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Nelle viscere della Valle dei Templi: riapre (finalmente) l'antico Ipogeo Giacatello

Si potrà scendere in profondità seguendo gli archeologi di CoopCulture, per ritrovarsi in una vera opera di ingegneria idraulica totalmente scavata nella roccia

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 11 luglio 2022

L'ipogeo Giacatello

Riapre al pubblico nella Valle dei Templi di Agrigento l’antico ipogeo Giacatello, chiuso da otto lunghi anni, il luogo da cui si dipartono gli antichi acquedotti di Akragas, realizzati, secondo la tradizione, dal valente ingegnere Feace, sfruttando la manodopera dei prigionieri cartaginesi dopo la sconfitta di Himera (480 a.C.)

Si potrà scendere in profondità con l’aiuto degli speleologi dell'associazione "Agrigento Sotterranea" e seguendo gli archeologi di CoopCulture: per ritrovarsi in un ambiente perfettamente conservato, una vera opera di ingegneria idraulica totalmente scavata nel banco di roccia.

«Aggiungiamo un nuovo tassello alle visite al Parco archeologico della Valle dei Templi – dice il direttore Roberto Sciarratta – riconsegnando alla comunità agrigentina e ai turisti, un luogo straordinario chiuso da troppo tempo, che permette di raccontare il rapporto di grande rispetto che gli antichi avevano nei confronti della natura. Ma non sarà l’unico, presto renderemo fruibili altre aree uniche».
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«Dopo il grande successo delle Giornate dell’Archeologia – aggiunge l’assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samonà – ecco un nuovo appuntamento per scoprire uno dei segreti meglio conservati della Valle dei Templi.

Un luogo fra i più interessanti per la sua unicità: un nuovo percorso di visita che permetterà di scoprire la zona di Colle San Nicola, vero cuore pulsante delle attività religiose e civili della greca Akràgas e della romana Agrigentum. Un impegno mantenuto».

L’ipogeo detto Giacatello è una delle Cavità più o meno naturali, più o meno profonde e articolate che fa parte della rete degli Ipogei di Akragas realizzate scavando nel banco calcherenitico, in pendenza, dalle colline alla vallata molto probabilmente per raccogliere l’acqua che colava dai pori della pietra, fino alle varie località, secondo le esigenze ed all’interno della città.

Un reticolo fitto, intricato, inteso a captare ogni singola goccia d’acqua che veniva dalla superficie, in un’area vastissima.

Si tratta di un ipogeo visitabile di interesse anche turistico, retrostante la chiesa di S. Nicola, a Sud-Est di Porta VIII e a poca distanza dalla zona degli edifici pubblici ed era forse originariamente, nel V sec. a.C. Dall’ingresso si perviene dopo qualche metro ad un grande ambiente (m. 19×19, h.m.2,05) puntellato da ben 49 pilastri disposti in diverse file.

I pilastri sono ancora ben compatti e conservano tracce di intonaco idraulico di cui erano rivestiti, come le pareti dell’ampio locale, onde rendere la pietra arenaria sufficientemente impermeabile. Visibili sono le tracce dello scalpello e dell’intonaco a coccio pesto.

L'ipogeo è coperto da un intonaco cementizio che è sovrapposto a un impasto di polvere laterizia che insieme rendono le pareti e il soffitto impermeabili, come dovrebbe essere dovendo questo ambiente sotterraneo ospitare una riserva idrica.

Le varie grotte appaiono alimentate da un unico canale, scavato nella roccia. In ottime condizioni, riceve areazione da numerosi pozzi protetti da reti metalliche ed un tettuccio della stessa materia. Presenta un vasto ambiente a pianta quadrangolare scavato nella roccia con sette file di sette pilastri realizzati per sorreggere il soffitto, sul quale si aprono diversi pozzi-lucernari.

Da Nord vi confluisce un acquedotto e dall’angolo di Sud-Est si diparte un cunicolo tortuoso, che sfocia nel vicino torrente di San Leone (antico fiume Hypsas). La sua originaria funzione della struttura come cisterna è confermata dallo spesso strato di intonaco idraulico che riveste pareti, pavimenti e pilastri.

Molto probabilmente è stato riutilizzato come deposito granario o anche come mulino o frantoio come attesterebbe la scoperta al suo interno, di una macina in pietra lavica e dei resti di attrezzature per la lavorazione di cereali e olive.

Secondo alcuni studiosi, in origine il locale dovette essere una grande cisterna e successivamente in epoca romana adibito a magazzino per grano, come lascia intendere anche la presenza del mulino.
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