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Per la serie "storie allucinanti": in Sicilia c'è la Lettera del Diavolo (ed è stata tradotta)

È in una lingua ignota e la storia si divide tra i documenti della Chiesa e la versione data dalla tecnologia: forse è tutta una follia ma restano le teorie affascinanti

Balarm
La redazione
  • 11 maggio 2018

La parte finale della "Lettera del Diavolo" a Palma di Montechiaro

La Lettera del Diavolo è uno scritto del Seicento che si trova al monastero di clausura a Palma di Montechiaro: è scritta in una lingua che mescola greco, latino, arabo e alfabeto runico e l'ha ricevuta suor Maria Crocifissa, ovvero Isabella Tomasi (un'ava).

Nel 2017 è stata tradotta anzi decifrata grazie a una formula informatica, un algoritmo, messa in atto da un gruppo di fisici, biologi e informatici catanesi.

Che c'è scritto? Si parla di Dio e del diavolo e per l'esattezza, dopo quattro mesi di ricerche e tentativi, una delle frasi che lo scritto recita è "Dio non esiste, la trinità è un falso, ci sono solo io".

Ma andiamo per punti: nel Seicento la suora dice di aver ricevuto una lettera dal demonio in persona. Siamo nel convento benedettino di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento e suor Maria Crocifissa della Concezione dice che il demonio l'ha voluta tentare e lusingare dandole uno scritto che fosse comprensibile solo a lei.
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La Chiesa ha sostenuto fin dall'inizio che il documento sia invece stato scritto da lei, ma che tuttavia sia la prova della lotta della suora contro il diavolo.

Scritta quindi da lei e a lui indirizzata o da lui dettata sotto minaccia al temine di una faticosa guerra contro la tentazione che ha anche una data, l'11 agosto 1676.

Secondo i documenti ufficiali diffusi dalla Chiesa suor Maria Crocifissa è stata trovata seduta sul pavimento della sua celletta "con mezza faccia sinistra imbrattata di inchiostro, il respiro affannoso e una lettera in mano scritta in una lingua incomprensibile".

Un verbale divenuto ufficiale, redatto dalla allora madre badessa, documenta appunto la versione per cui sarebbero stati i diavoli a costringerla a firmare la lettera e a sporcarle il viso con l'inchiostro.

Oggi sappiamo che potrebbe anche essere il documento che prova la follia di una povera donna: ricordiamo che la vita di clausura era molto dura, spesso non desiderata dalle donne di ogni età che - per conclamata tradizione e usanza - venivano costrette a prendere i voti da bambine, con o senza vocazione.

Secondo "la tecnologia" lo scritto è un miscuglio di alfabeti che comunque la donna conosceva: greco, latino, arabo e runico.

Il terribile significato svelato dopo quattrocento anni rivela che le 14 righe contengono principalmente due messaggi: chiedere a Dio di lasciare i mortali ai loro peccati e di smettere di elargire "Misericordia e Pietà".

Il mistero ha ovviamente spopolato all’epoca e ha affascinato anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pronipote della donna, che ne ha scritto dopo una visita al monastero nel 1955.

Nel 2000 il convento ha voluto esporre la lettera del Diavolo per festeggiare il terzo centenario della suora, fatta poi beata, ma benché custodito è visibile dietro richiesta da parte di chiunque e ne esistono due copie: una alla biblioteca Lucchesiana e una alla Cattedrale di Agrigento.
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