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Ridotto del Brass: il jazz visto dal piano trio

  • 24 gennaio 2005

Da sempre formazione particolarmente ricercata – in tutte le sue accezioni – ma anche ardua da affrontare, il piano trio sembra riscuotere notevole riscontro e successo di pubblico e ascolti: basti pensare agli illustrissimi precedenti, da Oscar Peterson a Bill Evans, da Jarrett-Peacock-DeJohnette a Mehldau ed E.S.T., per citarne solo alcuni fra i più noti. Definito dal magazine Jazziz “vero innovatore dal tocco delicato e dalla vivida immaginazione”, il pianista Kenny Werner sarà il primo protagonista del mese di febbraio, martedì 1, al Ridotto del Brass Group, l’associazione palermitana che mettendo in scena ancora un “piano trio concert” sembra voler dar voce a siffatto “spirito del tempo” (presso lo Spasimo, ore 21.30 biglietto 10 euro). Fra gli altri appuntamenti della settimana si segnalano la Macchina dei Suoni Orchestra di Marvi La Spina, featuring la vocalista Carla Marcotulli (venerdì 28 gennaio, ore 21.30) ed il quintetto capeggiato dal percussionista Guna (sabato 29).

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Spiccate doti musicali e basi classiche sono il suo trampolino verso la musica, almeno fino a quando Werner resta nell’ambito delle orchestre scolastiche e nelle competizioni di piano solo. Ma il forte impulso a ricercare forme di espressione che vadano ben al di là da codifiche classiche e spartiti lo conducono inevitabilmente ad interessarsi sempre più al mondo del jazz. Diciannovenne si trasferisce allora alla “Berklee School of Music” di Boston, dove il suo istinto estemporaneo-creativo può così emergere, grazie anche alla sua insegnante e guida spirituale, Madame Chaloff. Del ’77 è la prima registrazione a suo nome, un album in solo piano in cui il nostro si cimenta nella rivisitazione del repertorio di grandi come Bix Beiderbecke, Duke Ellington, James P. Johnson e George Gershwin. Dopo lo straordinario episodio con Charles Mingus che lo vede fra gli esecutori di “Something Like a Bird”, nell’81 Werner incide la prima raccolta di proprie composizioni originali, “Beyond the Forest of Mirkwood”, e l’anno seguente “298 Bridge Street”, registrato nel suo studio di Brooklyn – del cui indirizzo porta il titolo – durante alcune intense jam sessions notturne. Gli anni ’80 sono quelli del tour con Archie Shepp, della militanza nella Mel Lewis Orchestra e delle performance con Rufus Reid, Ray Drummond e Jaki Byard, nonché delle prime esperienze con il contrabbassista Ratzo Harris ed il batterista Tom Rainey, ossia due terzi del suo piano trio nel successivo “Introducing The Trio” (1988). Dello stesso periodo anche il cd in quintetto “Uncovered Heart”, che vede la partecipazione di Randy Brecker, Joe Lovano e Eddie Gomez. Ma è il trio con Harris e Rainey che, malgrado alcune interruzioni, si attesta fra le più audaci ed innovative formazioni del genere. Nell’87 il pianista viene chiamato dalla New School di New York per insegnare teoria ed armonia jazz, tenendo altresì seminari in varie università degli Stati Uniti: è l’inizio di una proficua ed eccitante attività di educatore, fino all’attuale incarico di “artist-in-residence” alla New York University e direttore artistico per il “Banff Center Jazz Program” (1999-2000).

Fra le sue più rilevanti collaborazioni, oltre a quelle già evidenziate: Bob Brookmeyer, Ron Carter, Joe Williams, Chico Freeman, Sonny Fortune, Peter Erskine, John Abercrombie, Jackie Paris, Bobby McFerrin, Lee Konitz, Billy Hart, Marian McPartland, Joe Henderson, Tom Harrell, Gunther Schuller, Ed Blackwell, Paul Motian, John Scofield, Jack DeJohnette, Lee Konitz, Eddie Gomez, Dave Holland, Charlie Haden e Toots Thielemans, senza contare la sua assidua frequentazione artistica – e non solo – con Joe Lovano, con presenza in numerosi dischi di quest’ultimo, e la cooperazione con Andy Stattman, fra i pionieri della “klezmer music” in America. Molti i dischi al suo attivo, fra cui i più recenti “Maybeck Recital Hall Series” (1994) solo piano che ha ricevuto buon gradimento dalla critica (Top 10 Jazz Recordings dell’anno per JazzTimes), quello in duo con Chris Potter, scelto come miglior album del 1996 (da George Kanzler del New Jersey Star Ledger) e la sua ultima incisione in trio con Harris e Rainey, “Live at Visiones”, seguita da vari esperimenti di trio (con il bassista inglese Dave Holland e Jack DeJohnette per “A Delicate Balance” e nel 1999 con Billy Hart e Drew Gress). Si giunge così a Beauty Secrets in cui figurano varie formazioni, incluso un quintetto in cui compare la sezione ritmica che costituisce il suo supporto per l’attuale piano trio: Ari Hoenig alla batteria e Johannes Weidenmueller al contrabbasso, con i quali Werner sente riprodursi quella stessa profonda intesa della combinazione con Harris e Rainey, non un semplice trio bensì “una relazione unica”. Nel novembre del 2000 è a nome di questo trio che pubblica “Form and Fantasy” in un concerto live al Sunset Café di Parigi, affermando che in futuro le sue esibizioni in questa veste saranno fissate solo al di fuori degli studi di registrazione, vale a dire dal vivo, dimensione secondo lui più congeniale a questo tipo di gruppo.
Come dargli torto?

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