembre 2006

Nuovomondo (The golden door)
Italia, Francia, 2006
di Emanuele Crialese
con Vincenzo Amato, Francesco Casisa, Charlotte Gainsbourg, Filippo Pucillo, Aurora Quattrocchi

Asprezza e serenità: la dura roccia e la forza dei sogni che vince ogni paura. E' fra questi due elementi che si snoda il racconto che è l’epopea degli ultimi, di quelli che lasciavano la loro terra per il nuovomondo, dove crescevano denari sugli alberi e le cipolle erano carrozze, un’epopea che nei primi del novecento ha visto tanti dei nostri contadini vendere ogni cosa (ben poco in verità) e partire per sempre.

Stiamo parlando dell’ultimo lavoro di Emanuele Crialese, “Nuovomondo, the golden door”, un film bello, intenso e che speriamo possa servire a ricordare: ricordare che l’immigrazione noi italiani la conosciamo bene, milioni infatti sono stati i nostri connazionali trapiantatisi al di là dell’oceano nel corso dei lustri dal 1890 fino a pochi decenni fa. Per questa opera all’ultima mostra del cinema di Venezia hanno istituito appositamente un premio, il Leone d’argento per la rivelazione, ma già il precedente film del regista, “Respiro”, premiato dalla settimana della critica a Cannes nel 2002, aveva lasciato intuire il linguaggio cinematografico intriso di sogno e poesia del giovane autore.

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Parlavamo di asprezza, elemento forte sin dalle prime scene: la sequenza di apertura del film ci mostra un padre, Salvatore Mancuso (il protagonista, ingenuo come solo i semplici sanno essere, interpretato dal bravo Vincenzo Amato), e il proprio figlio intenti a percorrere a piedi scalzi un cammino ispido su un terreno roccioso, con una pietra in bocca. Stanno compiendo un voto e quel che chiedono è semplicemente avere un segno per capire se si deve partire o no. Una terra aspra quindi, come solo la Sicilia può essere, piena di superstizioni che sono l’antico sapere che diventa ora magia ora saggia indicazione di vita in quel linguaggio dei semplici che non sempre viene capito, come ci mostrerà il personaggio della madre di Salvatore (intepretata dalla bravissima Aurora Quattrocchi, attrice di teatro palermitana il cui volto intenso vediamo sempre più spesso a cinema), una figura nella quale si incarna la forza interiore, la fierezza di essere riusciti a vivere la propria vita anche in mezzo agli stenti, fierezza che non si baratta con nulla, neppure con quel sogno che il nuovomondo sembra offrire.

Un sogno che però lascia già intuire qualche temibile zona in ombra, quali le procedure di selezione alle quali vengono sottoposti gli immigrati al loro arrivo a Ellis Island, a New York: fra altro, anche test per misurare l’intelligenza, ad esempio, a sostegno di una tesi per la quale la scarsezza in tal senso poteva essere trasmissibile e intaccare così la qualità della razza americana.

Asprezza e serenità dicevamo, pietra e latte, fatica e speranza, questo ci racconta il film, l’ingenuità e il candore di quegli ultimi che non hanno nulla tranne la speranza e la forza dei loro sogni. Fra suggestioni e magiche evocazioni (splendida la scena della tempesta, con la sola forza dei corpi scaraventati in ogni direzione e i sordi rumori della nave, voce del mare imperioso), intensi primi piani e una fotografia eccellente che dà alla pellicola la forza espressiva di certi antichi film in bianco e nero, lo sguardo di Crialese, pur offrendo visioni oniriche piene di speranza nella vita futura (il mare di latte visto dal protagonista), è pervaso da severi moniti, da noi ampiamente condivisi, nei confronti di una società dall’umanità smarrita, dove la lucentezza dei sogni dorati viene appannata dall’ottusità della bieca e imperitura discriminazione.

Un'ultima notazione ancora sulla colonna sonora, opportunamente assai misurata e che lascia spazio alla forza dei dialoghi essenziali e autentici, di sconcertante immediatezza, e alla bellezza di certi intensi momenti di musica, dove il suono del tamburo si mescola alla voce dell'anima in cammino verso una meta di sogno.

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